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martedì 27 marzo 2018

Monitoraggio non invasivo dello stomaco



Avrete forse sentito parlare di un dispositivo medico chiamato holter. Viene utilizzato per monitorare lo stato di salute di un paziente, nella maggior parte dei casi riguardo all'attività cardiaca, per diverse ore, tipo una giornata intera. E' una "scatoletta" che si indossa sul torace mediante una fascia elastica e permette di registrare, con alcuni elettrodi tipo quelli da elettrocardiogramma, l'attività del nostro propulsore. Finora nessuno aveva mai pensato di utilizzare un dispositivo simile anche per lo stomaco, primo perché i segnali elettrici dello stomaco sono 10 volte più deboli di quelli del cuore, secondo perché essi sono sovrapposti ad altri segnali e rumorini delle vicinanze: il cuore stesso, i muscoli addominali che si contraggono, l'attività gastrica che è essenzialmente fatta di reazioni chimiche, non proprio silenziosissime.

E' nato così un progetto in collaborazione fra tre categorie di ricercatori: bioingegneri dell'università californiana di San Diego, medici del Rady Children's Hospital e della San Diego School of Medicine, neuroscienziati dell'università di Berkeley. Il team ha testato un dispositivo, proprio per il monitoraggio dello stomaco, su 11 bambini e un adulto. E' racchiuso in una scatola portatile stampata in 3D, contenente elettronica e batteria, e collegato a 10 piccoli elettrodi da indossare. Hanno quindi scoperto che i dati raccolti con il sistema indossabile erano paragonabili ai dati raccolti in clinica con metodi all'avanguardia, ma invasivi; in tal caso viene infatti inserito un catetere attraverso il naso del paziente, procedura che si definisce pHmetria. I risultati ottenuti dai ricercatori hanno evidenziato che l'attività elettrica dello stomaco cambia non solo attorno ai pasti, ma anche durante il sonno, seguendo il ritmo circadiano di ognuno.

"Pensiamo che il nostro sistema innescherà un nuovo tipo di medicina, in cui un gastroenterologo può vedere rapidamente dove e quando una parte del tratto gastrointestinale mostra ritmi anomali e, di conseguenza, rendere più accurate, più veloci e personalizzate le diagnosi", ha detto il dottor Gharibans, uno degli autori. Che ha aggiunto "Fino ad ora, è stato abbastanza difficile misurare con precisione i modelli elettrici dell'attività dello stomaco in modo continuo, al di fuori di un contesto clinico. Da ora in poi, saremo in grado di osservare i modelli e analizzarli sia in persone sane che malate, senza tenerle in osservazione in ospedale." I medici coinvolti nello studio affermano che il dispositivo soddisfa una necessità clinica fino a ieri mai risolta; così facendo si potrà verificare se lo stomaco funziona correttamente durante i pasti e cosa sta accadendo quando si hanno  sintomi come nausea e dolori addominali.

Alcune patologie gastro-intestinali (GI), come lo svuotamento ritardato dello stomaco, sono comuni nei pazienti con diabete e Parkinson. Questa tecnologia potrebbe migliorare la gestione di queste condizioni, ma anche le persone sane potrebbero trarne vantaggio. Ad esempio, gli atleti professionisti potrebbero monitorare l'attività GI per calcolare il momento migliore per i pasti, in particolare durante i lunghi viaggi e quando si cambia facilmente fuso orario. Le modifiche alla digestione e alla salute gastrica sono le caratteristiche di due processi sottostimati, invecchiamento e gravidanza: con il nuovo holter si potranno quantificare i cambiamenti che avvengono durante questi periodi della vita. Ma sarà anche adatto per bambini con motilità e disturbi gastrointestinali funzionali, vista la mancanza di sedazione.

In definitiva una tecnologia che offre la flessibilità di monitorare i nostri organi digerenti mentre continuiamo le attività quotidiane: molto pratico ma senza compromettere la precisione. Si aggiunga, inoltre, la possibilità di valutare la risposta del cervello-intestino a degli interventi terapeutici tra cui biofeedback e neuromodulazione. Ovviamente dove c'è un minimo di elettronica i collegamenti con quell'altra scatoletta con cui viviamo in simbiosi, lo smartphone, sono presto fatti. Il sistema è  associato ad un'app che consente ai pazienti di registrare i pasti, il sonno e altre attività. L'obiettivo a lungo termine è di progettare un'applicazione che consenta a pazienti e medici di analizzare i dati raccolti dal dispositivo in tempo reale. Non si tratta comunque di un medicina "fai da te", ma di un modo rapido e personalizzato di avere una diagnosi e la relativa terapia, minimizzando nei limiti del possibile gli effetti collaterali.




