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lunedì 24 aprile 2017

Vecchi casi scientifici da rianalizzare


Il passato è un grande maestro. Tranquilli, non sto iniziando un trattato di filosofia della strada, nemmeno mi è presa la classica botta di nostalgia dovuta all'età. è che alle volte ci si imbatte in ricerche, o in ricercatori, che hanno fatto degli approfondimenti ancestrali la loro missione. Capita infatti a due studiosi, un po' scienziati ed un po' investigatori, che frugando in alcune pieghe del tempo trascurate, ci possono far riflettere su un tema imprescindibile come quello della salute.

Il professor Ramsden, del National Institutes of Health, ha portato alla luce dati grezzi da uno studio di 40 anni fa, secondo cui non è vero che mangiare grassi animali al posto di quelli vegetali può far male al cuore. Di studi che fanno da bastian-contrario ai dogmi della nutrizione salutare ce ne sono diversi, ma questo è apparso veramente rigoroso. Secondo il professore, la sua scoperta e l'analisi dei relativi dati perduti sono un classico esempio di come la mancata pubblicazione di certi risultati scientifici possano cambiare la realtà, o almeno la sua percezione. E non è un'affermazione da sottovalutare, pensando a come certe multinazionali siano potenzialmente in grado di dirigere le ricerche a loro favore.

I dati erano stati raccolti dal dottor Frantz della Università del Minnesota, mediante 9.423 pazienti di ospedali psichiatrici, con età dai 20 ai 97 anni. I partecipanti erano stati casualmente assegnati in parte ad un gruppo con dieta standard, a base di grassi animali, quindi saturi, in parte ad un gruppo in cui gli oli vegetali avevano sostituito circa la metà di quei grassi saturi. Un tale studio, detto "controllato randomizzato", genera risultati più obiettivi rispetto agli studi cosiddetti "osservazionali", in cui i volontari mangiano quello che hanno scelto, preferendo così ciò che pensano gli faccia più bene, in funzione del proprio stato di salute. I dati finali, ritrovati su vecchi floppy disk, evidenziavano una distinzione meno netta tra grassi saturi e polinsaturi (quelli degli omega-3, per esempio), relativa ai loro effetti dannosi sulla salute e, in special modo, sul buon funzionamento del cuore.

Si stima che circa 700.000 persone muoiono ogni anno nel mondo per infezioni resistenti ai farmaci. Se la situazione non cambia, si potrebbe arrivare addirittura a 10 milioni di persone l'anno entro il 2050. La dottoressa inglese Erin Connelly, dell'Università di Nottingham, lavora da tempo per scovare antichi testi medici e per riproporre ai giorni nostri strategie farmacologiche datate, con le dovute correzioni. Fa parte di un team di ancientbiotics (termine difficile da tradurre in italiano, letteralmente anticobiotico - e non antibiotico), composto da medievalisti, microbiologi, parassitologi, farmacisti di tutto il mondo.

Nel 2015, il gruppo guidato dalla Connelly ha pubblicato uno studio pilota su una ricetta di circa mille anni fa, chiamata collirio di Bald, tratto da un vecchio testo medico inglese, destinato a curare l'orzaiolo. Una causa comune di queste infezioni agli occhi è il batterio Staphylococcus aureus, attualmente resistente a diversi antibiotici. Le infezioni da stafilococco portano a cronicizzazione di ferite gravi e croniche, a sepsi e a polmonite. Il collirio di Bald contiene vino, aglio, cipolla (o porro) e bile bovina essiccata (prodotto che gli inglesi sintetizzano col nome oxgall). In poche parole, un intruglio vomitevole. La ricetta prevedeva il riposo degli ingredienti miscelati in un recipiente di ottone per nove notti, prima dell'uso. Applicando le medioevali istruzioni, i ricercatori hanno ottenuto un potente agente antistafilococco, che ha ucciso in più prove una matrice di batteri in vitro; ha inoltre debellato infezioni presenti su ferite croniche nei ratti.

La ricetta è stata provata in più modi: ha funzionato solo se seguita alla lettera. A testimonianza di quale efficace e lunga sperimentazione vi era alla base. Insomma, un vero portento, specie se pensate con quali mezzi rudimentali era stata ottenuta. Ce ne saranno altre da cui possiamo attingere? Per giungere a risultati concreti e ripetibili è necessario raccogliere molti dati. Ma è quello che stanno facendo gli ancientbiotics del caso. Con una banca dati sempre in aggiornamento, potrebbero venir fuori nuovi farmaci alla base di moderni antibiotici. é inutile dire come questa revisione del passato rappresenti una sorgente di informazioni con contributi interessanti per la medicina moderna.

