Un vecchio adagio dice che non si
finisce mai di imparare. Ed è vero, specie se abbiamo la mente aperta a tutte
le età, senza crederci arrivati o presuntuosamente onniscienti. A me è capitato
di recente: una bella occasione, perché viene da un ragazzo di soli 18 anni
(mio nipote), alle prese con il lavoro finale della maturità. Insomma, per
farla breve, oggi vi parlo del Velo di Maya.
Non ho avuto la fortuna di studiare
filosofia. Forse chi l'ha fatto ed ha buona memoria, oppure semplicemente chi
ama leggere testi "appena" diversi dalla Gazzetta dello Sport o
Novella2000, ricorderà perfettamente autori, filosofi e non, come Schopenhauer,
Platone, Pirandello e Wilde. Cos'hanno in comune questi giganti del passato? la
loro intenzione di sottolineare le differenze tra volontà e rappresentazione,
tra finzione e realtà, tra mondo dell'apparire e del percepire, tra ignoranza e
conoscenza. Argomento piuttosto sensibile, specie ai giorni nostri, dove la
forma sta surclassando la sostanza in ogni campo. Ma, forse, se ne parlava già Platone,
è intrinseca al genere umano. E questo parzialmente ci consola.
L'antica saggezza dei Veda indiani, raccolta
di testi sacri all'incirca risalente a 4000 anni fa, tramanda che la dea Maya,
dopo aver creato la Terra, la ricoprì con un velo per impedire agli uomini di
conoscere la vera natura della realtà. Basandosi su questa leggenda, Artur Schopenhauer
coniò l'espressione "Velo di Maya" nel suo libro "Il mondo come
volontà e rappresentazione". Tralasciando dettagli e approfondimenti
eccessivi, egli volle sostenere l'idea della vita come sogno, distinta dalla
realtà proprio a causa di questo velo illusorio e metafisico. Tornando indietro
di diversi secoli, lo stesso Platone, nella sua metafora della caverna, affermava
che solo grazie alla conoscenza l'uomo può liberarsi dal velo sugli occhi, che
filtra e camuffa la realtà. Il grande Luigi Pirandello espresse un concetto
simile con il tema della maschera, in "Uno, nessuno e centomila";
molto vicino fu l'aforisma di Oscar Wilde, secondo il quale "ogni uomo
mente, ma dategli una maschera e sarà sincero".
Allora vi chiedo: è proprio vero che
l'apparenza inganna? voglio dire, conosciamo una persona, ce ne facciamo
un'idea, poi quella smonta completamente il nostro pensiero di lei. E' stato
bravo quell'individuo a recitare, o noi a non saper riconoscere la realtà?
Direi più la seconda, proprio a causa di quel velo. Ma questa è solo una dimostrazione
semplicistica del concetto. Più difficile invece spiegare la dilatazione tra
come vediamo la vita, il quotidiano, il rapporto con gli altri, con le cose (la
tecnologia, ad esempio), e come la realtà fluisce davvero. Con l'esperienza ci
siamo creati un bagaglio di idee, cultura, educazione e mentalità che
costituiscono il nostro io, e la prima impressione ne è fortemente
condizionata. Poi, in un secondo momento, se siamo bravi e audaci, riusciamo a
percepire l’oggettività della realtà.
Ma è necessario molto carattere e tanta personalità.
A volte, però, ci dobbiamo scontrare
contro disegni e sistemi che vogliono farci credere storie diverse da quelle vere.
Non sono un complottista, ma l'esempio dei governanti (italiani e non) e di chi
comanda nella stanza dei bottoni è quello più lampante. Tutto e il contrario di
tutto, pur di fingere una lotta inesistente per il bene della plebe, la quale,
causa velo o ignoranza (nel senso di mancanza di conoscenza e coscienza), vaga
alla ricerca di una verità, almeno presunta. Se avete letto "1984" di
George Orwell, ricorderete senz'altro il bi-pensiero "Quel che era vero
adesso, lo era da sempre e per sempre. Era semplicissimo, bastava conseguire
una serie di vittorie infinite sulla propria memoria. Lo chiamavano controllo
della realtà".
Un altro personaggio che ha toccato
questo tema, artista a me caro e che ho apprezzato in una mostra, è Maurits
Cornelis Escher. Il grafico e incisore olandese ebbe a dire “Noi non conosciamo
lo spazio, non lo vediamo, non lo ascoltiamo, non lo percepiamo. Siamo in mezzo
ad esso, ne facciamo parte, ma non ne sappiamo nulla...”. Frase che trovava
magistrali interpretazioni nei suoi capolavori. Le opere di Escher sono un
continuo mescolamento tra molteplici realtà, mondi semi-reali e semi-immaginari
che lasciano l'osservatore affascinato ed inquieto.
C'è dunque un modo per uscirne, per
abbandonare questa inquietudine esistenziale e vedere una pur fioca luce di
verità, o siamo condannati ad una vita velata? Riusciremo, col
tempo, a gettare le nostre maschere e a non essere più schiavi della
mistificazione? Se avete una risposta, vi ascolterò. Io, al momento, non ce
l'ho.
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