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martedì 24 novembre 2015

Primi risultati con le piante elettroniche


Anno 2065, pianeta Terra. Manca praticamente un mese a Natale. Per quanto la festa abbia perso il suo significato religioso, in molte case degli umani ci si appresta a vivere qualche giorno di spensieratezza. Qualcuno ha deciso di accendere l’albero di Natale. Sì, solo accendere, perché è davvero da tantissimo che l’albero non si monta più. Chi la fortuna di averne uno, in casa, nel giardino (o nella residenza virtuale del suo avatar), deve solo attendere data e ora ai quali l’albero è stato programmato e, come d’incanto, le migliaia di led incastonati nelle foglie, aghiformi o cuoriformi che siano, si illumineranno alimentati semplicemente attraverso le fibre sensoriali della pianta.
Tranquilli, non è un film di fantascienza né un cinepanettone del futuro. Ho solo voluto proiettare di 50 anni i risultati di una recente ricerca dell’Università di Linköping in Svezia, dove per la prima volta hanno creato circuiti elettronici all'interno di alcune piante vive. Il team, condotto dal professor Berggren Magnus, ha utilizzato il sistema vascolare delle rose per costruire componenti base dei circuiti elettronici. Si apre così la possibilità di sviluppare nuove applicazioni per l'elettronica organica e nuovi strumenti nel campo della botanica.
Piante e circuiti hanno in comune il trasporto di informazione attraverso segnali, anche se di natura non proprio simile, chimici ed elettrochimici le prime, elettronici i secondi. Inoltre i due sistemi lavorano a velocità molto diverse tra loro. Creare piante con funzionalità elettronica permetterebbe di combinare segnali elettrici con certi processi chimici tipici del regno vegetale, aprendo la strada a sensori ed attuatori per modulare le funzioni interne delle piante. In passato erano già stati fatti esperimenti per misurare il dosaggio di varie molecole in piante vive. Il salto di qualità attuale consiste nel poter influenzare la concentrazione delle differenti sostanze nella pianta che regolano la crescita e lo sviluppo.
Grazie ai fondi provenienti dalla Knut and Alice Wallenberg Foundation nel 2012, il professor Berggren ha riavviato il progetto di bioelettronica, iniziato timidamente una ventina d’anni fa. Sono stati effettuati molti tentativi per introdurre dei polimeri conduttori attraverso il gambo della rosa. Uno solo ha avuto successo, permettendo sia il trasporto della corrente elettrica come filo conduttore che il trasporto di acqua e sostanze nutritive. Tali fili hanno raggiunto la lunghezza di 10 cm e, combinati con l'elettrolita naturale contenuto all’interno della pianta, hanno permesso di realizzare la funzione di un transistor, il componente base di tutti i circuiti elettronici, arrivando infine ad una porta logica digitale, un mattoncino degli 0/1 contenuti in tutti i dispositivi informatici.
Questi risultati sono i primi passi per unire settori così agli antipodi come l’elettronica e la botanica. L'obiettivo è di sviluppare applicazioni per l'energia, la sostenibilità ambientale, più una nuova ambiziosa modalità di interazione con le piante. Il professor Berggren prevede la possibilità di un campo di ricerca davvero innovativo: "Si può davvero parlare di ibridazione tra biologia ed elettronica, introducendo sensori nelle piante e utilizzando l'energia prodotta a livello di fotosintesi clorofilliana, producendo antenne verdi e nuovi materiali.” Si tratta quindi di sistemi molto avanzati, con l’intervento dell’uomo su una base genetica con molti millenni di sviluppo alle spalle.
A tal proposito, chissà cosa pensa madre natura di queste nostre intrusioni. Forse dovremmo porre molta, molta attenzione. Anche perché, in caso di rigetto, i primi a subire danni saremmo noi. Noi uomini, figli di questa grande madre.


