Nonostante i
progressi in campo medico e scientifico degli ultimi anni, non c’è ancora modo
di sapere quanto vivremo, conoscendo la nostra storia clinica. E questa può
essere una fortuna. Ciò che invece può servire per migliorare la qualità della
vita e, se possibile, allontanare il più possibile l’ora fatale, è uno
strumento o un metodo che ci dica se stiamo sbagliando in qualcosa e ci faccia
correre ai ripari. Alla scuola di cardiologia della John Hopkins University di
Baltimora hanno realizzato un algoritmo che può aiutarci proprio per questo, ricavando
dalle prove storiche da sforzo cardiaco di moltissimi pazienti un collegamento
con l’involuzione della loro salute nel decennio successivo. Lo studio è stato
appena pubblicato sulla rivista di settore Mayo Clinic Proceedings.
I test da
sforzo solitamente rilevano la capacità del cuore e dei polmoni di rispondere
ad uno stress fisico e vengono condotti su un tapis roulant o su una cyclette.
Sul tapis roulant si procede aumentando anche la pendenza, così da affaticare
la nostra pompa sanguigna e registrarne il comportamento mediante
elettrocardiogramma (ECG). Il referto parla di cuore e condizioni normali, oppure
di varie sintomatologie che costringono il paziente ad ulteriori indagini. Partendo
dal fatto che il test dà risultati abbastanza semplificati, i medici di
Baltimora sono riusciti a legare lo sforzo fisico, oltre che all’età e al
sesso, anche al MET, un indicatore metabolico equivalente per esprimere il costo di un esercizio in termini di energia ed ossigeno consumati. Ad esempio il
MET ha un valore di circa 3 per una passeggiata, ma raddoppia o triplica per
questi test.
Così hanno analizzato informazioni su
circa 58000 persone non in buona forma, di età compresa tra i 18 e i 96 anni,
che avevano condotto il test nel Michigan tra il 1991 e il 2009, a prescindere
da qual era la causa per cui gli era stato consigliato di farlo. Il passo
successivo è stato di abbinare i dati registrati con gli eventi negativi sulla
salute di quelle persone, in particolare se erano mancati. Ne è venuto fuori un
quadro sorprendente: quando il livello di forma cardiaca e fisica in generale
era risultato basso usando il MET, il paziente nei dieci anni successivi aveva
avuto un quadro clinico peggiorato e in alcuni casi era deceduto. Il test
cardiaco, almeno per queste persone, si è rivelato un buon indicatore della
vita futura, anche più dei comuni collegamenti con il diabete o altre malattie
a carattere familiare. L’algoritmo sviluppato ha generato un punteggio da -200
a 200, dai grandi negativi ad alto rischio ai grandi positivi a basso rischio.
Si è visto, ad esempio, che tra i pazienti con risultato maggiore di 100 ne
sono morti solo il 2% nel decennio successivo al test, mentre tra quelli con
risultato minore di -100 la percentuale dei deceduti è salita al 38% !
Secondo i
ricercatori, il metodo di calcolo determinato permette di individuare meglio le
complesse problematiche cardiovascolari, dato che l’ECG da sforzo attuale ha
solo una classificazione sano/ammalato. Inoltre sarebbe un segnale chiaro e significativo
per illustrare il rischio a coloro che si sottopongono a test di stress, spingendo
le persone con risultati bassi a cambiare stile di vita. Ma, tutto sommato, può
servire anche a chi sta bene, rimarcando ancora una volta la crucialità di
cuore e polmoni e la massima cura che dovremmo avere per questi organi. Che, in
altre parole, vuol dire più prevenzione e maggiore attività fisica.
(fonte http://www.eurekalert.org/pub_releases/2015-03/jhm-tpp022615.php ; per chi volesse, qui maggiori informazioni sul MET)
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