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mercoledì 31 dicembre 2014

I top flop tecnologici del 2014


Nessuno è perfetto. Certo, non è una novità. Ma pure nel mondo delle tecnologie ultra avanzate, quelle in grado quasi di camuffare la differenza tra realtà virtuale e realtà vera, quelle che fanno accometare un robottino a centinaia di milioni di km da noi, c’è qualcuno che sbaglia. Vediamo allora qualche esempio di questi 12 mesi in dirittura d’arrivo.

Dei Google Glass ne avete sentito sicuramente parlare. Sono quegli occhiali cibernetici che dovevano farci vedere più cose di quelle dei nostri soli occhi, integrando le bellezze del posto con informazioni multimediali complementari. Presentati nel 2012, si prevedeva un successo mondiale che invece non è affatto arrivato. Dicono che il vero lancio sia stato posticipato all’imminente 2015. Cosa peggiore, tra gli stessi progettisti qualcuno ha detto che l’esperienza era molto meno utile del previsto, rischiando anzi di disturbare le persone intorno. Resta un prodotto per applicazioni di nicchia.

I mondiali brasiliani per noi rievocano una cocente eliminazione, oltre che quel patetico morso sulla spalla di Chiellini. Ma per il professor Nicolelis, della Duke University, sarebbe dovuto essere il lancio di una invenzione senza precedenti: un esoscheletro per permettere il movimento alle persone paralizzate. L’ardito professore pensava di raccogliere i segnali encefalici e di comandare l’esoscheletro solo con quelli. C’è stata pure una piccola dimostrazione nella cerimonia d’apertura, così breve e scarna da non far capire niente. Il solo compito riuscito è stato di far calciare la palla all’esoscheletro, ben lontano dal “miracolo” a cui aveva pensato Nicolelis, al quale sono comunque andati 15 milioni di dollari del governo carioca.

Lo scorso gennaio, una team tra il Giappone e la Harvard University aveva affermato di poter trasformare qualsiasi cellula in una cellula staminale mediante uno speciale bagno in acido. Quando altri laboratori non sono riusciti a replicare il processo (la ripetibilità è uno dei principi chiave ed indispensabile delle scoperte scientifiche), è diventato chiaro che i risultati erano stati fabbricati ad arte da un ambizioso ricercatore. Qualche mese dopo il leader del team giapponese ha fatto karakiri, causa la grande umiliazione subita. Sembra che il crollo della promettente tecnologia con le staminali sia dovuto alla crescente pressione di pubblicare risultati eclatanti, problema comune a molti campi della biologia.

Di solito quando la Apple sta per presentare un nuovo prodotto molti vanno in fibrillazione. Countdown da una parte, misteriose anticipazioni dall’altra, i messianici prodotti della mela morsicata portano giorni di paranoia, fino alle code interminabili davanti ai negozi, neanche li regalassero. E’ successo lo stesso con l’iPhone6 Sapphire, che i creatori pensavano di aver modellato con schermi di zaffiro, ma così non è stato. La Apple aveva addirittura acquistato una società produttrice di questi materiali: non è servito alla causa. Ma aggiungiamoci anche la storia del bendgate (bend sta per piegare, gate per scandalo, in questo caso - la parola è stata inventata dagli americani, maestri nella megalomania): in parole povere i modelli di smartphone dello stesso brand usciti di recente hanno mostrato di non resistere a stress tipici di questi prodotti, ad esempio metterli nelle tasche posteriori senza danneggiarsi per gli incauti possessori che vi si siedono sopra. Però si sa, quando certi prodotti hanno, come detto, carattere messianico, non saranno questi insuccessi a scalfirne la qualità sublime ….

E’ naturale pensare che, per 100 nuovi prodotti e servizi innovativi, ce ne sono altri 1000 e più che si sono persi per strada per tantissimi motivi. Del resto, come diceva Thomas Alva Edison, ogni fallimento nella ricerca di una soluzione ha il vantaggio di restringere il campo di quelle buone, anche se per chi usa solo il metro del business si tratta di una verità parziale. A volte, quindi, i fallimenti sono necessari e benefici, quando permettono a progettisti e tecnologi di capire meglio il da farsi ed imboccare la strada giusta, specie nel caso della salute e della sacralità della vita. Invece, messaggio per chi elargisce fondi pubblici troppo facilmente, sarebbe auspicabile un’analisi oculata di certi progetti, al fine di evitare che i risparmi dei comuni mortali volino via nel vento.


