Powered By Blogger

venerdì 31 ottobre 2014

Sicurezza informatica, dipende anche da noi


Quando lavoravo in azienda avevo un collega con poca fantasia sull’argomento password, che ciclava sempre le stesse usando facilmente il tastierino numerico: una sequenza di cifre consecutive o, peggio ancora, più volte la stessa cifra. A volte si lanciava con ardore a difendere il suo pc usando il nome della moglie. Chiaro che non avesse nulla da temere all’interno dell’azienda, ma immagino che escogitasse lo stesso sistema anche per altri terminali. Lui e molti altri nel mondo.

Di recente molte star sono state attaccate da hacker che hanno avuto libero accesso alle loro foto private. Trascurando per un attimo il discorso privacy e come i sistemi e le politiche dovrebbero garantirla, probabilmente è successo anche perché avevano impostato una password poco sicura. Non esiste a priori una chiave d’accesso inviolabile alle nostre porte digitali, ma potremmo fare qualcosa per rendere la vita meno facile a questi criminali: scegliere una password complessa. Molti si chiederanno come si può fare e, soprattutto, come riuscire poi a ricordarla senza troppi problemi. Innanzitutto è necessaria la fantasia ed uno schema mentale che ci aiuti a collegare la parola o frase ad un evento, un oggetto, una persona (ma non usandone il nome!). In generale però manca non tanto la tecnica quanto la componente umana e personale che determina il criterio. 

Si sente spesso parlare della necessità di password sicure, ma difficilmente qualcuno ne spiega il perché, dando motivi validi per cimentarsi in una loro composizione più intelligente. Mettereste mai una chiave da valigia al portone blindato di casa vostra ? oppure un allarme antifurto sul vostro balcone col cicalino di una sveglia ? Si tratta di cambiare la mentalità di chi crede non sarà mai  derubato dei suoi dati personali, bancari, e così via. Tanti, oltre al suddetto collega, usano i nomi dei figli, un numero di telefono che ricordano o parole semplici collegate alla loro quotidianità. Sembra però che questo genere di scelta porti ad una semplificazione delle cose per chi vuole frodarci. 

Esiste una pagina web dove si può testare la “forza” di una password, creata dalla Gibson Research Corporation, un’azienda statunitense che si occupa di sicurezza informatica, fondata dallo storico programmatore Steve Gibson. Qui potete divertirvi a provare la vostra (o una simile, visto che il rischio è sempre dietro l’angolo). Digitando ad esempio la parola chiave più usata in Italia nel 2013, “123456”, si ottiene un tempo per scoprirla, con appositi software, pari solo a 18 minuti e mezzo; invece con una parola più complessa (detta passphrase in inglese) come “31_10_C'èIlSole”, nella peggiore delle ipotesi sarebbero necessari 1,5 milioni di secoli ! Ho adoperato apposta 2 estremi molto diversi, ma aiutano a capire la strada da percorrere. E’ significativo usare maiuscole, minuscole e numeri tutti insieme, aggiungendo anche simboli, magari facendone una frase (certo non lunghissima) di senso compiuto e di facile memorizzazione. Non avremo la certezza dell’inviolabilità, ma l’imprevedibilità usata nello sceglierla ci farà dormire sonni più tranquilli, anche nei confronti di un attacco mirato. Sempre che non ci venga la felice idea di trascriverla su un pezzo di carta lasciato in giro….. 

Tempo fa in alcuni paesini le porte di casa non erano chiuse a chiave e quasi tutto veniva lasciato incustodito. Vista la completa pervasione degli strumenti informatici nella nostra vita, dovremmo pensare a storie come queste quando scegliamo la password, dato che paesini con quel costume non esistono più. Nell’attesa che i sistemi di riconoscimento biometrico risolvano il problema.




martedì 28 ottobre 2014

L’incremento demografico globale non si può fermare



C'è un modo per arrestare la crescita della popolazione mondiale? sembra proprio di no. E’ questo il risultato di uno studio condotto da due biologi dell’Università di Adelaide, Corey Bradshaw e Barry Brook. Il modello da loro creato ipotizza uno scenario di 12 miliardi di persone nel 2100, numero appena scalfito anche nel caso che un piccolo asteroide impattasse il pianeta o in quello di un disastro epidemiologico.

Negli ultimi 50 anni, la crescita media dei “terrestri” è stata circa di un miliardo ogni 12 anni. Com’è noto, si è iniziato a parlare di sostenibilità anche per questo motivo, data la incipiente (oppure già superata) limitata disponibilità di alcune risorse. Diversi paesi hanno tentato di limitare le nascite con programmi di pianificazione familiare e di educazione per le donne. Qualcuno però si è chiesto se è possibile rallentare la crescita in modo significativo. Due biologi australiani, impegnati a fondo sulla biodiversità animale e sulle relative relazioni quantitativo-temporali, hanno deciso di capire che se ci sono margini di riduzione dell’incremento ed a quali fattori sono legati.