Guardare avanti, dunque, va sempre bene, ma costruire il futuro senza aver completamente sviscerato il passato, nel bene e nel male, non è affatto una buona abitudine. Vale in generale ma anche, in particolare, per le scienze applicate. 



martedì 9 febbraio 2016

Prove di allungamento della vita


La vita media nella parte occidentale del mondo negli ultimi 100 anni è aumentata in modo rilevante. Questo grazie ai progressi scientifici e tecnologici, per quanto a volte i relativi effetti collaterali non sono di poco conto, ma anche per motivi culturali. Però il desiderio di allungare la vita ancora di più non è solo una questione scientifica, visto che si può rifare a motivazioni di più ampio respiro, ad esempio di natura animistica, religiosa o ad ambizioni smisurate. Un tale desiderio deve essere balenato in mente a quei ricercatori che hanno sperimentato con successo un metodo per rallentare l’invecchiamento dei topi, alla Mayo Clinic di Rochester, nel Minnesota.

Nei topi come negli esseri umani l’invecchiamento è “segnalato” dal rallentare se non interrompersi definitivamente del meccanismo secondo cui le cellule si dividono e quindi si moltiplicano (gioco di parole, ma è la pura realtà). Si dice che diventano senescenti: per intenderci si trascinano stancamente qua e là senza alcuna attività o funzione in particolare. Possono però avere effetti dannosi, tipo quelli di interagire negativamente con altre cellule “di passaggio”. Il team di ricercatori, specializzati in ingegneria genetica, ha identificato in alcuni topi opportunamente “modificati” dei marcatori biologici legati a questo fenomeno di senescenza. Dopo i primi 12 mesi di vita dei ratti, una volta verificata la presenza di questi marcatori, l’uso di uno specifico farmaco ha permesso loro di eliminarli, ripulendo ogni animale dalle cellule invecchiate.

Anche se l'età massima dei topi sottoposti al test non è variata notevolmente, essi hanno mostrato un miglior stato di salute e, poichè provenivano da precedenti test per lo sviluppo di alcuni tumori, tendevano a ritardare gli effetti di questo male rispetto agli altri. Dal punto di vista genetico la transizione verso un sistema simile sugli uomini non è affatto semplice, anche se farmaci simili potrebbero essere sviluppati per trattare patologie specifiche, come il glaucoma. La startup Unity, che ha collaborato al progetto, ci sta già lavorando. E' chiaro che gli interessi economici in gioco sono davvero notevoli, sia per i finanziamenti, che negli USA al riguardo sono piuttosto cospicui, che per le ricadute produttive e remunerative di un simile trovato della biotecnologia. Google 2 anni orsono aveva creato uno spin-off, Calico, per studiare le tematiche legate al posticipo della senilità.

In generale, comunque, siamo ben lontani dal comprendere il meccanismo che regola l'invecchiamento in funzione dell'età, visto che in quasi tutti gli esseri viventi, all'interno della stessa specie, non c'è un fattore uguale per ognuno. Questo studio delle cellule senescenti potrebbe essere una risposta significativa a interrogativi del genere ? Se così fosse le grosse case farmaceutiche si tufferebbero completamente in progetti come questo, nella loro venale chimera di individuare un farmaco per tutto e per tutti. Intanto, proviamo a cambiare la nostra idea di disgusto per i topi, visto come vengono sacrificati per noi.




venerdì 10 aprile 2015

#WIRE15, un workshop su ricerca e innovazione


L’intreccio vitale tra impresa, ricerca ed economia passa attraverso fattivi momenti di scambio, in cui le diverse esigenze devono convergere verso sforzi e sinergie comuni. E’ per questo che Frascati Scienza organizza quest’anno #WIRE15 (Workshop Impresa Ricerca Economia), un workshop su questi temi, che si svolgerà giovedi 21 maggio, a partire dalle 9, presso le scuderie Aldobrandini di Frascati. All’evento partecipano imprese, ricercatori e finanziatori, ognuno con la propria idea, per lanciare le migliori innovazioni nel mare magnum della ricerca, al fine di svilupparle economicamente e farle diventare realtà. L’ingresso è gratuito previa prenotazione.