(fonte http://www.technologyreview.com/news/533546/the-top-technology-failures-of-2014/ ; si ringrazia il sito www.kevinmccarthy.com per la gentile concessione della foto)


mercoledì 24 dicembre 2014

La zanzara sotto l’albero di Natale


Qualche notte fa mi sveglio per un ronzio ad un orecchio. Mi sarò sbagliato, così riprendo a dormire. Passa poco e lo riavverto. Avrò dimenticato di accendere il Vape, mi dico. Il Vape ? ma siamo quasi a Natale ed io sono sotto il piumone, non è possibile ! E invece sì, c’è una zanzara assetata del mio sangue nella camera da letto. Mi rassegno e cerco di coprirmi la testa in qualche modo, vantaggio invernale di cui in estate non posso usufruire.

Sembra che sia stato l’anno più caldo degli ultimi 150 anni. E dire che in questo record da guinness quasi nessuno ci voleva entrare. Ma i dati oggi sono una questione difficilmente discutibile: il clima mondiale sta cambiando in modo sensibile e ci troviamo, tra gli effetti minori, le zanzare come indesiderati regali di Natale, senza nemmeno poterli riciclare. Quando anni fa spuntarono i partiti dei Verdi, in Italia come in altre parti d’Europa, non mi sembrò una trovata geniale. Da una parte mi dicevo: se per ogni questione sociale si dovesse creare un partito ne avremmo a bizzeffe (poi è successo lo stesso ma per altri motivi); inoltre non avevamo, né io né molti altri, la sensibilità e la  comprensione di quale urgenza ci fosse dietro questo problema. Ma ora non è più solo un incombenza sociale e politica, oppure circoscrivibile soltanto ad alcuni stati o aree del mondo: è davvero estesa e globalizzata, perchè il clima mondiale è in una fase di profonde modificazioni, portando gli effetti di cui sappiamo. E potrebbe essere solo l’inizio.

Più del 95% degli scienziati sul pianeta sostiene la teoria antropocenica: non è più quindi il caso di credere ai cicli climatici che si ripetono con periodi più o meno lunghi, anche se sono rimasti senza però essere predominanti sulla sadica mano dell’uomo, irrispettosa dell’ambiente. Non è nemmeno pensabile a cause con effetti transitori che spariscono dalla sera alla mattina, miracolosamente e senza nessun intervento, serio e pianificato, da parte di chi decide ma anche di ognuno di noi. Il vero problema è che la gente crede sempre che siano i governanti a doverci pensare, che dipenda dalle strategie pensate nelle stanze dei bottoni, che se uso l’auto per andare in un posto servito bene dai mezzi pubblici, o se acquisto un prodotto senza guardare affatto l’etichetta per conoscerne l’impatto ambientale, non fa nessuna differenza: niente di più sbagliato. La comunità nel bene e nel male la facciamo noi, con le nostre scelte e i relativi stili di vita: deve essere chiaro che il bene collettivo non matura da solo senza gli sforzi, anche piccoli, di 7 miliardi e passa di singoli individui. 

L’ambiente è un bene primario di tutti e va rispettato da tutti. E’ la nostra prima casa, in più è gratuita. Come ha detto qualcuno, la terra (intesa non solo come terreno fisico ma tutto ciò che di buono ci offre madre natura) non la ereditiamo dai nostri genitori ma ce l’abbiamo in prestito dalle future generazioni, è un obbligo etico e morale restituirlo almeno nelle condizioni originarie. Con la speranza che i frutti di questo dovere, ossia il ripristino delle sane condizioni di vivibilità a tutte le latitudini, siano godibili il più presto possibile. La natura siamo noi, uomini, animali, piante, esseri viventi e non, tutti figli dello stesso progetto supremo che non dovremmo arrogarci il diritto di cambiare, al massimo di farlo in meglio. Capire a fondo questo concetto, questa cultura della responsabilità e della sostenibilità, comportandosi di conseguenza: è questo l’augurio che faccio a tutti noi.