Hanno realizzato un modello matematico partendo dai dati forniti dall’OMS e dall’archivio dell’US Census Bureau International (qui il sito, dove ad esempio si stima che in Italia dal 2025 in poi il tasso di crescita diventerà negativo); poi hanno introdotto delle variabili, quali tasso di mortalità, durata della vita, dimensione della famiglia, età della donna nella prima maternità, e così via. In base a queste informazioni sono riusciti a creare 10 scenari, il primo con gli attuali tassi di fertilità e mortalità, gli altri ottenuti con alterazioni solo presunte, tipo durata media della vita più lunga, l'imposizione di una politica del figlio unico a livello mondiale, morti catastrofiche dovute a guerre o pandemie. Lo scenario senza alterazioni ha stimato una popolazione di 12 miliardi di persone, praticamente la stessa proiezione delle Nazioni Unite, validando positivamente il modello creato. Allo stesso tempo però il modello ha evidenziato una crescita incontrastata anche con l’introduzione di disastri globali, sulla base di quanto accaduto nelle guerre mondiali o con la febbre spagnola, sottraendo circa mezzo miliardo ad una cifra molto più grande, ossia un effetto poco rilevante.

Lo studio ha prodotto altre considerazioni. Se la popolazione aumenta, si tende ad avere più bambini, se diminuisce si avranno più anziani; anche in questo secondo caso le persone che non producono reddito sono mediamente supportate da 1,5 a 2 lavoratori. Dunque il rallentamento della crescita, qualora avvenisse, sarebbe economicamente sostenibile. Inoltre, gli scienziati hanno evidenziato quali saranno le zone del mondo critiche, vale a dire il sud-est asiatico e alcune aree africane, con la maggior densità umana del pianeta. Paradossalmente, in quelle regioni i nuovi nati non faranno neanche in tempo a vedere gli ultimi elefanti e leoni, se si avvererà una delle ipotesi più pessimistiche degli etologi. 

Qualcuno di voi avrà letto forse l’ultimo romanzo di Dan Brown, Inferno, in cui si prospetta una soluzione esasperata: uno scienziato diffonde un agente patogeno come contromisura al sovraffollamento del pianeta. Sia lo studio di Bradshaw e Brook che, a suo modo, il romanzo di Brown, dovrebbero farci riflettere e permettere a chi muove le leve del mondo di considerare sin d’ora le esigenze di uno sviluppo demografico inarrestabile, compatibilmente con tutte e sole le risorse a nostra disposizione. Fino a dare ragione, almeno in parte, a chi sostiene il concetto sociale ed economico di decrescita.


(fonte http://news.sciencemag.org/biology/2014/10/no-way-stop-human-population-growth ; si ringrazia il sito www.abc.net.au per la gentile concessione della foto)


venerdì 24 ottobre 2014

Referti digitali: Basilicata, avanti tutta

  

La Basilicata si va riscattando. Lo fa non solo per il titolo europeo ricevuto dalla città di Matera, un onore per tutto il meridione in grave difficoltà, ma anche per la volontà di innovare. L’ultimo esempio viene dalla dematerializzazione dei dati clinici, in particolare quelli radiologici, varata dalla giunta lucana e realizzata in collaborazione con Aruba, grosso provider nazionale di servizi digitali, e con GMed, società specializzata in software gestionali e di integrazione in campo sanitario.

Il settore medico ed ospedaliero è forse quello che ha più bisogno di servizi smart ed efficienti. I pazienti e chi prenota un visita ne sanno qualcosa. I processi in questo campo devo essere snelli e strutturati in modo da garantire una risposta rapida e qualitativamente elevata. La regione Basilicata ha pensato di sostituire la gestione cartacea, ossia le vecchie lastre delle radiografie ma soprattutto i risultati dei più moderni strumenti di diagnostica medica visiva (TAC e risonanza magnetica, i maggiormente noti), con la loro versione digitale. Si parla di conservazione sostitutiva, come in questo caso, quando si passa a metodi di archiviazione delle informazioni che danno validità legale al documento informatico, aggiungendo valori fondamentali, quali facile consultazione e rapida condivisione. Tutto grazie alla digitalizzazione: fin’ora sono riusciti a registrare circa 3 milioni di referti in questa modalità.