(fonte http://www.eurekalert.org/pub_releases/2015-11/lu-epd111315.php ; si ringrazia il sito http://cmp.mines-stetienne.fr/ per la gentile concessione della foto)



lunedì 16 novembre 2015

Negozi e spese automatizzati


Quest'anno all'Expo c'era un intero padiglione dedicato al supermercato del futuro. C'erano splendidi banconi di prodotti alimentari che sembrava gli mancasse solo la parola, dato che vi bastava sfiorarli ed un monitor vi “raccontava” l'intera filiera di provenienza. Tra l'altro ho visto robot prendere frutti da una cassetta e selezionarli per i clienti. Tutto fantastico, specie se la qualità e la sicurezza dei prodotti (la cosa più importante) seguiranno lo stesso trend positivo della tecnologia. Perchè da quest'ultimo punto di vista si continuano a sperimentare diverse soluzioni all'avanguardia. Da una startup americana è nato il robot che scandisce tutti gli scaffali del supermercato alla ricerca di prodotti mancanti o fuori posto; invece un'azienda inglese ha creato il carrellino automatico che porta la spesa a casa.

Tally è il robot dell'americana Simbe Robotics che automatizza i lavori di grande routine svolti in milioni di magazzini e negozi al dettaglio. Si aggira autonomamente nei corridoi del negozio, controllando se uno scaffale ha bisogno di essere ripopolato, se un prodotto è stato smarrito o scarsamente organizzato, se i prezzi indicati sugli scaffali sono corretti (e sappiamo quant'è fastidioso arrivare alla casa ed avere certe sorprese…). E' costituito da una piattaforma a ruote con quattro telecamere che analizzano le mensole fino a un'altezza di circa 2 metri e mezzo. Tally sfrutta il fatto che nei grandi magazzini esistono già i dati con la disposizione dei ripiani, settore per settore, e la composizione dei prodotti sugli scaffali. Così, utilizza una mappa del negozio per spostarsi, legge con i suoi occhi digitali le informazioni reali su cosa c'è davvero nei ripiani e trasmette i dati ad un server, dove vengono analizzati e trasformati in notifiche per i gestori. Potrebbe avere successo poiché sembra che il disordine nel posizionamento dei prodotti comporti perdite di miliardi alla grossa distribuzione.

Un altro esempio di come i robot potranno rivoluzionare il commercio viene dall'Inghilterra: sembra che già dall'anno prossimo potrà essere utilizzato nei primi esperimenti. Avete presente il ragazzo delle consegne che una volta portava la spesa a casa ? Alla Starship Technologies hanno pensato come sostituirlo, progettando un piccolo veicolo telecomandato a sei ruote che trasporta la spesa in modo virtuoso, ossia a costo zero, in un tempo di attesa quasi nullo e ad impatto zero, dato che anche le piccole consegne contribuiscono alla congestione del traffico e all'inquinamento. Arriverà a casa vostra (dei londinesi, per iniziare) con una velocità di circa 6 km/h, portando fino a 2 buste della spesa di media dimensione, in un vano che potrà aprire solo chi ha effettuato l'ordine, con smartphone o tablet. Pensate a chi non riesce ad uscire, per problemi di età, salute, e via discorrendo; oppure a chi non ha trovato il tempo per fare la spesa. Basteranno pochi clic ed ecco il carrellino automatizzato arrivare sul marciapiede davanti al portone di casa.

In entrambi i casi la parola smart rende un po' l'idea. Gestione smart dei propri prodotti da parte dei rivenditori, con conseguenti clienti più contenti: in quel negozio non manca mai niente, sono davvero ordinati e puntuali. Gestione smart delle consegne: non puoi affacciarti al supermercato? Nessun problema, il robottino con il carrello ti porta a casa tutto ciò di cui hai bisogno. Se poi intelligenti rimarranno anche i prezzi finali, anche stavolta la tecnologia avrà messo d'accordo tutti.



lunedì 9 novembre 2015

Cento anni dalla relatività generale


Poche settimane fa gli appassionati dei film fantascientifici hanno celebrato la data che nella saga del cult movie “Ritorno al futuro” era il futuro del film. Nella storia lo scienziato Doc aveva fatto andare avanti nel tempo i protagonisti, dal 1985 di allora al 2015 di adesso, 21 ottobre per la precisione. Quello che era fantascienza 30 anni fa oggi non è ancora diventata scienza, e chissà se lo sarà mai. Ma probabilmente questa ipotesi è entrata nelle discussioni degli scienziati, per non dire dei sognatori, grazie all’incommensurabile genio di un fisico tedesco. Egli pubblicò la sua teoria sulla relatività giusto 100 anni fa.

