Nonostante gli sforzi della medicina e di tutta la
scienza, non siamo ancora riusciti a creare una macchina davvero vicina al
corpo umano. Ciò vale non solo per l’intelligenza disseminata dalla testa in
giù, ma anche per la potenzialità di auto-riparazione che possediamo nella
maggior parte dei casi. Ma, si sa, non essendo la perfezione di questo mondo,
quella potenzialità a volte non è sufficiente. Questo è un problema specie se
il difetto (congenito e in itinere) riguarda la nostra materia grigia. Diversi
i tentativi per impiantare nella scatola cranica dispositivi che supportino la
parte neurale danneggiata. Uno degli ultimi sembra promettere molto bene.
All’università di Harvard, nel centro di chimica e
biologia chimica, i ricercatori hanno dimostrato che un nuovo tipo di
dispositivo elettronico flessibile, che può essere inserito mediante una
iniezione, potrebbe essere un'alternativa meno invasiva rispetto alle soluzioni
tradizionali realizzate nella testa con elettrodi rigidi. Per i sistemi esistenti,
infatti, esiste una sorta di disallineamento con i tessuti riceventi che
comporta diversi danni e risposta immunitarie non positive. Inoltre, quando l’inserimento
va a buon fine, la capacità di registrare o stimolare l'area di interesse non
ha una durata importante. La nuova struttura reticolare
progettata è molto più simile al tessuto biologico con cui deve integrarsi ed
evitare pericolosi rigetti; possiede inoltre caratteristiche di flessibilità
mai viste fin’ora nei dispositivi cerebrali impiantabili.
Il progetto rientra in quella che si definisce
ingegneria biologica tissutale, con cui si identificano procedure
di rigenerazione di tessuti del corpo umano mediante nuove cellule su
strutture predisposte a riceverle, all’interno delle quali si ha la produzione
di tessuto. Gli scienziati statunitensi sono riusciti ad alloggiare all’interno
della struttura, fatta di sottilissimi fili metallici e polimerici, dei sensori elettronici per misurazioni sulle cellule. Le prime
prove sono state fatte iniettando queste speciali nano-maglie in aree mirate
nel cervello di topi vivi, rilevando successivamente la capacità di registrare
i segnali da esse provenienti, grazie ad un filo collegato alla maglia che però rimane all'esterno del corpo. Un dispositivo del genere di
circa un centimetro e mezzo si può piegare e ridurre fino a poche centinaia di
micrometri, iniettandolo attraverso un ago speciale. Una volta all'interno, tende a conformarsi all’ “ambiente” tridimensionale in cui si trova. Nel
corso del tempo, i neuroni si integrano con la rete, offrendo l'opportunità di
registrare o stimolare singole cellule in una data regione, anche per diversi mesi.
Tale tecnologia potrebbe fornire preziose
informazioni sull'attività elettrica di alcuni circuiti neurali per certe funzioni ancora non del tutto chiare,
come i ricordi a lungo termine. Si potrebbe anche far luce sulle disfunzioni
del cervello, come la schizofrenia o il morbo di Parkinson. In generale potrebbe
portare a nuovi stimoli terapeutici per affrontare malattie neurodegenerative o
realizzare futuristiche interfaccia cervello-computer, che possono aiutare le
persone disabili a riacquistare, almeno parzialmente, una propria indipendenza.
Gli animalisti protesteranno, a torto o a ragione,
ma per far progredire questa tecnica ad alto tasso innovativo gli esperimenti
ad Harvard dureranno ancora da sei mesi a un anno nei topi; poi si dovrebbe
passare a primati e, infine, dopo una serie di test molto rigorosi, alla
sperimentazione umana. Se dovesse funzionare davvero, visti i grossi benefici attesi, non crediamo ci sia altra via, e lo diciamo a malincuore, che
quella di sacrificare innocenti creature.
(fonte
http://www.technologyreview.com/news/538606/injectable-implants-could-help-crack-the-brains-codes/ ; si ringrazia il sito http://www.mindcontrol.se/ per la gentile
concessione della foto)
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