Vivo in
una zona dove la presenza di extracomunitari è abbastanza estesa. Specie se
guardo appena verso sud e verso l’interno, ci sono piccole e grandi comunità, cinesi e
non, che lavorano da tempo senza farsi vedere, ma che negli ultimi anni sono
venuti alla luce del sole con negozi, anche di dimensioni non trascurabili.
Qualche settimana fa ero in macchina con mio figlio, abbiamo incrociato una di
queste attività (in foto) ed io gli ho detto “vedi quell’insegna ? volenti o
nolenti il futuro è quello …”. Ora, c’è quella parte di me, e molti padri
certamente ce l’hanno, che vuole dare l’impressione ai figli di sapere come
andrà la società in futuro: è però anche vero che la presenza di raggruppamenti
non indigeni è un dato di fatto, solo che molti non lo accettano o ritengono scomodo
(ingiusto ?) che questa gente si sia stabilita da noi. “Hanno un costume diverso e devono
restare a casa loro”, ho sentito dire alcune volte.
Senza
spolverare concetti socio-antropologici tipo il capitalismo e i flussi
migratori che ha generato su tutto il globo, la storia insegna che il fenomeno
dello spostamento delle masse da zone povere a regioni più ricche e con una
migliore qualità della vita è pressoché inevitabile, stupido chi trascura
l’argomento e lascia morire (rendendosene complice) gli immigrati sui barconi a
largo delle coste siciliane. Intendo la Comunità Europea, se non era chiaro. Ma, se ci pensiamo bene, quanti degli italiani emigrati negli Stati Uniti o in centro Europa, con fatica e sacrificio, erano stati ben accetti nei primi tempi ? quasi nessuno. Gli americani ci vedevano sporchi,
arretrati e scansafatiche, in Germania ci trattavano al limite dell’umano e in
Svizzera facevano già allora (continuando ancora oggi) referendum per chiudere
le frontiere. Perciò, le reazioni odierne di chi chiama ancora “musi gialli” i
cinesi, di chi vorrebbe rimpatriare i fratelli africani o delle varie leggi
Cozzi-Pini (per dirla alla Camilleri) non sono affatto nuove. Con la differenza
che il luogo di destinazione dei migranti di allora funzionava forse meglio:
chi accoglieva, anche se malvolentieri, aveva capacità organizzative e sapeva
imporsi con la legge (e talvolta anche con la forza, purtroppo) di gran lunga
meglio di come riusciamo fare nel bel paese oggi, anno di grazia 2014.
Per me è
questo lo snodo, ed è triste ammetterlo da cittadino italiano. Ci manca un sistema
efficace (leggasi "politica") per controllarne l’ingresso e
favorirne una sistemazione decente, per non dire della pressante necessità di definire commercio ed economia che ne conseguono. A detta di taluni integralisti dovremmo
sbarrargli le porte, ma allora: ci chiudiamo anacronisticamente al mondo, viviamo
senza più nessuno scambio credendoci i migliori, per cui non abbiamo bisogno di
nessuno ? oppure facciamo integrare queste persone con le rigide ed opportune
regole (la Legge con la L maiuscola) come succede in molte altre parti del
mondo? del resto, molti si sono già dovuti inserire in alcune campagne, con
stipendi da fame. Ed ancora, esasperando il concetto, non è forse il caso di cambiare
l’Italia a partire da noi, dai nostri pregiudizi e da quella volontà
conservatrice e amorale che non riusciamo a scrollarci di dosso ? Perché il
futuro sociale, quello vero, non solo quello presentato ad un figlio da un papà
ironico e saccente, è fatto di popolazioni multietniche, con tutta la responsabilità
che ciò significa. Ed in altri posti si tratta già di un attivo presente.
Forse le
generazioni passate e la mia (diciamo dai 40 in su) non erano pronte a questo
cambiamento che è soprattutto culturale, oltre che giuridico e legislativo. Ma
non può più essere un alibi, specie per chi si troverà l’eredità che ne
consegue negli anni venturi. Qui non c’entrano la compassione, la carità umana
o cristiana, il buonismo televisivo da due soldi. Urge diffondere una forma
mentis nuova in tale contesto, basata su un sentimento che si va perdendo, il
rispetto. Reciproco, naturalmente.
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