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lunedì 13 ottobre 2014

I disinvestimenti sulla ricerca di base: un grosso errore


C’è anche uno scienziato italiano tra i nove autori della lettera aperta inviata nei giorni scorsi al parlamento europeo, in cui si prevede la lenta cancellazione o una perentoria riduzione delle strutture di ricerca e sviluppo nazionali, se non ci sarà un cambio di rotta. La lettera, dal titolo emblematico “Hanno scelto l’ignoranza”, denuncia i drastici tagli ai budget e alle assunzioni negli istituti di ricerca di base e nelle università in un numero crescente di paesi, dove invece i finanziamenti si rivolgono verso gruppi già affermati, che fanno della ricerca applicata il loro business.

Com’è noto, lo scopo primario della ricerca scientifica di base è di far aumentare la conoscenza e la comprensione teorica delle relazioni esistenti in natura. Viceversa la ricerca applicata deve trovare soluzioni pratiche, sfruttando le conoscenze teoriche per passare allo sviluppo tecnologico. Così facendo si lega più saldamente agli interessi degli investitori, specie privati, che intravedono naturalmente un adeguato ritorno economico e minor rischio, rispetto a quello che si corre sostenendo la ricerca di base, i cui tempi e frutti sono quasi sempre incerti. Concettualmente la differenza può essere sottile, ma non lo è certo per chi ragiona con i capitali.

I dati sui tagli alla ricerca parlano chiaro: dal 2009, in Spagna ci sono stati decrementi del 40% su investimenti e sovvenzioni pubblici; nello stesso periodo, “l'Italia ha tagliato il budget per l'istruzione superiore del 20%, e il numero di posizioni a tempo indeterminato è calato di quasi il 90%”, dice Francesco Sylos Labini, fisico italiano presso il Centro Enrico Fermi di Roma, uno degli autori della lettera. Discorso analogo per la Grecia, con un bilancio per centri di ricerca e università ridotto di almeno il 50%  e con le nuove assunzioni bloccate. Nella stessa Germania, pur avendo centrato l'obiettivo europeo di destinare il 3% del PIL alla ricerca, circa l’80% degli scienziati hanno contratti a tempo determinato, con nessuna garanzia sul futuro.

Secondo uno dei promotori, i governi potrebbero eliminare dal calcolo del deficit nazionale gli investimenti pubblici nella ricerca; oppure la UE potrebbe consentire a un paese che aumenta il proprio bilancio per la ricerca di base di diminuire proporzionalmente il suo contributo ai regimi di finanziamento europei. Quello che non risulta chiaro nelle stanze di Bruxelles è che abbassare il deficit tagliando i fondi in questo settore contribuisce a crearne uno nuovo, quello nell’innovazione e nella scoperta scientifica. Di più, il processo scientifico e la ricerca richiedono sperimentazione continua: per giungere alle eccellenze di cui il vecchio continente si può fregiare è necessario tanto “lavoro sporco” senza il quale i risultati non arriverebbero mai. Tutto questo affermano i nove sottoscrittori.

Circa 5000 scienziati hanno firmato la lettera, anche extraeuropei. Si è creato quindi un ampio movimento che comprende varie tappe, tra cui un tour in bicicletta di 3 settimane per le strade francesi, dal titolo Sciences en marche, e una serie di incontri presso le principali università italiane. Si arriverà quindi a pacifiche proteste nelle piazze di Parigi, Madrid e Roma. Come hanno scritto nella lettera, la scienza è una gara sulla lunga distanza ed è indispensabile per la produzione di nuova conoscenza. Sylos Labini è stato chiaro: "Se non ci sarà un vero e proprio sforzo del governo nel cambiare direzione, il sistema scientifico pubblico italiano non durerà a lungo". Renzi & Co. sono avvisati.

Qui il testo integrale della lettera.


(nella foto, interno del Dafne, sincrotrone dell'INFN di Frascati)

martedì 5 agosto 2014

L'integrazione, questa sconosciuta




Vivo in una zona dove la presenza di extracomunitari è abbastanza estesa. Specie se guardo appena verso sud e verso l’interno, ci sono piccole e grandi comunità, cinesi e non, che lavorano da tempo senza farsi vedere, ma che negli ultimi anni sono venuti alla luce del sole con negozi, anche di dimensioni non trascurabili. Qualche settimana fa ero in macchina con mio figlio, abbiamo incrociato una di queste attività (in foto) ed io gli ho detto “vedi quell’insegna ? volenti o nolenti il futuro è quello …”. Ora, c’è quella parte di me, e molti padri certamente ce l’hanno, che vuole dare l’impressione ai figli di sapere come andrà la società in futuro: è però anche vero che la presenza di raggruppamenti non indigeni è un dato di fatto, solo che molti non lo accettano o ritengono scomodo (ingiusto ?) che questa gente si sia stabilita da noi. “Hanno un costume diverso e devono restare a casa loro”, ho sentito dire alcune volte.