Buon Natale, Merry Christmas, Joyeux Noel, Feliz Navidad !


(si ringrazia www.shutterstock.com per la gentile concessione della foto)
 

lunedì 15 dicembre 2014

Le batterie scartate danno la luce all’India più povera



Avete mai sentito parlare del fullerene ? è una molecola fatta di 60 atomi di carbonio, disposti a formare una costruzione sferica con l’interno vuoto. E’ stata la scoperta, premiata col Nobel, che ha aperto la strada alla nanotecnologie. Il suo nome si deve a Richard Buckminster Fuller, inventore e architetto statunitense del XX secolo, creatore di una struttura detta cupola geodetica, alla quale i chimici hanno pensato trovandosi davanti al fullerene. Fuller era un tipo veramente eclettico con una particolare visione del mondo, con un pensiero dalle forti ricadute sociali. Tra l’altro si occupò anche di riciclo, affermando che “l’inquinamento non è altro che materiale che non stiamo raccogliendo. Ci permettiamo di disperderlo semplicemente perché ne ignoriamo il valore”.

E proprio gli scarti dei paesi più industrializzati possono assumere un importante valore per quelli in via di sviluppo. Lo dimostra il caso dei ricercatori di IBM Research India, ideatori di un flusso virtuoso di energia, elettrica ma anche sociale: recuperare le batterie dei notebook per portare la luce nelle case dei paesi più poveri. In una recente conferenza a San José, California, i ricercatori indiani hanno provato che almeno il 70% delle batterie buttate possono ancora alimentare una luce a led per almeno quattro ore al giorno, in un anno.

Forse vi sarà capitato di utilizzare un pc portatile ed accorgervi che l’autonomia residua della batteria tende a diminuire, anche drasticamente, col tempo. Si tratta di un parametro importante che molte volte è determinante nel passaggio ad un nuovo netbook: spinti dalla presunta obsolescenza ci affrettiamo all’acquisto, pur non avendo bisogno di una potenza di calcolo da laboratori NASA. E’ stato calcolato che ogni 12 mesi si accumulano nei soli USA circa 50 milioni di batterie agli ioni di litio. Eccone però un modo per farle “rivivere”: abbinarle con i sistemi ad energia rinnovabile, presenti in molti posti del mondo dove mancano le infrastrutture energetiche. 

Per questi sistemi, fatti soprattutto di pannelli solari e lampadine a led, il punto debole è proprio lo stoccaggio di energia, che sarebbe possibile risolvere con questi scarti tecnologici, opportunamente ricondizionati e rigenerati. L’IBM infatti si è avvalsa dell’aiuto di una società di hardware locale, chiamata RadioStudio, che di ogni batteria ha recuperato le singole unità contenute all’interno, ricomponendole in altri gruppi ed aggiungendo dei circuiti di controllo, per la ricarica e per la protezione dal surriscaldamento. Dopo i primi prototipi testati da poche case e da alcuni ambulanti di Bangalore, alla RadioStudio si sono dati da fare nel migliorarli, anche per risolvere problematiche accessorie, tipo usare cavi resistenti ai roditori. Allo stato attuale si sta testando una pre-produzione di qualche centinaio di pezzi, con molta fiducia di chi conduce il progetto (e molta speranza di chi ne potrà fare uso).

Com’è noto, l’India è il secondo paese più popoloso del nostro globo, con circa 1 miliardo e 200 milioni di abitanti. Di questi, un terzo non ha nessun collegamento con la rete di energia elettrica. La strada per portare gli elementi base dello sviluppo nelle case dei meno fortunati sarà ancora lunga, però si può sopperire con sistemi “di fortuna” come le batterie dei notebook riciclate, aumentandone un po’ la vivibilità. 

Da esempi come questo risulta chiara e confermata la funzione sociale del riciclo. D’altro canto, è singolare pensare che un paese a tratti in forte difficoltà, pur ricavando qualche piccolo beneficio da una tale idea di riuso low-cost, possa contribuire ad alleggerire discariche e cieli delle potenze mondiali, dove la ricchezza e il rifiuto indiscriminato vanno ancora troppo a braccetto.

