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martedì 28 novembre 2017

Esistono gli accordi della felicità?


Da qualche anno in qua si sentono notizie su macchine in grado di comporre musica autonomamente. Gli amici e parenti che la masticano a fondo sorrideranno. Alcuni scienziati pensano che raccogliendo moltissimi dati si possa programmare un robot per capire ciò che l’udito e quindi la nostra elaborazione ci comunicano. Ad esempio: la Marcia Trionfale dell’Aida ricorda la sensazione del trionfo (appunto), Hello di Adele non può che rimandare a sentimenti (molto) tristi, oppure You can leave your hat on di Joe Cocker (ma non è sua, lo sapevate?) è perfetta per uno spogliarello, prima ancora che la usassero come tema nel noto film con Kim Basinger e Mickey Rourke. Possiamo quindi spiegare il significato emotivo della musica, alla stessa stregua di come comprendiamo i testi?

Sulla rivista Royal Society Open Science è stata di recente pubblicata una ricerca che affronta questo problema, indagando sui legami tra le emozioni dei testi e gli elementi musicali con cui sono impostati. Si è scoperto che un certo tipo di accordo musicale è più abbinato a parole del testo con significato positivo (amore, bellezza, conforto, speranza, ecc). Questa è una grossa semplificazione del modo in cui funziona la musica, sia per chi la "fa" che per chi ne gode dell'ascolto: appare ancora lontana una intelligenza artificiale in grado di comprendere e comporre la musica, come solo una persona (e nemmeno una qualunque) oggi può fare. Gli autori dello studio hanno scaricato testi e sequenze di accordi di circa 90.000 brani popolari da Ultimate Guitar , un sito Web piuttosto datato dove gli utenti caricano le proprie trascrizioni musicali. Poi, per abbinare i testi delle canzoni alle emozioni, i ricercatori hanno preso i dati da labMT, un sito di crowdsourcing che valuta il peso emotivo delle parole (il grado con cui rappresentano sentimenti buoni o cattivi). Infine, i dettagli sulle canzoni sono stati presi da Gracenote, database mondiale del settore.

Correlando la valenza delle parole al tipo di accordo che le accompagnava, gli autori hanno confermato che gli accordi in tonalità Maggiore sono associati di più a parole di senso positivo rispetto a quelli in tonalità Minore. Inaspettatamente, hanno scoperto che l’accordo in settima (per i profani, quelli dove alle 3 note di base se ne aggiunge una quarta ben determinata) aveva un'associazione più ricorrente con parole positive, anche nel caso di accordi in settima dalla tonalità Minore. Studi quantitativi come questo sono in crescita, vista la disponibilità e la “forza” dei big data. Certamente può stupire o, nel peggiore dei casi, far inorridire, che l'arte possa essere spiegata dai numeri, ma contare, classificare, dare un senso ai numeri, è un modo scientificamente provato di fare scoperte in molti ambiti, quindi non dovremmo sorprenderci se fosse così anche nella musica. Ovvio che la conoscenza di teoria musicale costruita nei secoli deve essere tenuta in considerazione, al di là delle capacità di analisi profonda che la scienza dei dati può offrire.

Vanno fatte senz'altro un paio di (personali) considerazioni. La prima: da strimpellatore musicale quale sono posso dire che il risultato della ricerca non è affatto una novità. Sarà un luogo comune, ma ho sempre saputo che gli accordi in Maggiore fossero legati ad un sentimento gioioso e quelli in Minore ad uno triste. Eventualmente, ciò che porta di nuovo lo studio è l'associazione dei primi a diverse parole positive, per allargare l'espressione linguistica dei termini che fanno bene al cuore, attraverso le sette note. E ciò rivela un meccanismo forse inconscio dei vari compositori. La seconda: è indiscutibile il ruolo della soggettività in un'analisi del genere. Come si fa a dire che una musica ispira lo stesso feeling per tutti quelli che la ascoltano? Se non apprezzo (ad esempio) Laura Pausini, come genere o come cantante, difficilmente riuscirò a dire che alcuni suoi brani rimandano decisamente all'allegria, o altri ad un'opposta passione: eventualmente la riterrò indifferente. Questo varrà a prescindere da quali parole o accordi avrà usato nelle sue canzoni.