Ogni proposta può essere presentata in anticipo, entro il 27 aprile, illustrandone in breve il suo contenuto e il curriculum degli ideatori. Ma ancora più breve sarà il tempo dedicato durante la giornata del 21 maggio per esporla: ai selezionati verranno concessi esclusivamente 5 minuti. Anche per questo gli organizzatori di Frascati Scienza hanno creato lo slogan “5 minuti per la tua idea”, battendo sul tempo i 15 minuti di notorietà di Andy Warhol. Non si tratta infatti di un noioso simposio, ma di una giornata formativa ricca di idee e scambi: è fondamentale la capacità di sintesi e di chiarezza richiesta a chi presenta, la sua abilità di penetrare e colpire favorevolmente cuore e cervello degli ascoltatori, come deve fare chi comunica la Scienza. 

Le proposte verranno selezionate da un comitato scientifico, all’interno del quale spiccano nomi altisonanti come Umberto Dosselli, direttore dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, Olga Rickards, direttore del Centro di Antropologia Molecolare per lo Studio del DNA a Roma Tor Vergata, Giovanni Mazzitelli, presidente di Frascati Scienza, Eugenio Coccia, direttore del Gran Sasso Science Institute. Il comitato si occuperà di valutare innanzitutto l’originalità e la validità tecnica delle presentazioni, ma anche il carattere comunicativo delle stesse. Frascati Scienza è da diversi anni un faro luminoso sulla comunicazione scientifica italiana, per far conoscere la Scienza al grande pubblico e quindi divulgarla in modo efficace. Notissimo l’evento organizzato da Frascati Scienza, la Notte Europea dei Ricercatori, che quest’anno si fregia della stella dei 10 anni, traguardo importante e meritato, promosso della Commissione Europea. L’iniziativa del 21 maggio tra l’altro fa parte degli eventi di lancio della Notte dei Ricercatori.

#WIRE15 è voluto e sponsorizzato anche da importanti enti locali e nazionali. Oltre al Comune di Frascati e alla Banca di Credito Cooperativo di Frascati, si svolge sotto il patrocinio del CNR Tor Vergata, ENEA Frascati, ESA-ESRIN, INAF, INFN Laboratori Nazionali di Frascati, INGV. A testimonianza di come le principali istituzioni di ricerca italiane spingano per facilitare l’incontro tra ricerca ed economia, tra il crowdsourcing delle idee vincenti e gli imprenditori che vogliono investire sulle nuove frontiere scientifiche.

Maggiori informazioni sul sito http://wire15.frascatiscienza.it/


lunedì 13 ottobre 2014

I disinvestimenti sulla ricerca di base: un grosso errore


C’è anche uno scienziato italiano tra i nove autori della lettera aperta inviata nei giorni scorsi al parlamento europeo, in cui si prevede la lenta cancellazione o una perentoria riduzione delle strutture di ricerca e sviluppo nazionali, se non ci sarà un cambio di rotta. La lettera, dal titolo emblematico “Hanno scelto l’ignoranza”, denuncia i drastici tagli ai budget e alle assunzioni negli istituti di ricerca di base e nelle università in un numero crescente di paesi, dove invece i finanziamenti si rivolgono verso gruppi già affermati, che fanno della ricerca applicata il loro business.

Com’è noto, lo scopo primario della ricerca scientifica di base è di far aumentare la conoscenza e la comprensione teorica delle relazioni esistenti in natura. Viceversa la ricerca applicata deve trovare soluzioni pratiche, sfruttando le conoscenze teoriche per passare allo sviluppo tecnologico. Così facendo si lega più saldamente agli interessi degli investitori, specie privati, che intravedono naturalmente un adeguato ritorno economico e minor rischio, rispetto a quello che si corre sostenendo la ricerca di base, i cui tempi e frutti sono quasi sempre incerti. Concettualmente la differenza può essere sottile, ma non lo è certo per chi ragiona con i capitali.

I dati sui tagli alla ricerca parlano chiaro: dal 2009, in Spagna ci sono stati decrementi del 40% su investimenti e sovvenzioni pubblici; nello stesso periodo, “l'Italia ha tagliato il budget per l'istruzione superiore del 20%, e il numero di posizioni a tempo indeterminato è calato di quasi il 90%”, dice Francesco Sylos Labini, fisico italiano presso il Centro Enrico Fermi di Roma, uno degli autori della lettera. Discorso analogo per la Grecia, con un bilancio per centri di ricerca e università ridotto di almeno il 50%  e con le nuove assunzioni bloccate. Nella stessa Germania, pur avendo centrato l'obiettivo europeo di destinare il 3% del PIL alla ricerca, circa l’80% degli scienziati hanno contratti a tempo determinato, con nessuna garanzia sul futuro.

