Chiamateli
quadricotteri, aeromobili a pilotaggio remoto (APR) o, più semplicemente,
droni, le loro potenzialità visive ad altezze insolite e la versatilità d’uso
ne fanno degli oggetti portentosi. Nati per scopi militari alcuni decenni fa,
hanno avuto un’impennata di fama a causa della loro larga diffusione negli
ultimi 3-4 anni. Ogni tanto vengono fuori
degli utilizzi insospettati, com’è successo di recente in campo archeologico e
geofisico.
Due
archeologi dell’Università inglese di Leicester hanno utilizzato immagini
satellitari e riprese fatte da droni per rivelare tracce di civiltà del passato
in ambienti inospitali, come il deserto del Sahara. Per chi studia i tempi
andati non è semplice fare valutazioni con climi così estremi, quindi le
immagini con i droni sono ideali per visitare i luoghi di una popolazione poco
nota del 1000 a.C., i Garamanti. Analizzando le registrazioni in un'area di
circa 2500 chilometri quadrati, sono stati individuati 158 grandi insediamenti,
184 cimiteri e 30 chilometri quadrati di campi, più molti sistemi di
irrigazione. La visione complessiva che se ne ricava permette di avere
informazioni che gli archeologi non avrebbero mai ottenuto scavando in alcuni
di questi siti, dove la realtà di uno o pochi posti non è estendibile a tutta
la popolazione.
Nello stesso
campo hanno avuto successo i droni utilizzati da archeologi dell’Università di
Exeter, Regno Unito, per scandagliare alcune zone della foresta amazzonica,
altro posto poco adatto a gite fuori porta. L’Amazzonia è (si spera ancora per
molto) una terra vergine, almeno rispetto a questa nostra epoca, ma le scoperte
fatte con i rilevamenti dall’alto, tra cui la presenza di alcuni geoglifi mai
visti prima, portano a pensare che un tempo sia stata una terra ricca di
insediamenti agricoli. La mappatura ottenuta con sofisticate apparecchiature a
bordo può far capire qual è stato l’impatto antropologico intorno al Rio delle
Amazzoni. E, qui come nel Sahara, è importante carpire certe informazioni prima
che il tempo e l’uomo, le facciano scomparire del tutto.
Dunque il
drone come estensione dell’occhio umano, al fine di guardare e scoprire cose
che dall’alto del nostro metro e 74 cm (media italiana maschile) non
riusciremmo mai a percepire. Ma, com’è noto, un APR può sostituirci in compiti
gravosi e pericolosi. E’ quello che hanno pensato in Islanda quando, pochi
giorni fa, un metereologo ed un geofisico hanno ripreso con due droni il
vulcano Bardarbunga in piena attività, evidenziando bolle di magma e punti più caldi,
al fine di ricavare una stima del comportamento a breve termine di questa
immensa torcia solido-liquida. Per la verità hanno anche sfruttato lo
spettacolo gratuito della natura offrendo una diretta televisiva
dell’avvenimento: crediamo gli islandesi siano rimasti incollati allo schermo,
più di quanto facciano per il loro sport preferito …
A
prescindere dall’uso, scientifico, archeologico, sociale e di soccorso, oppure
turistico e di intrattenimento, si tratta davvero di uno strumento prezioso. Ci
sono le aziende futuristiche che stanno pensando di mandare i droni a consegnare
i pacchetti al posto dei corrieri. Ancora, sono stati usati poco tempo fa per
portare provviste a persone isolate a causa di disastri naturali. Nel rispetto
delle regole, sia della navigazione che della privacy, queste tecnologie di
visione a volo d’angelo sulle nostre teste hanno come unico limite la fantasia.
(fonti http://news.sciencemag.org/2015/02/drones-and-satellites-spot-lost-civilizations-unlikely-places ;
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