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venerdì 12 giugno 2015

Climate change, quanto vale la cultura della conoscenza


E’ noto che quando una notizia si basa solo su statistiche l’uomo della strada tende a non dargli molto peso. Se la cronaca riporta un evento, piacevole o meno, lo prendiamo per buono ed eventualmente ci comportiamo di conseguenza. Quando invece mancano le certezze, siamo talvolta portati a sottovalutare i numeri, i grafici, i trend, specie se provenienti da indagini sommarie. La statistica costruisce un’ipotesi ma non è realtà acclarata. Però, nel caso dei cambiamenti climatici derivanti dall’antropocene, una realtà c’è, e non è affatto positiva. Così all’università di Plymouth (Regno Unito) hanno condotto un sondaggio che dà importanti indicazioni su come molte persone non seguano le statistiche sui disastri ambientali, ricavandone un quadro sull’importanza di aumentare la conoscenza e la comprensione sulle questioni energetiche.

Nonostante l'energia sia un fattore trasversale a tutti gli aspetti della vita contemporanea e, pur essendo il risparmio energetico una risposta cruciale al cambiamento climatico, lo studio ha evidenziato che le iniziative al riguardo in materia di istruzione e vita pubblica, ossia di alfabetizzazione energetica tra i cittadini, sono piuttosto frammentarie e disorganizzate. C’è bisogno di una forte motivazione per cambiare i comportamenti, anche perché gli intervistati sono apparsi dubbiosi circa la loro capacità di influenzare imprese e politici su questioni di rilevanza ambientale. In sostanza si è osservato che se da un lato il 90% circa ha sentito parlare di queste problematiche, meno del 20% pensa che sia la questione nazionale (inglese) più importante da risolvere. Molti hanno detto di cercare di assumere comportamenti per il risparmio energetico, tipo spegnere le luci o disattivare apparati in standby, usare la bici per gli spostamenti brevi, ecc; oppure hanno provato a convincere amici e parenti di modificare i loro stili di vita in questo senso, non trovando però il giusto interesse da parte degli interlocutori. 

Un altro sondaggio è stato condotto negli USA, circa il tema delle smart cities, da parte degli autori della piattaforma Meeting of the minds, creata per diffondere conoscenza condivisa sulla sostenibilità urbana. Le smart cities rappresentano un modello sociale e culturale, oltre che tecnologico, delle città presenti e future: un ambito evidentemente legato alla perdita di “greenicità” sia delle stesse città che di tutto il pianeta. Ebbene, solo il 40% circa degli intervistati ha dichiarato di conoscere correttamente il significato di città intelligente. Gli americani, storicamente interessati al legame ricchezza-cultura, hanno individuato una tendenza secondo cui la consapevolezza sul tema cresce insieme al reddito di chi ha risposto. Nonostante ciò, a conferma che i soldi non sempre corrispondono a menti attente e sensibili, quasi tutti hanno legato il concetto di smartness ai soli dispositivi tecnologici e non alle potenzialità del crowdsourcing, quell’intelligenza collettiva che deve essere abilitata dalla tecnologia e allo stesso tempo guidarla, senza subirla passivamente. 

Al di là dei numeri, ciò che risalta dai due studi è il valore della conoscenza come strumento per migliorare i  processi decisionali a tutti i livelli. Sono dunque necessari maggiori sforzi per collegare l'apprendimento formale con la vita quotidiana, per migliorare la consapevolezza delle buone pratiche e del loro stretto legame con il consumo energetico. Analogamente si può dire delle smart cities e degli smart citizens, i quali devono acquisire la consapevolezza e la responsabilità della nuova rivoluzione tecnologica urbana. Conoscere per agire in previsione futura, instaurare meccanismi di causa-effetto con la giusta cognizione del beneficio che ci autocostruiamo. Conosco, quindi sono. Anzi, siamo. Perché solo minimizzando certi individualismi e potenziando le azioni collettive si possono rallentare i nefasti cambiamenti ambientali, per provare a vincere le sfide della sostenibilità globale.



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