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lunedì 30 maggio 2016

La perversa arte del commerciale moderno


Noi umani abbiamo diverse pecche. Lo so, scopro l'acqua calda, ma l'ultima a cui ho pensato è alquanto singolare. Da quando siamo diventati dipendenti dal digitale? forse non è facile dirlo, perché certe tecnologie sono così entrate a far parte della vita quotidiana, hanno così intriso il modo di intendere i nostri giorni e di viverli, che sembra ci appartengano da tempo immemore. Internet ha compiuto 30 anni di recente, anche se la piena diffusione si è avuta dopo il 2000; i primi telefoni cellulari sono apparsi dopo il '90 (chiamavano e ricevevano solo, che strano ...) ma gli smartphone sono nelle mani di tutti (tranne qualche beata mosca bianca) da circa 5-6 anni in qua. Si è trattata di una grande conversione tecnologica che ha portato e sta portando una vera e propria rivoluzione culturale, nelle cose più semplici come comunicare, ma anche in alcuni servizi e funzionalità all'apparenza più complessi. Detto ciò, qualche volta vi sarà capitato di sentirvi dipendente e avviluppati in una ragnatela virtuale ? a me si.

Non starò qui a demonizzare le grandissime possibilità che abbiamo con questi parallelepipedi schiacciati che ormai vivono con noi. Certamente è necessario talvolta staccare, vivere di più a contatto con gli altri, stare meno online e più offline. Se lo dicesse chi il telefonino lo usa poco, magari fa un lavoro "all'antica" con un minimo apporto digitale, sarebbe piuttosto naturale. La cosa forte è che ora è arrivato a dirlo anche chi con i social media ci ha lavorato e ci lavora (facendo qualche soldino, è naturale). Mi sono imbattuto in un gruppo (non faccio nomi nè fornisco link - bè, se poi pagate magari ci penso.....) che, sottolineando la positività di stare offline, propone una sveglia, un piccolo campanello di allarme, uno schiocco di dita per interrompere quel silenzio interiore di chi comunica solo con il collo flesso. I salutisti (e quelli dotato di un minimo di buon senso) l'avevano già detto: non bisogna esagerare con l'attaccamento morboso ai social, ai servizi di messaggistica, all'ansia da notifica, e via discorrendo.

Ora mi chiedo: sarà una trovata pubblicitaria, sarà un voler tornare indietro e riscoprire il valore dell'analogico, ma com'è possibile da una parte essere competenti e spingere per l'uso di certi mezzi, dall'altra affermare: "ogni tanto bisogna disintossicarsi" ? il messaggio è senz'altro apprezzabile, questo è ovvio. "Ragazzi, c'è bisogno di un social media manager, vieni a fare il corso da noi che poi ti assumono di sicuro !" oppure "ecco le slide che ho presentato al workshop sulla comunicazione e marketing digitale, hanno chiamato me perché ho delle competenze al riguardo". E poi, come d'incanto: noi vendiamo il nero ma anche il bianco, serve sia uno che l'altro, basta trovare l'improbabile equilibrio tra stare sempre connessi e stare meno connessi, cercare una rete wifi come fosse una necessità primaria e allo stesso tempo conversare con un amico intimo e vero a cui raccontare un pezzo (reale?) della propria vita.

Che devo dirvi, a me pare un controsenso. Inseguiamo potenziali clienti da ponente a levante, mostrando di accontentarli e di provare a soddisfare i loro bisogni, anche se completamente opposti? Chissà, forse questo è il futuro del business e un giorno mi ricrederò. Arriverà il momento in cui si obbligheranno siti e smartphone ad attivare gli schermi con un "vacci piano", sulla falsariga di "bere responsabilmente" e il "fumo uccide" ? Appena succede, state sicuri che vi avverto.

martedì 24 maggio 2016

Verso i robot sociali ?


L’automazione industriale sta sostenendo la crescita esplosiva della robotica a livello mondiale. In molti casi si sta arrivando alla collaborazione diretta, senza più barriere, fra uomini e robot. Grazie ai sistemi di visione, le macchine possono “vedere” per eseguire controlli di qualità accurati e monitorare i processi. Ma tale automazione fornisce sempre più spesso soluzioni al di fuori delle fabbriche, ad esempio per la gestione del traffico, in campo medico e nell'agricoltura. Allora, i robot stanno per conquistare il mondo ? nel breve termine crediamo di no, anche perché per farlo dovrebbero muoversi autonomamente per strada tra la gente. E questo non è ancora facile per loro.

Di recente all'università di Stanford i ricercatori hanno sviluppato un algoritmo che potrebbe dare ai robot la capacità di manovrare abilmente attraverso spazi condivisi con gli esseri umani e con la loro imprevedibilità. Il team, guidato dallo scienziato di origine italiana Silvio Savarese, ha sviluppato un algoritmo informatico di visione che prevede il movimento di persone in uno spazio delimitato. Si basa su una rete neurale complessa, addestrata mediante set di dati pubblici, costituiti da ​​video di individui che si muovono in aree affollate. Ora stanno testando quell'algoritmo su un robot mobile chiamato JackRabbot: ha due ruote, molte telecamere e sensori, sistema GPS, insomma tutto l'occorrente per esplorare gli spazi esterni proprio e testare l'approccio in situazioni reali.

