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lunedì 16 febbraio 2015

Nuovi usi per gli occhi volanti dei droni


Chiamateli quadricotteri, aeromobili a pilotaggio remoto (APR) o, più semplicemente, droni, le loro potenzialità visive ad altezze insolite e la versatilità d’uso ne fanno degli oggetti portentosi. Nati per scopi militari alcuni decenni fa, hanno avuto un’impennata di fama a causa della loro larga diffusione negli ultimi 3-4 anni.  Ogni tanto vengono fuori degli utilizzi insospettati, com’è successo di recente in campo archeologico e geofisico.

Due archeologi dell’Università inglese di Leicester hanno utilizzato immagini satellitari e riprese fatte da droni per rivelare tracce di civiltà del passato in ambienti inospitali, come il deserto del Sahara. Per chi studia i tempi andati non è semplice fare valutazioni con climi così estremi, quindi le immagini con i droni sono ideali per visitare i luoghi di una popolazione poco nota del 1000 a.C., i Garamanti. Analizzando le registrazioni in un'area di circa 2500 chilometri quadrati, sono stati individuati 158 grandi insediamenti, 184 cimiteri e 30 chilometri quadrati di campi, più molti sistemi di irrigazione. La visione complessiva che se ne ricava permette di avere informazioni che gli archeologi non avrebbero mai ottenuto scavando in alcuni di questi siti, dove la realtà di uno o pochi posti non è estendibile a tutta la popolazione.

Nello stesso campo hanno avuto successo i droni utilizzati da archeologi dell’Università di Exeter, Regno Unito, per scandagliare alcune zone della foresta amazzonica, altro posto poco adatto a gite fuori porta. L’Amazzonia è (si spera ancora per molto) una terra vergine, almeno rispetto a questa nostra epoca, ma le scoperte fatte con i rilevamenti dall’alto, tra cui la presenza di alcuni geoglifi mai visti prima, portano a pensare che un tempo sia stata una terra ricca di insediamenti agricoli. La mappatura ottenuta con sofisticate apparecchiature a bordo può far capire qual è stato l’impatto antropologico intorno al Rio delle Amazzoni. E, qui come nel Sahara, è importante carpire certe informazioni prima che il tempo e l’uomo, le facciano scomparire del tutto.

Dunque il drone come estensione dell’occhio umano, al fine di guardare e scoprire cose che dall’alto del nostro metro e 74 cm (media italiana maschile) non riusciremmo mai a percepire. Ma, com’è noto, un APR può sostituirci in compiti gravosi e pericolosi. E’ quello che hanno pensato in Islanda quando, pochi giorni fa, un metereologo ed un geofisico hanno ripreso con due droni il vulcano Bardarbunga in piena attività, evidenziando bolle di magma e punti più caldi, al fine di ricavare una stima del comportamento a breve termine di questa immensa torcia solido-liquida. Per la verità hanno anche sfruttato lo spettacolo gratuito della natura offrendo una diretta televisiva dell’avvenimento: crediamo gli islandesi siano rimasti incollati allo schermo, più di quanto facciano per il loro sport preferito …

A prescindere dall’uso, scientifico, archeologico, sociale e di soccorso, oppure turistico e di intrattenimento, si tratta davvero di uno strumento prezioso. Ci sono le aziende futuristiche che stanno pensando di mandare i droni a consegnare i pacchetti al posto dei corrieri. Ancora, sono stati usati poco tempo fa per portare provviste a persone isolate a causa di disastri naturali. Nel rispetto delle regole, sia della navigazione che della privacy, queste tecnologie di visione a volo d’angelo sulle nostre teste hanno come unico limite la fantasia.




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