Qui, per chi volesse, un approfondimento sul fullerene.


(fonte http://www.technologyreview.com/news/532896/discarded-laptop-batteries-keep-the-lights-on/ ; si ringrazia il sito www.demolitionservices.in  per la gentile concessione della foto)

martedì 9 dicembre 2014

L’analisi del sentiment mediante immagini



Con l’avvento di internet e soprattutto dei social network molte cose sono cambiate nel rapporto tra grandi marchi e consumatori. Sono stati creati software dedicati ad analizzare quello che dice “la rete” riguardo ad un brand, un prodotto, un evento, oppure quando la gente fa di più una certa cosa, informazioni molto appetibile a pubblicitari e commerciali. Questo tipo di ricerca, automatizzata visti i milioni di utenti connessi, è stato definito coi termini anglosassoni sentiment analysis, che in italiano è diventato brutalmente analisi del sentiment (termine traducibile come emozione, sensazione, umore, oppure anche sentimento nell’accezione comune).

Il sistema di analisi si basa su ciò che gli internauti scrivono. Ora però, un team composto da ricercatori dell’Università della California e degli Yahoo Labs, guidati dal professor Xu, sta cercando di capire qual è l’umore delle persone anche tramite le immagini che vengono postate e caricate, utilizzando un algoritmo basato su reti neurali.  Queste reti sono dei modelli matematici composti da più formule, nelle quali ci sono dei parametri variabili modulati finemente durante un procedimento noto come addestramento o training, dove i dati di ingresso sono sottoposti un numero elevato di volte al modello, fino ad ottenere i dati di uscita molto vicini a quelli desiderati. Si tratta di un sistema già utilizzato per il riconoscimento automatico delle immagini, sempre più in crescita date le attuali potenze di calcolo disponibili.

I ricercatori americani sono partiti da un insieme di immagini suddivise in 1000 raggruppamenti, poi hanno preso moltissime foto dai social Tumblr e Twitter, già valutate per il sentiment su una scala a cinque punti di molto negativo, negativo, neutro, positivo e molto positivo. Il passo successivo è stato quello di creare ed addestrare una rete neurale che abbinasse la suddivisione iniziale con il sentiment associato alle immagini prese dai social. In sostanza, nel primo set di immagini si era a conoscenza di cosa conteneva la foto senza comprenderne il significato emozionale, nel secondo non si era interessati al contenuto ma era noto all’incirca cosa provava il soggetto fotografato o cosa trasmetteva lo scatto nel guardarlo. Alla prova dei fatti, la rete neurale creata dal professor Xu ha riportato risultati migliori delle attuali tecniche di analisi delle immagini, come ad esempio quella basata su caratteristiche visive di basso livello, tipo il colore e le sue tonalità, oppure come  SentiBank, un software che genera una descrizione completa di aggettivi per una foto e dà quindi l’idea di riconoscerne il sentimento.

Gli esperti di marketing e di comunicazione si staranno già leccando i baffi. Uno strumento del genere potrebbe superare le analisi fatte solo su frasi, messaggi e post, che hanno due grossi limiti: la dipendenza del senso dalla lingua in cui sono formulati e le influenze culturali su sarcasmo e l'ironia, problematiche inesistenti per le immagini. L’affidabilità quindi ne avrebbe un bel guadagno e, di conseguenza, il business di chi potrà usare questi nuovi sistemi. Per non dire dell’uso, oltre a quello corrente, che potrebbero farne i partiti politici nel misurare e anche reindirizzare l’opinione della gente a loro insaputa.

Ma è naturale pensare a quali altre possibilità potrebbe portare un sistema del genere, magari nella sua versione più evoluta. L’uso più banale sarebbe quello su un presunto colpevole, per capire qualcosa in più sulla verità in base alla sua espressione. Quello meno banale e anche un po’ inquietante, potrebbe essere la misurazione del livello di felicità delle persone. Ve lo immaginate, in un futuro spero più lontano possibile, un supercomputer che smaschera gli umani tristi, relegandoli da qualche parte, e fa prosperare solo coloro che i suoi algoritmi neurali giudicano come felici ?