Se quindi da un parte i robot stanno gradualmente lasciando gli ambienti controllati, dall'altra vi è la sfida di come programmare questi dispositivi per rispettare le convenzioni sociali umane. Al momento, l'esempio più notevole di robot che interagisce direttamente con persone e sistemi "quasi-umani" è il veicolo a guida autonoma di Google, per quanto il comportamento sia molto buono in circuiti chiusi e lontano dall'accettabile sulle strade comuni, semplicemente perché manca una profonda comprensione delle norme sociali della strada. Pensate dunque a quello che accadrebbe se automi simili dovessero muoversi in negozi e uffici. Ci sono delle regole implicite che persone e folle seguono (tra l'altro ne avevamo già parlato qui ), ed è proprio su di esse che va posta la maggior attenzione.

Una startup chiamata Starship Technologies, produttrice di robot per distribuire pacchi, sta lavorando anche su questa materia. L'azienda ha testato i suoi robot in diverse sedi negli Stati Uniti e nel Regno Unito, sia per risolvere problemi dovuti a banali marciapiedi sconnessi o comunque ad ostacoli non previsti, sia per evitare i pedoni. Al momento gli ingegneri stanno controllando i robot in remoto sull'andamento delle finte consegne. Ma un aspetto da non sottovalutare è anche l'accettazione sociale di questi umanoidi, di come potremmo considerarli in quanto diversi (bel tema, attuale soprattutto....).

Sulla strada che porta i robot ad assomigliare all'uomo si cerca così di smussare l'interazione tra queste due tipologie di "individui" che ne potrà e dovrà derivare. Gran parte della ricerca non è solo di natura tecnologica, ma anche di carattere sociale, ossia capire a fondo le norme di interazione sociale umana e cercare di replicarle nelle macchine. Sfida non di poco conto, ad esempio, è quella di far nascere in autonomia ed in modo dinamico gruppi di persone e di robot che insieme si muovono senza difficoltà. Per attraversare una strada, andare al lavoro, fare tragitti e compiti quotidiani. Certo, detto così sembra un po' inquietante. Lo sarà ancora di più se gli automi saranno così perfetti da apprendere anche i nostri difetti. E' un ossimoro, ma chi può escluderlo ?




martedì 10 maggio 2016

Alla ricerca del DNA di Leonardo


A marzo 2015, dopo un lavoro di ricerca molto approfondito e durato diversi anni, è stato scoperto il posto esatto dove era stato sepolto il re d'Inghilterra Riccardo III. Con grande stupore sono stati ritrovati i resti sotto un anonimo parcheggio, poi posizionati in una tomba dal più alto blasone, più o meno mezzo millennio dopo il passaggio a miglior vita del re. Ora un progetto simile, anche se dalle finalità diverse e più complesso, vuole collegare tra loro i resti genetici di Leonardo da Vinci, sparsi sulle sue opere, con quelli prelevabili, se possibile, dalle sue spoglie in Amboise, Francia. E' stato denominato Progetto Leonardo: iniziato nel 2014, coinvolge una serie di studiosi dei campi più disparati, scientifici ed umanistici, tra cui alcuni provenienti dal J. Craig Venter Institute in California, dove anni addietro hanno iniziato a sequenziare il genoma umano. Secondo le previsioni, la conclusione avverrà nel 2019, per celebrare il cinquecentesimo anniversario della morte di Leonardo.

Il genio italiano quattrocentesco fu sepolto in un ambiente che ha subito modifiche negli anni successivi, perciò la posizione esatta della tomba non è nota. Si presume sia localizzata nella cappella di Saint-Hubert, all'interno del castello di Amboise. Se il DNA ed altre analisi producono un'identificazione definitiva, le tecniche computerizzate potrebbero ricostruire il volto di Leonardo dai modelli del cranio. Oltre all'aspetto fisico, si potrebbero ricavare interessanti informazioni sulla sua discendenza, su quale fossero dieta, stato di salute e abitudini personali. Ma il progetto mira a sviluppare un profilo genetico abbastanza ampio per capire meglio le sue capacità e la sua finezza visiva, che potrebbe fornire spunti su altri individui con qualità geniali simili.

Per alcune caratteristiche si tratta di una indagine poliziesca, riferita ad un passato molto lontano. Per esempio, un obiettivo è quello di verificare se le impronte digitali su dipinti di Leonardo, disegni e quaderni possono produrre un DNA coerente con quello estratto dai resti identificati. Quando qualche anno fa è iniziato il restauro del capolavoro vinciano "L'adorazione dei magi", alcuni tecnici si sono cimentati sulla preziosa tavola alla ricerca di tracce genetiche, analizzando la polvere sulla pittura. Naturalmente si è posto il problema se tali tracce hanno la capacità di conservarsi per così lungo tempo. Nel frattempo ricerche simili sono state condotte su dipinti di proprietà privata, sia come termine di confronto, sia proprio per sviluppare tali tecniche di estrazione del DNA da dipinti così remoti: esigenza molto sentita nel mondo dell'arte, per combattere il vastissimo mercato della contraffazione.