Per concludere, di certo c'è che non possiamo attribuire solo alle parole il significato di un brano, deducendo che la melodia utilizzata è solo espressione dei sentimenti. Anche perché a volte succede il contrario. La musica ha nella sua definizione sfuggente il proprio fascino, nella difficoltà di racchiudere in schemi e recinti la bellezza di un'arte e di un linguaggio universale. E allora, gli accordi della felicità o della tristezza esistono davvero? Certo che sì, e sono unici per ognuno di noi, per ogni brano. Non sono soggetti a regole: basta avere la sensibilità di comprenderli.




martedì 21 novembre 2017

Nuove speranze per i traumi spinali


Il trauma spinale è causato da un danno al midollo spinale che si traduce in un ematoma o contusione, una lesione parziale o una lesione completa. Poiché, com'è noto, attraverso il midollo spinale confluiscono i segnali nervosi di tutto il corpo, questi danni possono avere gravi conseguenze. Le cause primarie di lesioni del midollo spinale sono incidenti stradali (44% dei casi), la violenza (24%), le cadute (22%), e lo sport (8%). Per patologie non acute il rimedio convenzionale primario è quello di ridurre l'infiammazione con i farmaci. Negli altri casi ci sono state in passato strategie di medicina rigenerativa, quali l'iniezione di cellule con fattori di crescita nel midollo, nella speranza di stimolare un nuovo sviluppo, ma fino a ieri non esistevano riparazioni praticabili né deviazioni che possano ripristinare il flusso del segnale tra encefalo ed arti. Oggi sembra esserci qualche speranza al riguardo.

Al New Jersey Institute of Technology (NJIT), precisamente nel Laboratorio di ingegneria tessutale e applicativa di biomateriali, l'equipe del dott. Arinzeh, sta sperimentando una soluzione: una sorta di "impalcatura", costituita da un polimero conduttore, che dovrebbe aiutare le cellule nervose ad estendere i loro assoni sopra la sezione danneggiata della colonna vertebrale. La strategia di riparazione combina tale impalcatura piezoelettrica con delle cellule neurali per rigenerare il tessuto nervoso del midollo spinale. Il materiale piezoelettrico, che produce una carica elettrica in risposta a una sollecitazione meccanica, è una "vecchia conoscenza" della tecnologia, e per noi ante-millenials l'esempio più banale è quello della puntina del giradischi: sollecitata dal variare del profilo dei microsolchi, presenti sul vinile, genera un segnale trasformato in musica da amplificatore e casse. Il vantaggio di questo materiale è che si auto-carica non richiedendo una sorgente di alimentazione esterna.

Gli assoni, le fibre cellulari che trasmettono i segnali, possono potenzialmente percorrere lunghe distanze se hanno i giusti stimoli per ricrescere. “Sapevamo che una carica elettrica poteva condurre questa crescita", ha detto il dottor Arinzeh, continuando: "Alcuni tessuti del corpo sono naturalmente piezoelettrici, quindi abbiamo dovuto creare un materiale fibroso simile, ma con una carica maggiore per stimolare la crescita". Questa probabile soluzione ha immediatamente interessato il Dipartimento della Difesa statunitense, che cerca rimedi per ferite traumatiche da battaglia, in particolare per quei soldati che rimangono completamente paralizzati per il resto della vita. Un tale interesse ha portato subito i finanziamenti occorrenti affinché la tecnologia del NJIT venisse messa alla prova in studi preclinici al Miami Project to Cure Paralysis, un centro di eccellenza presso la scuola di medicina dell'Università di Miami.

Nel lontano 1839, il biologo tedesco Teodor Schwann diede alla luce la principale teoria cellulare su cui si basano ancora oggi questi studi. In particolare furono battezzate cellule di Schwann quelle che rivestono gli assoni dei neuroni con uno strato di mielina, la quale isola elettricamente gli assoni stessi, permettendo una migliore conducibilità dei segnali all'interno.  La sperimentazione condotta dal team di Arinzeh usa proprio le cellule di Schwann, in combinazione con la speciale struttura piezoelettrica ideata, per tentare di riparare il midollo spinale. Il compito di queste cellule è quello di ripristinare le esistenti stimolandole ad estendere i loro assoni. Attualmente si sta facendo già sperimentazione clinica con esseri umani: i primi risultati promettono bene, dato che vi è una "ricrescita" di qualche millimetro (fino a 5) all'interno del midollo spinale. Un buon risultato, a detta degli scienziati statunitensi.

Nel campo dell'ingegneria biomedica è stata già usata in passato una tipologia di elettrostimolazione per favorire la crescita delle cellule, ma nelle ossa e nei tessuti cartilaginei. Qui vi è una novità importante: provare con un sistema simile, combinato con il polimero avente proprietà piezoelettriche, a determinare la rinascita delle cellule nervose. A questi livelli parlare di ingegneria non è affatto sbagliato: sono state proprio tecniche di questa natura a fornire lo spunto per la creazione dello speciale polimero. Non solo. Le fibre che compongono la nuova struttura sono formate tramite elettrofilatura, una tecnica presa in prestito dall'industria tessile. Solo una sinergia tra diversi settori dello scibile scientifico e tecnologico potrebbe portare risultati così strabilianti. è quello che ci auguriamo.