E ci sono vantaggi anche di altra natura. Innanzitutto economici, dato che si risparmia per la stampa dei referti radiologici; poi si rispettano i principi di integrità (presenti nella nostra Costituzione ma riaffermati dal Dlgs 150 del 2009) e quelli di opponibilità verso terzi (in altre parole, l'idoneità di un atto giuridico ad esprimere la sua efficacia anche nei confronti dei terzi e non solo delle parti). Di più, i dati così fruibili hanno un tasso di sicurezza elevato, sia nei confronti del diritto alla privacy che dal punto di vista della perdita di informazioni, grazie a procedure e a protocolli all’avanguardia. In Basilicata stanno pensando di utilizzare metodi simili anche con i dati amministrativi, estendendo e diffondendo le procedure anche ai comuni: alcuni di questi stanno già usufruendo dei data center regionali. Altre regioni hanno già sviluppato sistemi simili, in ambito sanitario: l’Emilia Romagna, ad esempio, con il suo Fascicolo Sanitario Elettronico. 

Se i sassi di Matera balzano alla cronaca come originali testimonial per la cultura europea, il resto del territorio non è da meno in quanto a tecnologie e a servizi innovativi per i cittadini. Come a dire, il vecchio si unisce al nuovo e, soprattutto, funziona, se ci sono volontà governative e competenze a tutti i livelli. Una regione da cui, nonostante il passato non rigoglioso, i territori vicini possono imparare e crescere, disarcionando certi futili ego di chi li abita.

(fonte http://www.ict4executive.it/pmi/business-case/regione-basilicata-i-dati-clinici-diventano-digitali_43672153776.htm ; si ringrazia il sito mareenfischinger.com per la gentile concessione della foto)
 


martedì 21 ottobre 2014

Un nuovo maggiordomo digitale


Domotica e sintesi vocale evoluta hanno creato UBI, un dispositivo che permette di comandare una serie di oggetti casalinghi in rete, quali termostati, lampade, elettrodomestici e tapparelle. Per far funzionare l’Apriti Sesamo anche a casa nostra non ci sarà più bisogno di Alì Babà. 

I primi sistemi di riconoscimento vocale sono nati negli anni ’50 ma la loro diffusione si è avuta tra fine XX e inizio XXI secolo. Sono passati dal solo riconoscimento degli orari per i treni, nelle ricerche su call center automatici, ai raffinati (anche se ancora imprecisi) sistemi presenti negli smartphone. Ora questo nuovo dispositivo estende la tecnologia al controllo della casa, pilotando l’accensione delle luci, l’avvio della climatizzazione e l’impostazione della temperatura, l’apertura delle tende, giusto per fare alcuni esempi. In realtà molte di queste cose si possono già fare via Internet, ma hanno bisogno di una app o di un servizio dedicati, oltre che di digitare codici e di premere interruttori virtuali. 

Si tratta di un dispositivo somigliante ad un rilevatore di fumi (quegli aggeggi appesi al soffitto di tutte le stanze di hotel): è dotato di sensori di temperatura, umidità ed intensità luminosa per misurare i parametri base all’interno delle quattro mura ed avvisarci se abbiamo impostato un avviso al riguardo. Realizzato su tecnologia Android, è sempre collegato ad una rete WiFi e basta attivarlo con le parole “Ok, UBI”. A quel punto obbedirà ai nostri comandi come un cane fedele, sempre che le parole siano sufficientemente intelligibili per il software di Google che deve interpretarle.

La comunicazione tra l’uomo e dispositivi come UBI è però ancora da migliorare. A qualcuno di voi sarà capitato di ripetere almeno una volta un comando vocale sul vostro smartphone perché il primo tentativo è andato a vuoto. Questo nonostante i dispositivi mobili siano i migliori, tra i mezzi di largo consumo, a interpretare il nostro parlato, semplicemente perché si trovano in prossimità della bocca. Ma l’intento di UBI è quello di capire chiaramente cosa stiamo dicendo se siamo in un’altra stanza, magari con il rumore di fondo, al quale una casa con almeno due persone è soggetta. 

Il progetto è stato condotto da una società di Toronto chiamata Unified Computer Intelligence Corporation (UCIC), che è riuscita a terminare la produzione e a venderne i primi 2500 pezzi, al costo di 299$, grazie al sito di crowdfunding Kickstarter. La UCIC sta già pensando di far evolvere il prodotto fino a fargli comprendere il significato della domanda che gli si pone in funzione delle sfumature nell’espressione.  Chissà perché mi torna in mente il film “Io e Caterina” con l’Albertone nazionale: alla fine il protagonista diventa succube del robot femminile che lo accudisce. Succederà lo stesso con quest’ultimo ritrovato tecnologico, anche se dall’aspetto per niente sensuale ?


 


giovedì 16 ottobre 2014

I giovani e la speranza



A volte penso che questo nostro paese vada a rotoli anche a causa dei nostri genitori. Beninteso, non papà e mamma miei, tuoi o suoi, intendo in senso lato la gran parte di quelli che ci hanno preceduto di recente, della società che ha costruito sé stessa, in modo quasi narcisistico, senza guardare al futuro e godendo al massimo i frutti del lavoro, del successo, dello spreco, senza badare per un attimo a quali sarebbero state le conseguenze. C’è stato un momento in cui forse si potevano cambiare le cose, era il 1992 ed un molisano dall’italiano incerto stava per ribaltare il paese. O almeno a qualcuno ne ha dato l’impressione. Chiaro, lui era il centravanti, ma aveva una bella squadra che gli avrebbe permesso di continuare a segnare. Invece niente: paradossalmente pure lui è passato dalla parte degli stolti.