E' certo, affermano gli scienziati, che se il da Vinci fosse qui accoglierebbe con entusiasmo questa iniziativa e molto probabilmente sarebbe lui stesso il team leader. Come dar loro torto. Un genio che fece della sua vita uno strumento di conoscenza, di prova, di esperimento e di visione continui. Quel genio che, affamato di sapere, non smetteva mai di imparare, di carpire i segreti della natura e la bellezza della vita. Come disse in un suo pensiero "Sì come il ferro s'arruginisce sanza esercizio, così lo 'ngegno sanza esercizio si guasta".



 (fonte http://www.eurekalert.org/pub_releases/2016-05/tca-ldv050316.php ; si ringrazia il sito http://www.opificiodellepietredure.it/  per la gentile concessione della foto)

martedì 3 maggio 2016

Una rapida riparazione dei ponti


Davanti alla forza della natura noi non possiamo niente. O meglio, qualcosa riusciremmo a fare se tutta la catena che va dagli studi preliminari, passando per il progetto fino alla realizzazione di un’opera edile o infrastrutturale fosse condotta con vero raziocinio, onestà intellettuale e rispetto dell’ambiente. Ma questo forse è chiedere troppo. Così ci riduciamo, quando avvengono delle catastrofi naturali, nella migliore delle ipotesi a quantificare i danni, nella peggiore a contare i morti. A volte, come nel caso dei terremoti, è difficile persino raggiungere le zone interessate dal sisma e portare i primi soccorsi, perché una strada o un ponte non hanno retto. Per i ponti, però, una rapida soluzione per rimetterli in sesto è stata progettata di recente all’università dello Utah.

Durante un terremoto i ponti sono sollecitati maggiormente in alto, dove i pilastri incontrano le diverse campate, e in basso, dove gli stessi poggiano sulle fondamenta. Se tali punti subiscono gravi danni il ponte potrebbe non essere più recuperabile, specie se le armature interne si sono rotte, e quindi deve essere abbattuto. Nei casi più fortunati invece le colonne portanti sono stabilizzate mediante gabbie d'acciaio nelle quali la struttura interna viene ricostruita. Un procedimento che può durare settimane o mesi. Invece il team di ricercatori dello Utah ha sviluppato un nuovo processo di ripristino dei pilastri che dura solo pochissimi giorni. Esso comporta la creazione di blocchi a forma di ciambella, di un materiale speciale, posizionati intorno alla parte inferiore e superiore di ogni colonna. Il materiale è un polimero rinforzato con fibre di carbonio, con parametri di resistenza a compressione e trazione superiori al cemento armato.

Con riferimento alla base del pilastro, un certo numero di armature in acciaio vengono inserite nella fondazione, tramite perforazione, e poi fissate con una resina epossidica. Successivamente le due metà del guscio circolare realizzato in fibra composita sono posizionate intorno alla colonna e fatte solidificare con una piccola gettata di cemento. Infine il tutto viene ricoperto di calcestruzzo. Stando alle prove dei tecnici, il pilastro riparato possiede all'incirca la stessa stabilità strutturale dell'originale. La forma circolare del particolare "cuscinetto" applicato permette di distribuire le sollecitazioni equamente sulle fondamenta. Nelle eventualità di scosse di assestamento il ponte ha maggiori probabilità di resistere, visto che la parte elastica del nuovo giunto sovrapposto fa da ammortizzante rispetto alle notevoli forze impulsive in gioco.

Un metodo piuttosto rivoluzionario che, al di là della dovizia ingegneristica, ha il grande vantaggio sociale di conservare l'uso originario del ponte e permettere agli equipaggi di soccorso di raggiungere in tempi abbastanza brevi persone e luoghi altrimenti isolati. Ma si sta già pensando ad una versione adatta al retrofit dei ponti, ossia a quelle operazioni di manutenzione che possono garantire una maggiore sicurezza e una vita più lunga a tali infrastrutture. E, siccome l'appetito vien mangiando, la procedura potrebbe essere estesa anche ai pilastri danneggiati degli edifici.

Ma, detto fra noi italiani, non vi vengono in mente altri usi oltre a quello post-sisma ? Penso soprattutto a quelle strutture, sparse per lo stivale, che si riducono in condizioni pietose a poche settimane dall'apertura. Un sistema del genere potrebbe tamponare le falle createsi grazie alla "creatività" delle ditte vincitrici l'appalto ? Può darsi. Pare però che, se così fosse, il nostro caro presidente del consiglio aumenterebbe la significativa presenza sui cantieri, al solo scopo di re-inaugurare strade o ponti non nuovi. Volete mettere la contentezza degli operai nel vederlo ?