In passato ho dipinto, circa 10 anni fa.
Bè, dipingere è un verbo impegnativo, almeno secondo il mio punto di vista.
Alla voce la Treccani recita “Rappresentare artisticamente o con intenzione
artistica un oggetto reale o immaginario per mezzo di colori”. Ciò significa
che, al di là del reale o dell’immaginario, avrei dovuto usare l’intenzione
artistica. E qui le cose si fanno più complesse. I risultati, naturalmente,
sono stati alquanto discutibili. Ne ho estratti quattro, i meno scarsi, che ora
cercano a fatica di abbellire le pareti della mia abitazione. Per venire al
punto, l’arte in fondo che cos’è? Bellezza, provocazione, senso di stupore,
forma (qualsiasi) di espressione? Forse tutte queste cose, ma non solo.
Andare in vacanza all’estero, in grandi città, e non gustare niente di
importante, artisticamente parlando, è un po’ come andare a Roma e non vedere
il Papa. Io la penso così. Sono stato a Barcellona e mi sono affacciato al MACBA, il museo d'arte contemporanea della capitale catalana. Amo tantissimo questo genere ed era quindi inevitabile una tappa del genere. A piano terra ho scorto
un’opera di Pistoletto, artista italiano che ho avuto modo di apprezzare in
passato e di parlarne,
circa 5 anni fa. Poi, in un piano superiore, mi ha fatto
riflettere il lavoro di un’artista che invece non conoscevo. Provo a parlarvene.
Lo specchio è
un oggetto al limite del reale. Ci regala il doppio di quello che siamo e che
vediamo. E’ l’illusione che una cosa bella possa raddoppiare o addirittura
moltiplicarsi, per la nostra gioia, ma fa lo stesso con i nostri incubi. Dilata
lo spazio ma concettualmente può fare lo stesso con il tempo. Al MACBA Michelangelo Pistoletto, pittore, scultore e artista a tutto tondo, piemontese
di nascita, gioca con gli specchi. L’installazione che ho incontrato,
denominata Architettura dello Specchio e realizzata nel 1990, è fatta da 4 specchi molto grandi,
appoggiati al muro, distanziati di poco tra loro, ma che sarebbero facilmente
ricomponibili in uno solo, a formare uno specchio unico e gigante, con tanto di
cornice. L’artista parla della dicotomia tra l’essere e l’apparire, tra come ci
vediamo noi e come ci guardano gli altri. Tema sempre attuale. Lo specchio è
sempre presente e fa da tramite tra l’io e l’altro, tra il singolo e la
comunità, in un continuo rimando di concetti tra il sé intimo e l’essere
sociale. “Gli occhi sono specchi, la mente è lo specchio degli occhi e le
azioni sono lo specchio della mente.” affermava Pistoletto nel 1987. Qui di
seguito una mia foto.
La seconda
opera che mi ha colpito è un’installazione, quasi monocromatica, che occupa dal
2007 un’intera stanza del museo. L’artista è marocchina, si chiama Latifa
Echakhch, e il lavoro prende il nome da un’affermazione di Yasser Arafat “à chaque stencil une revolution”, ossia
“Ad ogni stampo una rivoluzione”, con riferimento agli scioperi del maggio ‘68
in Francia e alle proteste nordamericane contro la guerra del Vietnam. In
quegli anni, infatti, per stampare volantini rivoluzionari si utilizzava la
carta carbone e le macchine per gli stencil, ossia il ciclostile. Così l’artista
ha usato moltissimi fogli di carta carbone, incollati su 3 pareti della stanza,
sui quali ha versato prima alcol e poi inchiostro blu, che in parte hanno aderito
alla carta, in parte sono colate fino a “sporcare” il pavimento chiaro.
L’insieme a prima vista può apparire monotono, ma certamente suggestivo. La
cosa strana però è questa: al visitatore medio, il significato dell’opera non
appare subito evidente. Per niente proprio. Dopo le prime ricerche sulla rete,
anch’io ci ho messo un po’ a focalizzarlo. Pensate, a me dava l’idea di un
cielo blu che si dissolve verso il basso, si scolora, si scioglie perché l’uomo
spesso non merita lo spettacolo del firmamento. Ecco una mia foto.
L’arte
moderna, postmoderna, contemporanea o come volete definirla, non ha lo
splendore delle ninfee di Monet e nemmeno il mistero umano dei chiaroscuri di
Caravaggio, per restringere il campo alla sola pittura. Essa procede per direttrici
completamente diverse, a volte poco comprensibili ma, svelato il significato,
racconta sentimenti meno circoscritti, più universali. Si rivolge alle masse,
perché quelle masse deve scuotere, ne ha forse il dovere morale e sociale.
L’artista si specchia nella sua opera perché ne è parte integrante, da essa e
con essa lancia un messaggio, quasi in simbiosi con la sua installazione. E’ anche questa Arte con la A maiuscola,
quella che esprime esteticamente le profondità dell’anima e le mostra al mondo
intero.
(nella prima foto, interno del MACBA)