venerdì 16 marzo 2018

Il tempo e la felicità



Quel principe partenopeo che tutti conosciamo come Totò amava dire “la felicità è fatta di attimi di dimenticanza”, intendendo naturalmente quei momenti in cui, per una congiuntura astrale favorevole, si riesce a non pensare ai problemi quotidiani. Apprezzabilissimo come aforisma, anche perché il tempo è un fattore determinante, sia nella presunta ricerca della felicità, che relativamente alla durata di quegli istanti di dimenticanza. Ora lo dice anche una ricerca condotta a quattro mani dalla Rutgers University del New Jersey e la Scarborough University di Toronto: le persone che perseguono la felicità spesso si sentono come se non avessero abbastanza tempo e ciò li rende paradossalmente infelici. In altre parole i ricercatori hanno dimostrato che l'obiettivo di raggiungere la felicità può influire sulla percezione del tempo.

Nell'esperimento alcuni volontari dovevano elencare delle cose che li avrebbero resi più felici mentre guardavano un film noioso, dimostrando così la felicità come obiettivo perseguibile. Ad altri invece venne chiesto di pensare alla felicità attraverso traguardi già raggiunti, guardando una commedia o comunque qualcosa di più divertente rispetto ai primi. Successivamente, tutti i partecipanti hanno riferito di quanto tempo libero sentivano di avere. La scoperta principale dei ricercatori è stata che la percezione di una persona del tempo a disposizione è influenzata dalla ricerca della felicità. Le persone del secondo gruppo, quelli già felici per intenderci, avevano una bassa sensazione del tempo diminuito a loro disposizione: la vita gli aveva già sorriso e potevano goderne, potremmo aggiungere.

La ricerca sottolinea inoltre che le persone hanno concetti diversi sulla felicità, modi e mezzi per riuscirci che dipendono dal vissuto e dalle proprie ambizioni, che a loro volta possono influenzare il modo in cui percepiscono il tempo necessario per raggiungerla. E qui, sulla soggettività del tema, ci eravamo già arrivati da soli. Lo stesso Einstein ebbe a dire, a proposito della sua relatività "Quando un uomo siede vicino ad una ragazza carina per un’ora, sembra che sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa accesa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora."

La conclusione, a detta degli studiosi, è che la gente preferisce acquistare beni materiali per soddisfare i bisogni personali, perché impegnarsi in esperienze, fosse anche solo un viaggio, e attendere le eventuali emozioni che ne derivano richiede più tempo e fatica. A maggior ragione se inseguire una meta porta a pensare che non ci sia sufficiente tempo per raggiungerla. Per lo stesso motivo, alcune persone accampano alibi quali lo stress della mancanza di tempo, rendendosi poco disponibili a trascorrere delle ore con chi ha bisogno ed in generale a fare del volontariato. Perciò, secondo i ricercatori americani, socialmente sarebbe un bene incoraggiare gli individui a preoccuparsi meno di perseguire la felicità come un fine: così facendo il "peso" del tempo sarebbe inferiore e, molto probabilmente, la felicità stessa arriverebbe davvero.

Forse sarò banale, ma è inevitabile affermare che il troppo affannarsi, specie per cercare una felicità materiale, che si trasforma facilmente in avidità e brama di raggiungere l'irraggiungibile, può risultare molto controproducente. Sicuramente possiamo dire che l'incertezza del futuro, sia nel quotidiano, che nei progetti a più lungo termine, rischia a volte di diventare un macigno sul processo decisionale e sul benessere personale, a partire dal presente. Tempo e felicità sono strettamente correlati, quindi. Da una parte chi ha davanti adolescenza, maturità, avvenire, può costruirsi la vita migliore che forse lo renderà felice. Ma bisogna educarli a farlo. Dall'altra, chi è più in là negli anni può concentrarsi su ciò che ha realizzato ed esserne fiero. Allora probabilmente la felicità è tutta una questione di approccio.




lunedì 5 marzo 2018

Il segreto del successo


Da che cosa dipende il successo? Applicazione, impegno, innovazione, talento, fortuna, intelligenza? Quale intelligenza, didattica, relazionale, emotiva? E' più necessaria una preparazione scientifica o una umanistica? Forse molti di voi credono che sia la risultante di tutte queste cose. Ed in effetti lo pensavo anch'io, finché non sono venuto a conoscenza di una ricerca originale condotta all'Università di Catania.