(fonte https://www.eurekalert.org/pub_releases/2017-11/njio-rsc111617.php; si ringrazia il sito http://www.brainandspinalcord.org per la gentile concessione dell'immagine)



PS Forse ho usato qualche termine o concetto non facilissimo, se volete saperne di più basta digitare le parole desiderate su Google - so che è semplicistico come consiglio, ma non volevo confondervi troppo. Ad esempio, troverete facilmente notizie su assone, Theodor Schwann, mielina, piezoelettrico o elettrofilatura. Buon approfondimento :-)

martedì 14 novembre 2017

Tecnologie empatiche


L’utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA) si sta evolvendo rapidamente. C’è chi pensa si tratti di sistemi destinati a rimanere in laboratorio, oppure ad essere usati solo da grandi aziende. Invece non è affatto così. Parliamo di un business destinato nei prossimi tempi a crescere in modo esponenziale, ma anche a modificare in modo sensibile la vita quotidiana. Ne avevamo già parlato in altre occasioni, ad esempio riguardo alle macchine atte a leggere la comunicazione non-verbale, oppure circa un progetto di messa a punto di una voce sintetica più umana possibile. Già oggi esistono aziende che lavorano con obiettivi precisi per tale scopo; una di esse, non molto conosciuta, è Affectiva che, dal 2009 a Boston, sta provando a digitalizzare le emozioni.

Ho usato apposta quello che si potrebbe definire un ossimoro: da una parte il digitale, fatto di freddi numeri, asettici e ben definiti, dall’altra le emozioni, con le loro mille sfumature, oggettive e soggettive. Ma in Affectiva questa è una grande sfida: riuscire a far capire alle macchine qual è il nostro stato d’animo e farle comportare di conseguenza. Quando dico macchine intendo ogni dispositivo tecnologico con cui interagiamo: lo smartphone, la nostra auto, la casa con le sue propaggini informatiche ed elettroniche, e via discorrendo. Così in questa società sono stati collezionati alcuni milioni di video raccolti in 87 paesi, consentendo di definire un sistema di IA per comprendere le espressioni del viso legate alle emozioni, tenendo conto anche delle differenze di cultura nell'espressività. Utilizzando la computer-vision, l'analisi del linguaggio e il cosiddetto "apprendimento profondo", sono riusciti a classificare espressioni facciali e vocali in base all'emozione del momento.

L'intelligenza artificiale che diventa quindi "intelligenza emotiva artificiale", incentrata su algoritmi di sviluppo che possono identificare non solo le emozioni umane di base come la felicità, la tristezza e la rabbia, ma anche stati cognitivi più complessi come stanchezza, attenzione, interesse, confusione e distrazione. Il CEO di Affectiva, Rana el Kaliouby, ha detto che queste tecnologie di interazione emotiva potrebbero essere disponibili nei prossimi cinque anni: "La maggior parte dei dispositivi risponderà agli stati cognitivi ed emotivi umani, proprio come fanno gli uomini. L'intelligenza emotiva artificiale sarà radicata nelle tecnologie che utilizziamo ogni giorno, rendendo le nostre interazioni più personalizzate, autentiche, molto simili a quelle tra persone".

E' facile per esempio considerare che se un'autovettura "conosce" il conducente può  monitorarne il grado di stanchezza o di distrazione; in alternativa, potrebbe favorire una migliore esperienza per i viaggiatori, cambiando la musica o le impostazioni ergonomiche a seconda di chi sta trasportando. Ma non è il solo settore a poterne beneficiare. Pensate all'apprendimento on-line (e-learning): spesso non è facile capire se uno studente sta seguendo con attenzione. Un sistema dotato di IA emotiva capirebbe il suo stato d'animo e lo aiuterebbe ad approfondire certi argomenti, magari "svegliandolo" anche con una battuta, prima che risponda ai test finali. Ancora, un'altra applicazione prevedibile è legata alla salute: uno smartphone analizza, sia in base ad app già presenti che, soprattutto, al riconoscimento di espressioni facciali particolari, se lo stato mentale dell'utente è buono o se appaiono i primi segni di malattie neurodegenerative, allertando il medico di famiglia.

