Parole al vento. E’ quello che pensiamo
spesso quando sentiamo parlare un politico. Abbiamo, secondo me, una piccola
parte nell’encefalo che si predispone negativamente, appena intercettata tale
“professione” dell’oratore, su argomenti a metà strada tra l’enfasi del nulla e
l’aria fritta. E se sapessimo che i loro discorsi sono stati scritti da un
software come ci comporteremmo ? saremmo curiosi di ascoltarli fino in fondo o
diremmo che anche le macchine sono state programmate per le loro promesse da
marinaio ?
E’ piuttosto noto che i politici si
affidano a mani sapienti per comporre frasi, periodi e ragionamenti che
verranno ascoltati dal grande pubblico. Questa consuetudine si è sempre più
diffusa col tempo, da quando cioè il potere della comunicazione ha quasi
superato quello dei contenuti. Ma, analizzandoli a fondo, qualcuno ha notato
che questi discorsi sono molto simili tra loro, tendono a seguire un formato
standard, ripetere le stesse argomentazioni, e persino utilizzare le stesse
frasi per indicare una particolare appartenenza o una corrente di pensiero.
Così, all’Università del Massachusetts, il
dottor Kassarnig ha utilizzato un database di quasi 4000 segmenti di discorso
politico, estratti da 53 dibattiti tenutisi al Congresso degli Stati Uniti, per
formare un algoritmo di apprendimento automatico e produrre discorsi automaticamente.
Questi discorsi sono costituiti da oltre 50.000 frasi contenenti ciascuno 23
parole in media. Kassarnig ha effettuato
una classificazione a seconda del partito democratico o repubblicano, la
classica suddivisione nordamericana di settore, e se ciò che veniva detto era pro
o contro un determinato argomento. Così sono state individuate sequenze di 5
parole collegabili tra loro, come se fossero unità discorsive elementari con
una logica di sequenzialità. Sviluppando delle statistiche su questa
frammentazione, lo scienziato ha potuto prevedere quali gruppi di parole potevano seguire quelle precedenti, cosi da
comporre un discorso di senso compiuto. Ha quindi creato un sistema di
intelligenza artificiale che scrive discorsi per chi ci governa.
Il processo di generazione è comunque
guidato, non è ancora del tutto automatizzato. Kassarnig inizia scegliendo il
tipo di discorso, ossia per democratici o repubblicani. L'algoritmo quindi
esamina il database per quella categoria per trovare uno dei set di parole
utilizzate per avviare uno di questi interventi pubblici, scegliendone uno
casualmente. Poi il software determina, su base statistica, quale può essere il
gruppo logico successivo, agganciato a quel set, continuando fino a determinare
anche una possibile conclusione. Nella scelta dei set di parole l'algoritmo è
in grado di calcolare la probabilità che un particolare argomento verrà citato,
concatenando quindi frasi inerenti a quell'argomento.
Una tecnica del genere potrebbe
risultare vantaggiosa anche in altri campi. Ad esempio, numerosi fatti di
cronaca hanno delle caratteristiche in comune che potrebbero prestarsi alla
composizione automatica delle notizie. Ma, indubbiamente, l’accostamento
intelligenza artificiale – politica è di grande suggestione. E se ci
accorgessimo che, oltre ai discorsi, anche nelle decisioni un politico può
essere sostituito da una macchina ? apriti cielo ! Avremmo certamente due
vantaggi immediati: minor spreco nei soldi pubblici e possibilità di staccare
la spina al primo sbaglio. Scherzi a parte, ora abbiamo la prova scientifica
che la ripetitività orale dei nostri governanti e la ciclicità delle loro
parole è davvero troppa.
(fonte
http://www.technologyreview.com/view/545606/how-an-ai-algorithm-learned-to-write-political-speeches/ ; si ringrazia il sito http://www.hinckley.utah.edu/ per la
gentile concessione della foto)