Da qualche anno in qua si sentono
notizie su macchine in grado di comporre musica autonomamente. Gli amici e
parenti che la masticano a fondo sorrideranno. Alcuni scienziati pensano che
raccogliendo moltissimi dati si possa programmare un robot per capire ciò che
l’udito e quindi la nostra elaborazione ci comunicano. Ad esempio: la Marcia
Trionfale dell’Aida ricorda la sensazione del trionfo (appunto), Hello di Adele non può che rimandare a sentimenti (molto) tristi, oppure You can leave your hat on di Joe Cocker (ma non è sua, lo sapevate?) è
perfetta per uno spogliarello, prima ancora che la usassero come tema nel noto
film con Kim Basinger e Mickey Rourke. Possiamo quindi spiegare il significato emotivo
della musica, alla stessa stregua di come comprendiamo i testi?
Sulla rivista Royal Society Open Science è stata di recente pubblicata una ricerca
che affronta questo problema, indagando sui legami tra le emozioni dei testi e
gli elementi musicali con cui sono impostati. Si è scoperto che un certo tipo
di accordo musicale è più abbinato a parole del testo con significato positivo (amore,
bellezza, conforto, speranza, ecc). Questa è una grossa semplificazione del modo
in cui funziona la musica, sia per chi la "fa" che per chi ne gode
dell'ascolto: appare ancora lontana una intelligenza artificiale in grado di
comprendere e comporre la musica, come solo una persona (e nemmeno una
qualunque) oggi può fare. Gli autori dello studio hanno scaricato testi e
sequenze di accordi di circa 90.000 brani popolari da Ultimate
Guitar , un sito Web piuttosto datato dove gli utenti caricano le
proprie trascrizioni musicali. Poi, per abbinare i testi delle canzoni alle
emozioni, i ricercatori hanno preso i dati da labMT, un sito di crowdsourcing
che valuta il peso emotivo delle parole (il grado con cui rappresentano sentimenti
buoni o cattivi). Infine, i dettagli sulle canzoni sono stati presi da Gracenote,
database mondiale del settore.
Correlando la valenza delle parole al
tipo di accordo che le accompagnava, gli autori hanno confermato che gli
accordi in tonalità Maggiore sono associati di più a parole di senso positivo rispetto
a quelli in tonalità Minore. Inaspettatamente, hanno scoperto che l’accordo in
settima (per i profani, quelli dove alle 3 note di base se ne aggiunge una
quarta ben determinata) aveva un'associazione più ricorrente con parole
positive, anche nel caso di accordi in settima dalla tonalità Minore. Studi
quantitativi come questo sono in crescita, vista la disponibilità e la “forza”
dei big data. Certamente può stupire
o, nel peggiore dei casi, far inorridire, che l'arte possa essere spiegata dai
numeri, ma contare, classificare, dare un senso ai numeri, è un modo scientificamente
provato di fare scoperte in molti ambiti, quindi non dovremmo sorprenderci se fosse
così anche nella musica. Ovvio che la conoscenza di teoria musicale costruita
nei secoli deve essere tenuta in considerazione, al di là delle capacità di
analisi profonda che la scienza dei dati può offrire.
Vanno fatte senz'altro un paio di
(personali) considerazioni. La prima: da strimpellatore musicale quale sono
posso dire che il risultato della ricerca non è affatto una novità. Sarà un
luogo comune, ma ho sempre saputo che gli accordi in Maggiore fossero legati ad
un sentimento gioioso e quelli in Minore ad uno triste. Eventualmente, ciò che
porta di nuovo lo studio è l'associazione dei primi a diverse parole positive,
per allargare l'espressione linguistica dei termini che fanno bene al cuore,
attraverso le sette note. E ciò rivela un meccanismo forse inconscio dei vari
compositori. La seconda: è indiscutibile il ruolo della soggettività in
un'analisi del genere. Come si fa a dire che una musica ispira lo stesso feeling per tutti quelli che la
ascoltano? Se non apprezzo (ad esempio) Laura Pausini, come genere o come
cantante, difficilmente riuscirò a dire che alcuni suoi brani rimandano
decisamente all'allegria, o altri ad un'opposta passione: eventualmente la
riterrò indifferente. Questo varrà a prescindere da quali parole o accordi avrà
usato nelle sue canzoni.
Per concludere, di certo c'è che non
possiamo attribuire solo alle parole il significato di un brano, deducendo che la
melodia utilizzata è solo espressione dei sentimenti. Anche perché a volte succede
il contrario. La musica ha nella sua definizione sfuggente il proprio fascino,
nella difficoltà di racchiudere in schemi e recinti la bellezza di un'arte e di
un linguaggio universale. E allora, gli accordi della felicità o della tristezza
esistono davvero? Certo che sì, e sono unici per ognuno di noi, per ogni brano.
Non sono soggetti a regole: basta avere la sensibilità di comprenderli.
(fonte
https://www.scientificamerican.com/article/have-scientists-found-a-secret-chord-for-happy-songs/)
Nessun commento:
Posta un commento