Quando ero alle superiori e mancava poco
alla scelta universitaria, non mi era mai venuto in mente di prendere Medicina.
I troppi anni e il contatto con la sofferenza mi spaventavano. Però, almeno per
gioco, avevo provato a chiedermi quale specializzazione avrei voluto scegliere.
La risposta era una sola: Neurologia. Mi affascinava e mi affascina tuttora la
nostra materia grigia e le sue potenzialità. Naturalmente, come si dice, non è
tutto oro ciò che luccica: mi sarei imbattuto in patologie mica da ridere. Tuttavia,
al riguardo, nei successivi anni la tecnologia ha corso veloce. Ora si parla di
impianti cerebrali sotto pelle che potrebbero stravolgere il settore e dare
speranza a seri problemi.
Alla Harvard
Medical School stanno testando un nuovo tipo di impianto encefalico che ha lo
scopo di ripristinare la vista ai non vedenti. Ma si potrebbe estendere ad
altre disabilità. I test inizieranno il mese prossimo sulle scimmie, per
memorizzare più dati possibili e sperimentare a fondo questa neuro-tecnologia
all'avanguardia. Fino ad oggi, infatti, sono stati realizzati esperimenti di
altro genere, come consentire ad una persona, con gli arti superiori
paralizzati, di bere autonomamente tramite un braccio robotico; oppure
permettere ai non vedenti di intravedere qualche luce. In questi casi, però,
gli elettrodi impiantati diventavano col tempo inutilizzabili: intorno a loro
si formava del tessuto cicatriziale che degradava il collegamento elettrico con
le cellule cerebrali.
I ricercatori di Boston utilizzeranno un
nuovo tipo di impianto che può poggiare sulla superficie del cervello, invece
di penetrare all'interno dell'organo. Una serie di bobine microscopiche, di
spessore circa quello dei capelli, generano dei campi magnetici che vanno
selettivamente ad indurre attività elettrica in particolari punti del tessuto
cerebrale. Il dispositivo sarà utilizzato per stimolare la corteccia visiva
delle scimmie, cercando di ricreare l'attività normalmente innescata dai
segnali provenienti dagli occhi, senza usare questi ultimi. L'obiettivo finale è
quello di utilizzare l'impianto per convertire i segnali da una microscopica telecamera
in attività neurologica interpretata correttamente. Gli scienziati affermano
che l'efficacia delle bobine non dovrebbe peggiorare nel corso del tempo, visto
che i campi magnetici non sono ostacolati dal tessuto e perciò le piccole
correnti elettriche risultano più affidabili negli anni.
Il buon Obama, tra l'altro, aveva
lanciato l'iniziativa BRAIN (Brain
Research through Advancing Innovative Neurotechnologies), creata per
migliorare la comprensione del funzionamento dell'encefalo. Questo progetto
rientra nella stessa iniziativa e da lì attingerà i fondi, anche se la
tecnologia è nata all'interno dell'istituto di ricerca PARC, di proprietà della
Xerox. Si tratta comunque di un nuovo approccio molto promettente, anche se ci
vorrà del tempo prima che diventi chiaro come utilizzarlo negli esseri umani. I
colleghi dell'Università della California, a San Diego, si sono mostrati entusiasti.
Ad esempio, il professor Coleman ha dichiarato che le piccole bobine potrebbero
essere utilizzate per almeno altre due tecniche: modulare l'attività dei
milioni di neuroni associati al sistema digestivo umano, oppure riuscire ad
agire sul nervo vago nel torace per controllare i sintomi dei disturbi
post-traumatici da stress.
Nel frattempo, c'è una parte di scienza
che ha bisogno di cervelli. Non in fuga e nemmeno brillanti. Se volete,
approfondite qui.
(fonte
https://www.technologyreview.com/s/603602/this-technology-could-finally-make-brain-implants-practical ; si ringrazia il sito http://www.popsci.com per la gentile
concessione della foto)