Prendo spunto dall’ennesima catastrofe idrogeologica che ci ha colpiti, parlo di quella ligure, ma l’elenco continua ad allungarsi con Parma, l’alessandrino e via discorrendo …. no, spero che si fermi, naturalmente. Ieri guardo il tg e spuntano casi di ragazzi, studenti, avranno avuto al massimo 20 anni, che spalano il fango causato dal dissesto che questo paese ha procurato, con la sua noncuranza e la sua strafottenza. Tornavano a scuola e fino al giorno prima avevano contribuito, volontariamente, a pulire la loro città, la loro terra, a farla ripartire. “Certo che lo rifarei”, dice uno, “dobbiamo rimboccarci le maniche noi altrimenti non lo fa nessuno” gli fa eco un altro. Lo sentono dentro quest'obbligo, questa necessità di rimettere in sesto il posto dove vivono, gli sembra un sacrosanto dovere.

Di eventi gravi ne sono successi negli ultimi 40 anni, avrebbero dovuto essere sufficienti a scuoterci, a creare una vera coscienza nazionale: dalla diga del Vaiont, passando per il terremoto in Irpinia, fino al berlusconismo e a chi ci credeva. E in mezzo, tante altre tragedie. A nessuno, oppure a troppo pochi, è balenato nel cervello che dove si programmava, si costruiva, si pontificava, si “politicava”, tutto andava fatto con la visione di un futuro non ammorbato da ambizioni esagerate ed individualistiche, ma equilibrato con un uso delle risorse corretto e non scellerato, soprattutto che desse vantaggi per l’intera comunità. La sera si tornava a casa (se si tornava, altrimenti c’era una squillo pronta e buonanotte) con una mazzetta in più e il domani era solo quello di una bustarella ancora più gonfia. Parlo di chi comandava (e comanda), ma la responsabilità grave è stata anche di chi, votandoli, ha deciso che lo facessero: noi, gli italiani. 

Lo stare bene e meglio, molto meglio degli affanni del dopoguerra, in un certo senso ci ha tarpato le ali. Non voglio dire con questo che la nostra storia è stata negativa, solo che non si è pensato affatto al futuro e agli altri. Alcuni hanno costruito una casa per i propri figli, gesto lodevole, ma talvolta ho il dubbio che sarebbe stato più proficuo dar loro la possibilità di guadagnarsela e costruirsela con le proprie mani. Per i figli e per il paese che si è trovato sommerso da mattoni e cemento senza un minimo di criterio razionale ed urbanistico. Penserete che sono un figlio ingrato: no, sto solo dicendo quello che penso.

Cosa è cambiato da allora ? bazzecole. Anzi, il sistema è quasi peggiorato. Ma è ora di dire basta a tutte quelle lamentele di chi vuole un’Italia migliore senza cambiare mentalità, di chi usa gli amici degli amici o i conoscenti dei conoscenti per far prima le visite mediche in ospedale (prevaricando chi aspetta da mesi), di chi in cambio di favori si aspetta un trattamento migliore, di chi si dispone in doppia fila giustificandosi con la mancanza di parcheggi, del solito clientelismo tipico italiano. Perché questa stessa gente, al parlamento, farebbe lo stesso e di più di chi addita in continuazione. E’ il momento di creare una nuova cultura: credo che le nuove generazioni siano pronte per farla loro e metterla in atto. Io penso che la gran parte delle gioventù di questo inizio millennio stia crescendo meglio di quelle passate. Parlo di una maggiore consapevolezza, coscienza, una rinnovata e più sensibile forma mentis. Suvvia, non pensate alle solite banalità derivanti dall’alienazione tecnologica: pure se 30 anni fa si parlava di più e si whatsappava di meno (non lo si faceva per niente, ma mi piace la frase), dai nuovi media possono venire innovazione sociale, progresso omogeneo, riduzione delle barriere e delle ingiustizie. Se usati come si dovrebbe fare con l’alcol, responsabilmente. 

Avanti ragazzi, dimostrateci che rimboccarvi le maniche come in questi evitabilissimi disastri pseudo-naturali non è vero solo in senso figurato. Lo fate perché ci credete e la società italiana con le vostre sincerità e purezza, il vostro impegno continuo forse sarà migliore. Forse. E’ una speranza, la mia, ma mi sa che non abbiamo tanto altro a cui aggrapparci.


(si ringrazia www.classmeteo.it per la gentile concessione della foto)