Secondo uno dei promotori, i governi potrebbero eliminare dal calcolo del deficit nazionale gli investimenti pubblici nella ricerca; oppure la UE potrebbe consentire a un paese che aumenta il proprio bilancio per la ricerca di base di diminuire proporzionalmente il suo contributo ai regimi di finanziamento europei. Quello che non risulta chiaro nelle stanze di Bruxelles è che abbassare il deficit tagliando i fondi in questo settore contribuisce a crearne uno nuovo, quello nell’innovazione e nella scoperta scientifica. Di più, il processo scientifico e la ricerca richiedono sperimentazione continua: per giungere alle eccellenze di cui il vecchio continente si può fregiare è necessario tanto “lavoro sporco” senza il quale i risultati non arriverebbero mai. Tutto questo affermano i nove sottoscrittori.

Circa 5000 scienziati hanno firmato la lettera, anche extraeuropei. Si è creato quindi un ampio movimento che comprende varie tappe, tra cui un tour in bicicletta di 3 settimane per le strade francesi, dal titolo Sciences en marche, e una serie di incontri presso le principali università italiane. Si arriverà quindi a pacifiche proteste nelle piazze di Parigi, Madrid e Roma. Come hanno scritto nella lettera, la scienza è una gara sulla lunga distanza ed è indispensabile per la produzione di nuova conoscenza. Sylos Labini è stato chiaro: "Se non ci sarà un vero e proprio sforzo del governo nel cambiare direzione, il sistema scientifico pubblico italiano non durerà a lungo". Renzi & Co. sono avvisati.

Qui il testo integrale della lettera.


(nella foto, interno del Dafne, sincrotrone dell'INFN di Frascati)

lunedì 7 luglio 2014

Prevenire i danni dell’obesità attraverso una nuova proteina



E' noto che l'obesità porta a diversi problemi di salute, dal diabete alle malattie cardiache, al cancro. Anche per questo nel 2013 l'American Medical Association l’ha classificata come una vera e propria malattia. Per la maggior parte dei medici le persone obese sane, cioè con normali livelli di zucchero nel sangue e di pressione sanguigna, sono in una fase transitoria che molto probabilmente li porterà ad ammalarsi, mostrando delle sindrome metaboliche in cui i livelli di glucosio, colesterolo e lipidi saliranno in modo pericoloso.

Per capire quando si verifica il passaggio da un'obesità tollerata dall’organismo a quella critica, alcuni ricercatori all’Università di Vienna, facoltà di Medicina, hanno osservato come si comporta una proteina chiamata Heme-Ossigenasi-1 (HO-1), inizialmente pensata per bloccare i processi infiammatori che portano dall’obesità alle malattie metaboliche. Quando le isole pancreatiche, piccole masse di cellule del pancreas che producono l'insulina, sono esposti ad elevati livelli di sostanze nutritive, come succede a chi mangia tanto e male, esse si infiammano e possono funzionare male o in parte morire, facendo diminuire la secrezione di insulina e causando il diabete di tipo 2

I ricercatori hanno esaminato sangue, grasso e tessuto epatico da un gruppo di 44 persone obese apparentemente sane: di queste, 27 hanno mostrato i primi segni di resistenza all'insulina, un comportamento precursore del diabete. Analizzando il loro livello della proteina HO-1 si è visto che era il doppio di quello dei restanti: dunque, sembrava corretta l’ipotesi che l’alta quantità di HO-1 stava causando quella resistenza.  Gli esami sono stati estesi anche sui topi, prima rimuovendo l’HO-1 e verificando la corretta sensibilità all’insulina, poi aggiungendone più del normale: questo faceva crescere la resistenza all’insulina degli animali. Tutti gli esperimenti fatti hanno confermato che la proteina HO-1 è un marcatore molto precoce delle malattie metaboliche causate dall’obesità.

Per avere un quadro ancora più completo, gli scienziati austriaci hanno rilevato differenze significative di tale proteina già tra le persone non obese e quelle obese sane, a sostegno della teoria secondo cui queste ultime si trovano in una situazione minimamente compromessa. Conoscere ciò che provoca la sindrome metabolica può rendere più facile la diagnosi ed il trattamento della stessa. Resta valido il concetto che alimentazione corretta e sano stile di vita sono la migliore prevenzione; però, se queste semplici regole continueranno a non essere rispettate, vi sarà uno strumento scientifico in più per fermare in tempo le complicazioni cliniche dell’obesità.

 (fonte http://news.sciencemag.org/biology/2014/07/can-you-be-obese-and-still-be-healthy )