C’è anche uno scienziato italiano tra i nove autori della lettera aperta inviata nei giorni scorsi al parlamento europeo, in cui si prevede la lenta cancellazione o una perentoria riduzione delle strutture di ricerca e sviluppo nazionali, se non ci sarà un cambio di rotta. La lettera, dal titolo emblematico “Hanno scelto l’ignoranza”, denuncia i drastici tagli ai budget e alle assunzioni negli istituti di ricerca di base e nelle università in un numero crescente di paesi, dove invece i finanziamenti si rivolgono verso gruppi già affermati, che fanno della ricerca applicata il loro business.
Com’è noto, lo scopo primario della ricerca scientifica di base è di far aumentare la conoscenza e la comprensione teorica delle relazioni esistenti in natura. Viceversa la ricerca applicata deve trovare soluzioni pratiche, sfruttando le conoscenze teoriche per passare allo sviluppo tecnologico. Così facendo si lega più saldamente agli interessi degli investitori, specie privati, che intravedono naturalmente un adeguato ritorno economico e minor rischio, rispetto a quello che si corre sostenendo la ricerca di base, i cui tempi e frutti sono quasi sempre incerti. Concettualmente la differenza può essere sottile, ma non lo è certo per chi ragiona con i capitali.
I dati sui
tagli alla ricerca parlano chiaro: dal 2009, in Spagna ci sono stati decrementi
del 40% su investimenti e sovvenzioni pubblici; nello stesso periodo, “l'Italia
ha tagliato il budget per l'istruzione superiore del 20%, e il numero di
posizioni a tempo indeterminato è calato di quasi il 90%”, dice Francesco Sylos
Labini, fisico italiano presso il Centro Enrico Fermi di Roma, uno degli autori
della lettera. Discorso analogo per la Grecia, con un bilancio per centri di
ricerca e università ridotto di almeno il 50% e con le nuove assunzioni bloccate. Nella
stessa Germania, pur avendo centrato l'obiettivo europeo di destinare il 3% del
PIL alla ricerca, circa l’80% degli scienziati hanno contratti a tempo
determinato, con nessuna garanzia sul futuro.
Secondo uno
dei promotori, i governi potrebbero eliminare dal calcolo del deficit
nazionale gli investimenti pubblici nella ricerca; oppure la UE potrebbe
consentire a un paese che aumenta il proprio bilancio per la ricerca di base
di diminuire proporzionalmente il suo contributo ai regimi di finanziamento
europei. Quello che non risulta chiaro nelle stanze di Bruxelles è che abbassare
il deficit tagliando i fondi in questo settore contribuisce a crearne uno nuovo,
quello nell’innovazione e nella scoperta scientifica. Di più, il processo
scientifico e la ricerca richiedono sperimentazione continua: per giungere alle
eccellenze di cui il vecchio continente si può fregiare è necessario tanto
“lavoro sporco” senza il quale i risultati non arriverebbero mai. Tutto questo
affermano i nove sottoscrittori.
Circa 5000
scienziati hanno firmato la lettera, anche extraeuropei. Si è creato quindi un ampio
movimento che comprende varie tappe, tra cui un tour in bicicletta di 3
settimane per le strade francesi, dal titolo Sciences en marche, e una serie di incontri presso le principali
università italiane. Si arriverà quindi a pacifiche proteste nelle piazze di Parigi,
Madrid e Roma. Come hanno scritto nella lettera, la scienza è una gara sulla
lunga distanza ed è indispensabile per la produzione di nuova conoscenza. Sylos Labini è stato chiaro: "Se non ci sarà un vero e proprio
sforzo del governo nel cambiare direzione, il sistema scientifico
pubblico italiano non durerà a lungo". Renzi & Co. sono avvisati.
Qui il testo
integrale della lettera.
(fonte http://news.sciencemag.org/europe/2014/10/european-scientists-ask-governments-boost-basic-research
)
(nella foto, interno del Dafne, sincrotrone dell'INFN di Frascati)
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