Da che cosa dipende il successo?
Applicazione, impegno, innovazione, talento, fortuna, intelligenza? Quale
intelligenza, didattica, relazionale, emotiva? E' più necessaria una
preparazione scientifica o una umanistica? Forse molti di voi credono che sia
la risultante di tutte queste cose. Ed in effetti lo pensavo anch'io, finché
non sono venuto a conoscenza di una ricerca originale condotta all'Università
di Catania.
Successo fa quasi sempre rima con
ricchezza. La distribuzione della ricchezza segue un modello chiamato "regola
80:20": l'80% della ricchezza appartiene al 20% della popolazione. Forse
ultimamente questa sproporzione si è maggiormente ampliata, dato che un report
del 2017 ha concluso che solo 8 uomini posseggono la ricchezza equivalente a
quella di quasi 4 miliardi di persone povere. Perché accade ciò? Tralasciando
per un attimo alcuni fondati discorsi di giustizia sociale, si potrebbe
rispondere che è il merito a far pendere la bilancia in modo così ripido. O
almeno questa è una delle possibili risposte. Ma, a pensarci bene, la
distribuzione delle capacità umane non segue la regola 80:20. Ad esempio, per l'intelligenza,
il QI medio è 100, ma nessuno ha un QI di 1000 o 10000. Lo stesso vale per l'impegno,
misurato in termini temporali: alcuni lavorano più ore della media e altri
meno, ma nessuno lavora moltissime volte più di chiunque altro. Eppure, quando
si guardano i compensi, certi "soggetti" hanno patrimoni mille e più
volte maggiore rispetto a noialtri.
Così un team dell'Università di Catania,
condotto dal dottor Alessandro Pluchino, ha creato un modello informatico del
talento umano, che tiene conto del modo in cui le persone lo usano per
sfruttare le opportunità nella vita. Il modello consente al team di studiare il
ruolo del caso in questo processo, utilizzando simulazioni che riproducono
fedelmente la distribuzione della ricchezza reale. Ma gli individui più ricchi
non sono i più talentuosi, anche se le abilità non possono mancare; udite,
udite, sono i più fortunati. E questo ha implicazioni significative per il modo
in cui si possono ottimizzare i rendimenti che si ottengono dagli investimenti
in qualsiasi ambito, anche nello scientifico.
Il modello si basa su un gruppo di persone,
ognuna con un certo livello di talento, che è distribuito statisticamente intorno
ad un valor medio, con alcune deviazioni standard. Quindi alcune persone hanno
più talento della media e altre meno, ma nessuno possiede capacità decisamente
superiori al resto del gruppo. Si tratta dello stesso tipo di distribuzione osservata
per varie abilità umane, o anche per altezza o peso, dato che le nostre
caratteristiche dimensionali non mostrano grosse diversità. Il modello
classifica ogni individuo supponendo una vita lavorativa di 40 anni, durante la
quale agli individui si assegnano eventi fortunati o sfortunati, decisi in modo
casuale dal calcolatore. Così, sempre all'interno del modello, tali eventi possono
essere sfruttati per aumentare la loro ricchezza, per chi è in grado di farlo.
Alla fine della simulazione, i
ricercatori siciliani hanno classificato le persone in base alla loro ricchezza,
approfondendo quali sono le caratteristiche per un maggior successo. Inoltre hanno
calcolato la distribuzione della ricchezza, ripetendo la simulazione molte
volte per verificare l'affidabilità delle conclusioni. La classificazione degli
individui in base alla ricchezza è risultata avere la stessa distribuzione di quella
esistente in realtà. Dunque, il 20% più ricco è quello dotato di maggior
talento, vero? Nemmeno per idea. Gli individui più ricchi di solito non corrispondevano
ai più capaci o intelligenti. "Il massimo successo non coincide mai con il
massimo talento, e viceversa", afferma il dott. Pluchino. E aggiunge "La
nostra simulazione mostra chiaramente che il fattore predominante è solo la pura
fortuna".
Non hanno però impostato e affinato un
tale modello per curiosità, ma per adottare, se possibile, una strategia
efficace per sfruttare il ruolo della fortuna nel successo. Poichè il loro settore
è quello della ricerca scientifica, secondo questi studiosi l'applicazione di
un simile risultato porta a dire che i migliori rendimenti dagli investimenti
in ricerca si ottengono se si dividono equamente i finanziamenti tra tutti i
ricercatori. Difatti, il team ha studiato tre modelli, in cui il finanziamento
della ricerca è distribuito alla stessa maniera a tutti gli scienziati, o
assegnato casualmente ad una parte di essi, oppure dato preferenzialmente a
quelli che hanno avuto maggior successo in passato. Proprio la prima delle tre
possibilità è stata quella vincente in termini economici.
Ora permettete una considerazione
personale. Molte volte per disconoscere i meriti altrui amiamo dire "tutta
fortuna!". Da questo studio, pur essendo solo una semplificazione della
vita reale, sembrerebbe quindi trionfare
un tale ragionamento qualunquista. Ovvio che non è così. Certo, alcune volte la
dea bendata dà veramente una mano, ma senza l'audacia di sfruttarla, le
competenze giuste, la capacità di trovare ottimi collaboratori, niente andrebbe
in porto. Lo scrivo perché c'è il rischio che qualche adolescente "in
ascolto" potrebbe pensare che studio e perseveranza contano relativamente.
No, contano eccome. Sono la condizione necessaria. Forse non sufficiente, ma
sicuramente necessaria.
(fonte
https://www.technologyreview.com/s/610395/if-youre-so-smart-why-arent-you-rich-turns-out-its-just-chance;
si ringrazia il sito http://www.baaadasssscomics.com
per la gentile concessione della foto)
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