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martedì 18 ottobre 2016

La crescita tecnologica negli USA sottrae posti di lavoro ?


L’annosa questione dei posti di lavoro “rubati” dall’automazione delle fabbriche ha i suoi cicli storici. E al solito si alternano pro e contro, ogni volta con le testimonianze del momento, a causa di una delle ultime dirompenti tecnologie che, oltre al business smisurato di chi le vende, possono avere come effetti collaterali dei significativi ridimensionamenti aziendali.

Dopo la fine dello strapotere nipponico nelle tecnologie consumer evolute, nell’ultimo decennio gli Stati Uniti sono tornati a padroneggiare. In questo paese, democratico fino ad un certo punto e talmente ampio da ospitare numerose contraddizioni, qualcuno ha fatto i conti in tasca alle recenti major dell’informatica e di internet, conti relativi non solo al loro fatturato da capogiro, ma anche al numero di dipendenti. Risultato ? dopo l’impennata di assunzioni degli anni ’90, dal 2000 in poi l'occupazione di lavoratori in tale comparto è scesa di oltre il 40%, anche se una piccola parte di posti di lavoro è stata riassorbita da altri settori tecnologici. Questo risultato è ben lontano da ciò che molti leader politici e imprenditori del posto avevano previsto una generazione fa. Nel 2000 Clinton & co avevano parlato del fermento che sarebbe derivato dai rapidi cambiamenti tecnologici, contribuendo ad uno dei motori principali dell'economia degli USA. Oggi, che è accaduto quasi il contrario, si è arrivati ad un malcontento nazionale, con il quale si spiega l'ascesa di certi soggetti, quantomeno viscidi, come un certo Trump. In un paese in cui si è sempre cresciuti a pane e sviluppo, l’ultima generazione ha notato l’assenza dei progressi vissuti dai loro genitori e nonni, con la conseguente frustrazione facilmente trasportabile sui ring politici.

Si potrebbero citare innumerevoli casi di big company statunitensi, che hanno avuto un trend positivo nell’occupazione dai primi anni ’90 fino ai primi 2000, per poi invertire rotta e continuare ad avere buoni ricavi con sempre meno persone. Una di questa è stata la Micron Technology, grosso nome per i circuiti integrati a semiconduttore, tra l’altro con diverse sedi in Italia; a questa va aggiunta l’azienda della mela morsicata, che dopo la scomparsa del genio di Jobs, ha sempre più spostato l’assemblaggio degli smartphone in Cina, pur riprendendo a produrre alcuni Mac in Texas. Un’altra, notissima, è stata l’IBM, che ha visto diminuire di 2/3 i dipendenti in uno storico stabilimento della contea di Broome. 

Estendo il discorso a livello globale, esiste un altro problema, che può essere annoverato tra le cause del minor uso di risorse umane, strettamente legato alla crescente delocalizzazione della produzione tecnologica. C’è stato un punto di rottura, diversi anni fa, quando chi progettava si era reso conto della possibilità di minimizzare le tipologie di hardware a disposizione e generare una miriade di prodotti diversi, semplicemente personalizzando il software. Questa filosofia, molto vantaggiosa per i capitani d’impresa, non avrebbe mai avuto un ritorno positivo per certe categorie di lavoratori. Molti infatti andavano affermando che una soluzione alle fabbriche automatizzate era la riqualificazione degli operai. In questo senso la logica avrebbe funzionato se, introducendo una o più macchine, le persone avessero perso un po’ di manualità acquisendo invece dimestichezza e competenza con l’uso, la programmazione e la manutenzione delle stesse. Così non è stato, perchè l’aver diminuito le tipologie di “ferraglia”, le cose tangibili che possono uscire dagli stabilimenti, ha portato ad esasperare la globalizzazione: poca differenziazione nelle piattaforme hardware ma moltissimi numeri, ottenuti a buon costo in estremo oriente, tra i quali a creare il valore aggiunto della personalizzazione sarebbe stato il software realizzato invece in casa, vero componente di qualità di ogni prodotto tecnologico. E voi vi immaginate un ragazzo di 50 anni, che ne ha passati 25 su una linea di assemblaggio componenti, a sedersi davanti ad un pc, sul quale è appena partita l’ultima versione di Visual Studio (*), pronto a programmare ? Come si poteva pensare di far passare un dipendente in tempi ragionevoli da un lavoro estremamente pratico e ripetitivo, ad uno concettuale ed astratto ?

E tutto questo fiorire di trovate, che avevano ed hanno solo il business come fine ultimo, cosa ha comportato ? quello che gli economisti chiamano il fenomeno dello skill-biased technical change, ossia il cambiamento tecnologico avviluppato intorno alle abilità: la crescita economica maggiore si sviluppa in quelle poche persone/aziende che con abilità, fortuna (e altro) si sono meglio destreggiate per sfruttare le nuove opportunità, lasciando per ultima la salvaguardia dei lavoratori. Tradotto in numeri si ha che le cinque aziende tecnologiche più grandi degli USA,  Apple, Alphabet, Microsoft, Facebook e Oracle Corporation hanno un complessivo valore in borsa di circa 1.8 miliardi di miliardi di dollari. Il che corrisponde all’80% in più rispetto alle cinque aziende top nel 2000, che naturalmente non erano queste; ma a fronte di tale incremento la somma totale dei lavoratori in quelle cinque grandi “sorelle” vale il 22% in meno rispetto ai loro predecessori.

Poi, per tornare a casi più pratici, possiamo citare la situazione di Amazon, il maggior distributore online al mondo, dove già lavorano dei robot per sistemare le scatole negli immensi impianti di logistica. Almeno quelle più grosse, visto che l’umanizzazione di tali macchine non consente di maneggiare agevolmente pacchetti di dimensioni più ridotte. Ancora no, visto che il team di ingegneri di Amazon sta provando a far a meno anche dei dipendenti con queste mansioni. Per non dire dei droni che faranno consegne: addio postini e corrieri. Altro caso eclatante è quello dell’azienda Knightscope, con sede in California. Lì producono dei robot che fungono da guardiani notturni. Alcuni esemplari sono già in funzione, fanno delle vere e proprie pattuglia di sorveglianza, in centri commerciali e campus aziendali. Si spera siano meno cattivi dei Terminator cinematografico, ma al momento si sa solo che i costi del noleggio sono ridicoli, 7 dollari l’ora. E gli ideatori hanno ritirato fuori il solito disco :"I robot non si lamentano, non si stancano, non bisogna prevederne la pensione".

Magari un giorno invece si svegliano e la pretendono anche loro, la pensione. Saranno in fila alle poste a fine mese. Diventerà il più grottesco dei traguardi.



(*) Il Visual Studio è un ambiente di programmazione per computer e dispositivi mobili, che comprende diversi linguaggi e modalità, qui una breve descrizione per i più curiosi.

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