Era il novembre del 1915 quando Albert Einstein pubblicò quattro articoli, uno a settimana, in cui spiegava la teoria della relatività generale all'umanità. Chiaramente la spiegava ai suoi colleghi, ma col tempo sarebbe arrivata a tutti. Nessuno però, né i primi né i secondi, erano preparati ad una tale rivoluzione. Lo spazio era per tutti un punto fermo ed invariabile, basato sulle geometria euclidea, quella delle due rette parallele che non si incontrano mai, per capirci. La nuova teoria parlava di un’accoppiata spazio-tempo che cambia in modo dinamico ed è legata sia alla massa che alla densità di energia dell'universo. Naturalmente questa nuova visione non fu immediatamente accettata. Nel 1919 la spedizione navale di Sir Eddington per le isole di Sao Tomè e Principe dimostrò, approfittando di una eclissi, che il sole riusciva a modificare il percorso della luce emessa da una stella ad esso vicina: era una conferma della teoria di Einstein.

Einstein aveva previsto che nello spazio e nel tempo di quando ci si avvicina alla velocità della luce, il passare del tempo dipende anche dalla forza del campo gravitazionale. Ciò implica che gli orologi soggetti ad una maggiore gravità battono più lentamente rispetto a quelli che si trovano in un ambiente gravitazionale debole. Questa previsione fu testata nel 1971, quando gli studiosi statunitensi Hafele e Keating confrontarono il tempo segnato da alcuni orologi atomici, i più precisi al mondo, in parte fatti volare intorno alla Terra e in parte lasciati a terra in laboratorio. Ebbene, quelli che non si erano mossi segnavano un tempo diverso rispetto a quelli in volo (diverso di frazioni molto piccole di un secondo), in accordo esatto con le previsioni della relatività generale.

Per venire ai giorni nostri, pensate al GPS ormai integrato in tutti gli smartphone. Questo sistema si basa su una serie di satelliti che orbitano intorno alla terra, quindi rispetto ai nostri orologi (e ai nostri telefoni) sono meno influenzati dalla gravità. Proprio tenendo conto di queste differenze di sincronismo temporale dettate dalla relatività generale si riesce a stabilire con buona precisione dove ci troviamo. Se così non fosse il sistema potrebbe sbagliare fino a 10 km, dunque non sarebbe divenuto uno standard universale alla portata di tutti. Per fisici ed astrofisici la teoria einsteniana trova numerosi riscontri e regala possibilità di grande visione per la ricerca. Chissà quante volte volgono con gratitudine il pensiero a quei giorni di un secolo fa.

E’ fuori dubbio affermare che la teoria della relatività generale di Einstein sia stata una delle conquiste scientifiche ed intellettuali più sbalorditive di sempre. Ha cambiato totalmente il concetto di spazio e di tempo per gli scienziati: uno spazio e un tempo su cui si basa tutto il nostro pensiero, teorico, empirico e filosofico, circa l’intero universo. Lo spazio si può piegare e deformare sotto l'influenza della materia, anche se non è un’esperienza molto familiare per noi. Massa ed energia sono indissolubilmente intrecciate con la forma dello spazio e del tempo. Il tutto (semplificando molto) racchiuso nella nota equazione E=mc2 . Un trionfo di uno scienziato, di un uomo, di una sola intelligenza che accese un faro luminoso sul mistero comunque immenso dell’universo. E se pensiamo che al liceo lo studente Albert era stato rimandato in matematica, bè, ragazzi, forse c'è gloria anche per voi. Basta crederci. Ed avere una mente più che geniale.


