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venerdì 8 agosto 2014

La preoccupante crescita di mercurio negli oceani




L’attività dell’uomo a partire dalla rivoluzione industriale ha triplicato la quantità di mercurio in alcune zone poco profonde del mare, aumentando in modo serio la minaccia per la salute umana in tutto il mondo.  E’ quanto emerge da una ricerca condotta da un team internazionale guidato da Carl Lamborg, oceanografo presso l'istituto Woods Hole in Massachusetts

La maggior parte dei processi industriali che bruciano carbone emettono mercurio in atmosfera: lì, il metallo può viaggiare per mesi e migliaia di chilometri, fino a ricadere negli oceani a causa delle piogge. Con un meccanismo ancora poco chiaro, i batteri lo convertono nel metilmercurio, una neurotossina, la quale a lungo andare si deposita nei pesci mediante la catena alimentare. Per verificare meglio la presenza di mercurio, Lamborg e i suoi ricercatori hanno intrapreso diverse crociere nei principali mari, raccogliendo campioni d’acqua a diverse profondità per ben 8 anni, grazie al contributo del programma Geotraces, interessato a mappare la distribuzione degli elementi essenziali all’interno delle acque. La sfida non si presentava semplice perché il metallo è presente solo in piccole concentrazioni in acqua di mare. Gli scienziati però hanno scoperto che nei bacini oceanici il rapporto tra mercurio e CO2 generati dall’uomo tende a rimanere costante allo stesso livello di profondità, anche perché la combustione del carbone emette sia mercurio che CO2. Quindi, utilizzando i database esistenti sulla CO2 misurata nelle acque oceaniche, è stato calcolato un rapporto numerico tra le due sostanze, dal quale è stato possibile stimare la quantità e la distribuzione di mercurio.

I risultati indicano che il mare contiene circa da 60.000 a 80.000 tonnellate di mercurio da inquinamento, con quasi due terzi al di sotto dei 1000 metri. Il dato più preoccupante è che la concentrazione di mercurio nelle acque profonde fino a 100 metri è triplicata rispetto al periodo preindustriale: di conseguenza è molto aumentata la probabilità di trovare maggiori quantitativi di neurotossina accumulata nel pesce che mangiamo, esponendoci a maggior rischio di avvelenamento da mercurio. Secondo i ricercatori i paesi più vulnerabili in questo senso sono quelli che si affacciano sull'Oceano Atlantico settentrionale


Anche con questi dati però non è possibile verificare con accuratezza il trend di aumento dei livelli di mercurio nei pesci marini e nelle persone che li consumano, fanno notare all’istituto del Massachusetts. Questo perché gli scienziati non sanno esattamente qual è il processo che porta il mercurio inorganico a divenire metilmercurio tossico. Però lo studio è un’ottima base di partenza per considerazioni di politica ambientale planetaria. Infatti di recente più di cento nazioni hanno firmato la Convenzione Minamata (dal nome di un paese giapponese che negli anni ’50 fu affetto da un’alta mortalità causa gli scarichi al mercurio di un impianto chimico locale), un trattato internazionale per ridurre i livelli di emissione pericolosi attraverso misure severe, quali il divieto di nuove miniere di mercurio. I dati ottenuti da Lamborg potrebbero essere molto utili per rivedere e rinforzare le misure che stanno per essere adottate.



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