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lunedì 22 giugno 2015

Nano reticoli per la bioingegneria neurale


Nonostante gli sforzi della medicina e di tutta la scienza, non siamo ancora riusciti a creare una macchina davvero vicina al corpo umano. Ciò vale non solo per l’intelligenza disseminata dalla testa in giù, ma anche per la potenzialità di auto-riparazione che possediamo nella maggior parte dei casi. Ma, si sa, non essendo la perfezione di questo mondo, quella potenzialità a volte non è sufficiente. Questo è un problema specie se il difetto (congenito e in itinere) riguarda la nostra materia grigia. Diversi i tentativi per impiantare nella scatola cranica dispositivi che supportino la parte neurale danneggiata. Uno degli ultimi sembra promettere molto bene.

All’università di Harvard, nel centro di chimica e biologia chimica, i ricercatori hanno dimostrato che un nuovo tipo di dispositivo elettronico flessibile, che può essere inserito mediante una iniezione, potrebbe essere un'alternativa meno invasiva rispetto alle soluzioni tradizionali realizzate nella testa con elettrodi rigidi. Per i sistemi esistenti, infatti, esiste una sorta di disallineamento con i tessuti riceventi che comporta diversi danni e risposta immunitarie non positive. Inoltre, quando l’inserimento va a buon fine, la capacità di registrare o stimolare l'area di interesse non ha una durata importante. La nuova struttura reticolare progettata è molto più simile al tessuto biologico con cui deve integrarsi ed evitare pericolosi rigetti; possiede inoltre caratteristiche di flessibilità mai viste fin’ora nei dispositivi cerebrali impiantabili.

Il progetto rientra in quella che si definisce ingegneria biologica tissutale, con cui si identificano procedure di rigenerazione di tessuti del corpo umano mediante nuove cellule su strutture predisposte a riceverle, all’interno delle quali si ha la produzione di tessuto. Gli scienziati statunitensi sono riusciti ad alloggiare all’interno della struttura, fatta di sottilissimi fili metallici e polimerici, dei sensori elettronici per misurazioni sulle cellule. Le prime prove sono state fatte iniettando queste speciali nano-maglie in aree mirate nel cervello di topi vivi, rilevando successivamente la capacità di registrare i segnali da esse provenienti, grazie ad un filo collegato alla maglia che però rimane all'esterno del corpo. Un dispositivo del genere di circa un centimetro e mezzo si può piegare e ridurre fino a poche centinaia di micrometri, iniettandolo attraverso un ago speciale. Una volta all'interno, tende a conformarsi all’ “ambiente” tridimensionale in cui si trova. Nel corso del tempo, i neuroni si integrano con la rete, offrendo l'opportunità di registrare o stimolare singole cellule in una data regione, anche per diversi mesi.

Tale tecnologia potrebbe fornire preziose informazioni sull'attività elettrica di alcuni circuiti neurali per certe funzioni ancora non del tutto chiare, come i ricordi a lungo termine. Si potrebbe anche far luce sulle disfunzioni del cervello, come la schizofrenia o il morbo di Parkinson. In generale potrebbe portare a nuovi stimoli terapeutici per affrontare malattie neurodegenerative o realizzare futuristiche interfaccia cervello-computer, che possono aiutare le persone disabili a riacquistare, almeno parzialmente, una propria indipendenza.

Gli animalisti protesteranno, a torto o a ragione, ma per far progredire questa tecnica ad alto tasso innovativo gli esperimenti ad Harvard dureranno ancora da sei mesi a un anno nei topi; poi si dovrebbe passare a primati e, infine, dopo una serie di test molto rigorosi, alla sperimentazione umana. Se dovesse funzionare davvero, visti i grossi benefici attesi, non crediamo ci sia altra via, e lo diciamo a malincuore, che quella di sacrificare innocenti creature.



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