(fonte http://www.space.com/31020-relativity-is-no-fantasy.html ; si ringrazia il sito http://www.amnestyindia.org/ per la gentile concessione della foto)


lunedì 2 novembre 2015

Fermare l'abuso di alcol nei minorenni tramite Instagram


I social network, spesso tacciati di essere alienanti dalla realtà e di far ridurre la comunicazione a quattr'occhi, specie tra i ragazzi, a volte si rivelano strumenti di utilità sociale. L'ultimo caso viene dell'Università di Rochester, stato di New York, dove un team di ricercatori ha dimostrato che usando foto e testi prelevati dal social Instagram si possono individuare comportamenti deprecabili di minorenni che fanno abuso di alcol, ma anche effettuare ricerche di mercato abbinando alcune marche o tipi di alcolici a gruppi demografici o aree geografiche.

Negli ultimi tempi Instagram si va diffondendo rapidamente tra i più giovani, i quali fanno in fretta a postare molte foto, corredandole di hashtag o commenti più o meno rilevanti. Si tratta pertanto di una grossa mole di informazioni, anche se perlopiù in forma di immagini. Inoltre, come altri social, rappresenta una vetrina che per alcuni serve a mostrare l'ultima bravata, tra cui la serata divertente in un tale posto, serata “rallegrata” da bevande più o meno alcoliche. La condivisione permette quindi, avendo a disposizione strumenti di analisi informatica evoluta, di rintracciare una categoria di persone in base alla loro età e risalire ai loro costumi. E' proprio quello che hanno fatto i ricercatori statunitensi.

Il monitoraggio di queste tematiche così importanti per la crescita giovanile non aveva fin'ora un corretto allineamento con la realtà, forse perché nei sondaggi i protagonisti tendevano a raccontare solo mezze verità. Ma applicando tecniche di computer vision, il team è riuscito ad estrarre informazioni dalle immagini, analizzando i volti del profilo di Instagram per ottenere ipotesi sufficientemente esatte circa età, sesso e razza. Dopo aver selezionato un gruppo di utenti minorenni per lo studio, gli studiosi hanno monitorato l'attività relativa a ciò che bevono e a quanto bevono, attraverso l'analisi dei tag presenti nelle foto, usando sia termini dello slang giovanile sul web che di parole collegate ai brand delle bevande. Hanno così scoperto che il consumo di alcol dei minorenni segue all'incirca quello degli adulti circa la temporalità, ossia fine settimana e giorni festivi, e che non c'è una proporzione predominante tra un sesso e l'altro. Inoltre le diverse marche di alcolici sono più o meno tutte utilizzate dagli adolescenti, con alcune preferenze più spiccatamente di genere per certe tipologie di bevande. Tutte informazioni utili a contrastare il fenomeno, specie per chi si occupa del settore e lavora a stretto contatto con ragazzi soggetti a queste gravi problematiche.

Uno strumento di indagine come questo potrebbe essere appetibile ai commerciali di grandi produttori e distributori di superalcolici. Ma il vero uso sociale sarebbe quello di promuovere campagne di informazione sociali, ad esempio nelle scuole, sui pericoli di questi abusi, facendo magari degli interventi mirati in funzione delle zone dove c'è maggior consumo. Allo stato attuale i ricercatori affermano però che è necessario verificare i risultati delle loro indagini con altri strumenti statistici, al fine di garantire che la loro metodologia funziona davvero. Se così fosse si potrebbe estendere anche ad altri problemi giovanili, come tabacco, droga, gravidanze adolescenziali, stress o depressione, e magari anche attraverso altri social media.

Dunque la tecnologia informatica funziona benissimo se applicata alle problematiche sociali, quella tecnologia spesso vista come un demone che crea bisogni e poi li soddisfa. Uno strumento come quello dell'Università di Rochester fa capire, se ce ne fosse ancora bisogno, quanto sia l'uso stesso della tecnologia a fare la differenza. Noi la creiamo, noi la utilizziamo, noi, razionalmente, abbiamo il potere e il dovere di decidere a cosa serve.


(fonte http://www.eurekalert.org/pub_releases/2015-10/uor-ntc102815.php ; si ringrazia il sito http://www.cbc.ca/ per la gentile concessione della foto)