Senza spolverare concetti socio-antropologici tipo il capitalismo e i flussi migratori che ha generato su tutto il globo, la storia insegna che il fenomeno dello spostamento delle masse da zone povere a regioni più ricche e con una migliore qualità della vita è pressoché inevitabile, stupido chi trascura l’argomento e lascia morire (rendendosene complice) gli immigrati sui barconi a largo delle coste siciliane. Intendo la Comunità Europea, se non era chiaro. Ma, se ci pensiamo bene, quanti degli italiani emigrati negli Stati Uniti o in centro Europa, con fatica e sacrificio, erano stati ben accetti nei primi tempi ? quasi nessuno. Gli americani ci vedevano sporchi, arretrati e scansafatiche, in Germania ci trattavano al limite dell’umano e in Svizzera facevano già allora (continuando ancora oggi) referendum per chiudere le frontiere. Perciò, le reazioni odierne di chi chiama ancora “musi gialli” i cinesi, di chi vorrebbe rimpatriare i fratelli africani o delle varie leggi Cozzi-Pini (per dirla alla Camilleri) non sono affatto nuove. Con la differenza che il luogo di destinazione dei migranti di allora funzionava forse meglio: chi accoglieva, anche se malvolentieri, aveva capacità organizzative e sapeva imporsi con la legge (e talvolta anche con la forza, purtroppo) di gran lunga meglio di come riusciamo fare nel bel paese oggi, anno di grazia 2014.

Per me è questo lo snodo, ed è triste ammetterlo da cittadino italiano. Ci manca un sistema efficace (leggasi "politica") per controllarne l’ingresso e favorirne una sistemazione decente, per non dire della pressante necessità di definire commercio ed economia che ne conseguono. A detta di taluni integralisti dovremmo sbarrargli le porte, ma allora: ci chiudiamo anacronisticamente al mondo, viviamo senza più nessuno scambio credendoci i migliori, per cui non abbiamo bisogno di nessuno ? oppure facciamo integrare queste persone con le rigide ed opportune regole (la Legge con la L maiuscola) come succede in molte altre parti del mondo? del resto, molti si sono già dovuti inserire in alcune campagne, con stipendi da fame. Ed ancora, esasperando il concetto, non è forse il caso di cambiare l’Italia a partire da noi, dai nostri pregiudizi e da quella volontà conservatrice e amorale che non riusciamo a scrollarci di dosso ? Perché il futuro sociale, quello vero, non solo quello presentato ad un figlio da un papà ironico e saccente, è fatto di popolazioni multietniche, con tutta la responsabilità che ciò significa. Ed in altri posti si tratta già di un attivo presente.

Forse le generazioni passate e la mia (diciamo dai 40 in su) non erano pronte a questo cambiamento che è soprattutto culturale, oltre che giuridico e legislativo. Ma non può più essere un alibi, specie per chi si troverà l’eredità che ne consegue negli anni venturi. Qui non c’entrano la compassione, la carità umana o cristiana, il buonismo televisivo da due soldi. Urge diffondere una forma mentis nuova in tale contesto, basata su un sentimento che si va perdendo, il rispetto. Reciproco, naturalmente.

venerdì 1 agosto 2014

La ricarica induttiva a contatto




La praticità d’uso nella ricarica delle auto elettriche senza cavo è piuttosto evidente. Si utilizza il principio di induzione elettromagnetica, in cui l'energia elettrica viene trasferita tra due oggetti attraverso un campo elettromagnetico. Esempi quotidiani della sua applicazione sono la ricarica di alcuni smartphone o i piani di cottura ad induzione. Nel caso dell’auto però la tecnologia attuale non è ancora matura. Ci sono innanzitutto dei problemi economici, dovuti al costo elevato delle bobine usate, che devono avere dimensioni importanti a causa della distanza di 15-20 cm tra la stazione di ricarica interrata e il fondo del veicolo. Inoltre, l’affidabilità e la sicurezza sono messe in discussione per via di animali e oggetti che possono interporsi in quello spazio: ad esempio ai gatti piace stare al “calduccio” sviluppato dalla sorgente di energia posta sotto il livello della strada; oppure, oggetti leggeri a base metallica tipo lattine o la carta interna del pacchetto di sigarette possono ostacolare la trasmissione di energia e surriscaldarsi fino a bruciare.

Per sopperire a tali inconvenienti, si stanno prototipando delle importanti alternative presso il Fraunhofer Institute for Integrated Systems and Device Technology (IISB) ad Erlangen, in Germania. I ricercatori dell’IISB hanno messo  a punto, in collaborazione con l'Energie Campus di Norimberga, un sistema per la ricarica frontale dei veicoli elettrici. Dal momento che questo permette alla vettura di essere condotta molto più vicina alla fonte di induzione, praticamente a toccarla, le bobine sono molto più piccole di diametro rispetto alla versione interrata, di 10 cm invece che di 80. Il sistema è più efficiente, più conveniente e rende meno probabile che degli ostacoli possano interrompere il flusso di energia. La colonnina di ricarica è di plastica con un altezza di circa un metro, si piega all'indietro se spinta dal veicolo e può abbassarsi se la pressione applicata è troppo forte. In pratica il mezzo non subisce alcun danno. Ancora, non è necessario un perfetto allineamento tra la zona centrale anteriore dell’auto e la colonnina, la quale si adatta bene con vetture di ogni dimensione.

All’IISB lavorano da più di dieci anni sull’elettronica di potenza per veicoli elettrici e da più di due sulla ricarica induttiva. Anche per questo sono riusciti a progettare bobine efficienti per minimizzare la resistenza di scambio durante il trasferimento di energia. L’attuale prototipo fornisce una potenza di 3kW, sufficiente a ricaricare l’auto nel corso della notte, con un rendimento del 95%, molto alto per questa applicazione. Nel prossimo step si prevede di aumentare ulteriormente la potenza della bobina, principalmente per adeguarsi allo sviluppo delle nuove tecnologie di storage; inoltre sarà indispensabile ridurre il costo dello spot di ricarica, per farlo diventare un vero prodotto di massa, a disposizione di comuni e cittadini virtuosi.