L'obiettivo di questi studi, e del relativo business di aziende come Affectiva, sarà quindi quello di aggiungere empatia alla tecnologia che ci circonda. Non c'è dubbio che raccogliere dati come stati d'animo o volti soggetti a particolari emozioni è un'operazione che tocca l'annoso problema della privacy. Si tratta infatti di stabilire con scrupolo usi e limiti di tali informazioni sensibili, questione non affatto semplice, visto che si pone già ora per dati più banali. Rana el Kaliouby crede in questa innovazione e sottolinea: "Sappiamo che le generazioni più giovani stanno perdendo la capacità di empatia, dato che crescono con interfacce digitali in cui manca l'emozione, uno dei punti di forza degli uomini. Dare un carattere umano alla tecnologia potrebbe contribuire a riavvicinarci". Capisco, aggiungo io, ma riuscire a farlo senza la tecnologia, o evitandone gli abusi, sarebbe ancora meglio.



lunedì 6 novembre 2017

La crisi delle acque irrigue


La notizia è davvero preoccupante: stiamo diventando un paese con poca, pochissima acqua. Il clima "impazzito" va assetando le terre d'Italia. E' questo il risultato che emerge da un'analisi condotta dall'ANBI, Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue, nel mese di Settembre, considerando tutti gli invasi che tale associazione gestisce. Un dato su tutti: nel 2010 erano presenti in totale 2317 milioni di metri cubi d'acqua, mentre l'ultima rilevazione di quest'anno parla di soli 1066 milioni, ossia il 54% in meno.

I conteggi sono stati fatti a Settembre, ma stante la continua mancanza di piogge significative, la situazione può essere anche peggiorata. Molto negative le cifre degli invasi al nord, che sono già intrinsecamente più basse di quelle al centro-sud: per i soli bacini artificiali lo stato attuale è di 2,5 milioni di metri cubi contro gli 11 di 7 anni fa. Situazione analoga per tutti i principali laghi: il Garda si trova al 27% della sua capienza, ed è quello messo meglio, mentre il lago di Como è addirittura all'11%. Al Sud, si registrano invece difficoltà importanti per le produzioni agricole tardive, bisognose di irrigazione, soprattutto in Calabria e in Sardegna. L'ANBI spinge per una rapida apertura dei lavori sul Piano Irriguo Nazionale, ma anche per attivare investimenti quali il Piano Nazionale degli Invasi e per incrementare il contributo delle acque reflue a fini agricoli.

Eppure il belpaese non dovrebbe avere di questi problemi, visto che potenzialmente la nostra ricchezza idrica, basandosi sul volume medio delle piogge, risulta superiore alla media europea. Cosa accade però? Da un lato la conformazione morfologica ed idrogeologica dello Stivale che, presentando una natura molto irregolare dei deflussi, non permette la piena raccolta; dall'altra le note carenze del sistema infrastrutturale esistente, sia a livello di costruzioni originarie che, soprattutto, di manutenzione. Tali due fattori determinano una sensibile discrepanza tra la capacità teorica e quella pratica di approvvigionamento idrico. E se la situazione è allarmante per le acque irrigue, nemmeno sull'acqua potabile possiamo stare tranquilli. Secondo  Legambiente  andrebbero ristrutturati circa 50.000 chilometri di rete idrica, ormai fatiscenti e inefficienti, ma molto possiamo fare anche noi, evitando sprechi e adottando comportamenti virtuosi.

Dunque, terreni e campagne sempre più soggetti a siccità e scarsità di risorse per l'irrigazione. Per fortuna c'è qualche caso in cui politiche attente e gestioni oculate hanno comportato risultati dignitosi. Un esempio è quello dell'Emilia Romagna, presentata come eccellenza al progetto europeo W.I.R.E. (Water & Irrigated agriculture Resilient Europee): è stato infatti sviluppato Acqua Campus, centro progettuale per le tecnologie innovative nella distribuzione delle acque agricole che, con il suo software Irriframe, arriva a calcolare il bilancio idrico distrettuale, con previsioni fino a 15 giorni. Un altra pratica virtuosa viene dal meridione, la Puglia per la precisione, dove il Consorzio di bonifica di Capitanata è stato premiato per la gestione dell'invaso di Marana Capacciotti, in occasione dell'8a edizione de “La Fabbrica nel Paesaggio“ a Foligno, grazie ai caratteri di sostenibilità e durabilità creati dalla diga, e alla conseguente valorizzazione paesaggistica. 

L'ANBI si prefigge lo scopo di coordinare i vari consorzi di bonifica, tramite i quali interventi pubblici e privati provvedono alla difesa del suolo, alla regolazione delle acque e alla salvaguardia ambientale. Molteplici gli accordi tra ANBI e Dipartimento della Protezione Civile, Unione Province d'Italia, WWF e LIPU. E' comunque inevitabile sottolineare che senza concrete politiche  mondiali, a medio e lungo termine, sforzi degni di nota come questi potrebbero non essere sufficienti a contrastare gli effetti deleteri della estrema variabilità climatica nell'era dell'antropocene. Oggi ha inizio la Climate Change Conference a Bonn. Incrociamo le dita.


(fonte http://www.ambientidiacqua.it/public/anbinforma/ANBI20171027_anno-xix-n-40.html; si ringrazia il sito http://wtnh.com per la gentile concessione della foto)