Prendo
spunto da due eventi, uno familiare ed uno di cronaca nazionale, per scrivere
di cultura, educazione, tecnologia ed “umanità”. Un mio nipote ha sostenuto gli
esami di terza media e, tra l’altro, ha affrontato la prova Invalsi con un
esito non brillantissimo: questa prova naturalmente ha influito sul suo voto finale. Intanto, notizia di ieri,
spunta una prof di Chimica dell’università di Messina che boccia alla grande,
con esami scritti da premio Nobel e studenti costretti a ripetere l’esame N
volte (con N maggiore di 10); per non parlare dei colleghi della prof che la
vedono come un essere “distante”.
Come collegare i due fatti? È presto detto. La
valutazione didattica delle persone, sia alla scuola media che all’università,
non può prescindere dall’elasticità mentale di chi giudica. Nel caso delle
prove Invalsi, nate tempo fa per essere un metro anche per la validità di insegnamento
dei docenti, i risultati vengono inseriti in un software che dà il suo
responso. A me sa tanto di un qualche film di fantascienza: come non ricordare
Gamma, sceneggiato Rai degli anni ’70, dove, con freddezza elettronica, si
giudicava la colpevolezza degli imputati mediante un calcolatore. Poi, a
proposito di queste fatidiche prove, vengo a sapere che in diversi casi gli
esaminatori filtrano alcuni errori inserendo i dati rivisti alla luce delle
conoscenze dello studente, ossia della sua preparazione generale (ottima per il nipote in questione) e non figlia
del momento: per me, la cosa più giusta (si potrà realizzare un software con
tali correzioni?).
Invece, nel caso della saccente prof di Chimica, la
tecnologia non c’entra: è lei che propone quesiti vertiginosamente complicati,
dai quali gli universitari non riescono
a districarsi perché arrivano senza basi dagli anni precedenti (parole
sue). In tutta franchezza, questo per me è protagonismo. L’università, sia
chiaro, deve dare insegnamenti precisi e formativi per le professioni di
domani: ma così le persone si castrano, si frustrano ! Basterà una materia, per
quanto fondamentale, a segnare la carriera e la vita degli sfortunati allievi
della docente ? Certo che no ! Siamo ancora figli di un’educazione che
considera la scuola e i suoi risultati il metro inossidabile per giudicare
studenti e uomini, senza capire che la preparazione alla vita aumenta senz’altro
cadendo e rialzandosi, ma senza necessariamente cicatrici a lungo termine. Per
non dire di tempo e soldi sprecati per gli studi, specie in tempi dove la
laurea, nel senso del pezzo di carta, in Italia vale ben poco.
Cara prof e cari
sostenitori delle Invalsi, cari integralisti della formazione, continuate pure
a fare degli schemi i vostri principi di vita, a pensare che il 2+2=4 sia la
regola base in tutto e per tutto; continuate pure a trascurare l’intelligenza
emotiva, attributo fatto di carisma, forza d’animo, spirito di coesione e adattamento, che non si può certo misurare con un calcolatore né tantomeno
con severità prettamente didattica e nozionistica; lo si può fare con intelligenza
e abilità che forse vi mancano. La storia insegna che, nonostante la preparazione sia strettamente necessaria, un
10, un 100 (il mio ex 60) o un 110 e lode non sono condizione sufficiente per
un futuro soddisfacente e sereno, lavorativamente e affettivamente. Perché,
nessuno lo dimentichi, lo scopo più nobile dell’istruzione e della cultura è formare
gli uomini, dando loro una vita dignitosa e, allo stesso tempo, di qualità
almeno decorosa.
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