Le situazioni
di rischio aumentano l'ansia per le donne di più rispetto agli uomini, portandole
a svolgere peggio i loro compiti in queste condizioni. E’ il risultato di uno
studio condotto dalla dottoranda in sociologia Susan R. Fisk, che sarà
presentato al 109° meeting annuale della American Sociological Association:
certamente non troverà grandi consensi nell’opinione del gentil sesso. La Fisk
ha voluto precisare che si parla del rischio in senso lato, non solo fisico o
finanziario, ma quello che, ad esempio, può presentarsi in un incontro di
lavoro quando si deve esprimere un’idea e si teme il giudizio dei colleghi,
oppure quando ad una volontaria viene affidato un incarico difficile non
previsto nella sua mansione di routine.
Sono
stati condotti tre esperimenti, utilizzando adulti statunitensi di età compresa
tra i 18 e gli 81 anni. Nel primo i partecipanti online hanno descritto la loro
reazione a due scenari lavorativi durante una riunione, una con colleghi ben
predisposti, l’altra con persone che non lo sono affatto. Al termine del loro
contributo gli è stato sottoposto un test sull’ansia, in base al quale le donne
che avevano simulato uno scenario di rischio hanno riportato il 13,6% in più di
livello d’ansia rispetto a quelle con scenari senza rischio. La definizione
degli scenari non ha avuto un effetto statisticamente significativo sulla
preoccupazione degli uomini.
Nel
secondo esperimento si usavano delle domande scritte sul cui esito veniva
chiesto di scommettere: i partecipanti dovevano puntare su sé stessi e sulla
loro presunta accuratezza delle risposte. Risultato: le donne hanno individuato
l’11% in meno di risposte corrette, verificandole poi verbalmente; invece senza
il rischio della scommessa la correttezza media tra uomini e donne sarebbe
stata circa la stessa. Infine per il terzo esperimento la sociologa ha sottoposto
a studenti di ingegneria dei test per laureati: gli studenti dovevano assegnare
un grado di fiducia ai loro responsi, creando perciò un livello pur minimo di
insicurezza. In tal caso la percentuale di domande errate al femminile si è
fermata al 4%.
Secondo
la Fisk, anche se una donna ha potenzialmente le stesse prestazioni di un uomo,
potrebbe essere giudicata diversamente proprio perché i risultati sono
condizionabili dal suo maggior livello di ansia. Di più, la dottoressa crede
che questo possa essere uno dei motivi per cui i posti di leadership sono più
occupati dagli uomini; perciò le imprese dovranno il più possibile evitare le
situazioni di rischio, permettendo così di dare il meglio anche alle dipendenti
donne, affinché tutti ne ottengano un vantaggio.
Non
so quanti si troveranno d’accordo con i risultati di questa ricerca. Io sono
molto scettico. Innanzitutto per le differenze percentuali riscontrate, che
sono al limite del significativo; poi perché la casistica di valutazione è
veramente ristretta rispetto a quella reale, anche se naturalmente aumentare le
situazioni di test sarebbe oneroso per la ricerca, senza trascurare l’eventuale
rischio che vada in crisi anche la categoria maschile. Infine, non conosciamo qual
è la grande apertura mentale della dottoressa Fisk, secondo cui le donne
siedono meno degli uomini nelle poltrone di comando anche per la loro
incapacità di gestire il rischio, invece che per un radicato ed esteso sessismo
duro a morire.
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