Successo fa quasi sempre rima con ricchezza. La distribuzione della ricchezza segue un modello chiamato "regola 80:20": l'80% della ricchezza appartiene al 20% della popolazione. Forse ultimamente questa sproporzione si è maggiormente ampliata, dato che un report del 2017 ha concluso che solo 8 uomini posseggono la ricchezza equivalente a quella di quasi 4 miliardi di persone povere. Perché accade ciò? Tralasciando per un attimo alcuni fondati discorsi di giustizia sociale, si potrebbe rispondere che è il merito a far pendere la bilancia in modo così ripido. O almeno questa è una delle possibili risposte. Ma, a pensarci bene, la distribuzione delle capacità umane non segue la regola 80:20. Ad esempio, per l'intelligenza, il QI medio è 100, ma nessuno ha un QI di 1000 o 10000. Lo stesso vale per l'impegno, misurato in termini temporali: alcuni lavorano più ore della media e altri meno, ma nessuno lavora moltissime volte più di chiunque altro. Eppure, quando si guardano i compensi, certi "soggetti" hanno patrimoni mille e più volte maggiore rispetto a noialtri.

Così un team dell'Università di Catania, condotto dal dottor Alessandro Pluchino, ha creato un modello informatico del talento umano, che tiene conto del modo in cui le persone lo usano per sfruttare le opportunità nella vita. Il modello consente al team di studiare il ruolo del caso in questo processo, utilizzando simulazioni che riproducono fedelmente la distribuzione della ricchezza reale. Ma gli individui più ricchi non sono i più talentuosi, anche se le abilità non possono mancare; udite, udite, sono i più fortunati. E questo ha implicazioni significative per il modo in cui si possono ottimizzare i rendimenti che si ottengono dagli investimenti in qualsiasi ambito, anche nello scientifico.

Il modello si basa su un gruppo di persone, ognuna con un certo livello di talento, che è distribuito statisticamente intorno ad un valor medio, con alcune deviazioni standard. Quindi alcune persone hanno più talento della media e altre meno, ma nessuno possiede capacità decisamente superiori al resto del gruppo. Si tratta dello stesso tipo di distribuzione osservata per varie abilità umane, o anche per altezza o peso, dato che le nostre caratteristiche dimensionali non mostrano grosse diversità. Il modello classifica ogni individuo supponendo una vita lavorativa di 40 anni, durante la quale agli individui si assegnano eventi fortunati o sfortunati, decisi in modo casuale dal calcolatore. Così, sempre all'interno del modello, tali eventi possono essere sfruttati per aumentare la loro ricchezza, per chi è in grado di farlo.

Alla fine della simulazione, i ricercatori siciliani hanno classificato le persone in base alla loro ricchezza, approfondendo quali sono le caratteristiche per un maggior successo. Inoltre hanno calcolato la distribuzione della ricchezza, ripetendo la simulazione molte volte per verificare l'affidabilità delle conclusioni. La classificazione degli individui in base alla ricchezza è risultata avere la stessa distribuzione di quella esistente in realtà. Dunque, il 20% più ricco è quello dotato di maggior talento, vero? Nemmeno per idea. Gli individui più ricchi di solito non corrispondevano ai più capaci o intelligenti. "Il massimo successo non coincide mai con il massimo talento, e viceversa", afferma il dott. Pluchino. E aggiunge "La nostra simulazione mostra chiaramente che il fattore predominante è solo la pura fortuna".

Non hanno però impostato e affinato un tale modello per curiosità, ma per adottare, se possibile, una strategia efficace per sfruttare il ruolo della fortuna nel successo. Poichè il loro settore è quello della ricerca scientifica, secondo questi studiosi l'applicazione di un simile risultato porta a dire che i migliori rendimenti dagli investimenti in ricerca si ottengono se si dividono equamente i finanziamenti tra tutti i ricercatori. Difatti, il team ha studiato tre modelli, in cui il finanziamento della ricerca è distribuito alla stessa maniera a tutti gli scienziati, o assegnato casualmente ad una parte di essi, oppure dato preferenzialmente a quelli che hanno avuto maggior successo in passato. Proprio la prima delle tre possibilità è stata quella vincente in termini economici.

Ora permettete una considerazione personale. Molte volte per disconoscere i meriti altrui amiamo dire "tutta fortuna!". Da questo studio, pur essendo solo una semplificazione della vita reale, sembrerebbe  quindi trionfare un tale ragionamento qualunquista. Ovvio che non è così. Certo, alcune volte la dea bendata dà veramente una mano, ma senza l'audacia di sfruttarla, le competenze giuste, la capacità di trovare ottimi collaboratori, niente andrebbe in porto. Lo scrivo perché c'è il rischio che qualche adolescente "in ascolto" potrebbe pensare che studio e perseveranza contano relativamente. No, contano eccome. Sono la condizione necessaria. Forse non sufficiente, ma sicuramente necessaria.