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mercoledì 5 ottobre 2016

Cosa mangeremo su Marte ?


Sembra che le risorse sulla Terra saranno sempre meno in funzione del crescente numero di abitanti del pianeta. Da tempo si va parlando di ottimizzare, efficientare, sostenibilizzare, decrescere felicemente. Oppure, emigrare altrove. Comunque è tutto vero. Come sapete (o se siete tra quelli che non ci credono, peggio per voi) tra qualche decennio arriveremo a scannarci per acqua potabile e cibo old style. Se dell’acqua non possiamo farne a meno, per il cibo new style alcuni credono che ci ritroveremo a mangiare insetti in tutte le salse. E allora ? Emigrare altrove, si diceva. Su Marte ? lontanuccio ma probabile. E lì, di grazia, cosa si mangerà ? Per non essere impreparati sul tema, alcuni ricercatori stanno provando a coltivare piante in condizioni simili a quelle del pianeta rosso.

E' impossibile pensare che nella remota possibilità di colonizzare Marte ci si possa portare le provviste per anni e anni. Così bisognerà pensare a come far crescere dei vegetali su un terreno arido ed ostile, privo di acqua indigena e soprattutto con un atmosfera poco amichevole. Per questo alcune prove sono in atto nei laboratori del Florida Institute of Technology, dove è ai primi vagiti un orto molto rudimentale che potrebbe attecchire lassù. In collaborazione con il College of Aeronautics e il Department of Physics and Space Sciences, gli scienziati stanno facendo crescere un tipo di lattuga rossa in tre habitat diversi: un terreno “nostrano”,  un materiale che simula il terreno superficiale marziano, detto regolite marziano, più quest'ultimo con l'aggiunta di sostanze nutritive, al fine di trovare la giusta alchimia nel sostentamento della pianta. Per inciso si chiama regolite, e vale anche per la Terra, quella zona intermedia tra roccia madre e terreno superficiale, ottenuta nel medio-lungo periodo dal disfacimento della roccia sottostante, mescolati ad altri detriti di varia origine.

A differenza del suolo terrestre, il regolite marziano non contiene materia organica ed ha un minor numero di minerali, mentre le piante hanno bisogno di venire su con fosfati e nitrati. Esso è inoltre dannoso allo stato puro, sia per le piante che per gli esseri umani, a causa di un alto contenuto di cloro. Ora, ciò che si usa in laboratorio al posto del regolite ha qualche difetto. Del resto un campione vero di quel materiale sarà disponibile, se tutto va bene, non prima di 15 o 20 anni, al ritorno della prima missione su Marte (che deve ancora partire). Quindi i ricercatori del Florida Tech stanno cercando di creare un regolite più vicino possibile all’originale, utilizzando i dati del rilevamento chimico inviati dal rover che ha fatto capolino lassù.

Intanto continuano le collaborazioni importanti al riguardo. Una su tutte, quella con gli scienziati della NASA che hanno esperienza di coltivazione vegetale sulla Stazione Spaziale Internazionale. Una nuova civiltà dovrà comunque imparare a sostenersi da sola, vista l’esperienza della Terra, dal futuro poco roseo, e dato che le risorse di partenza sul pianeta rosso sono vicine allo zero. Chiaramente prove del genere non possono essere esaustive. I ricercatori prevedono infatti di esporre il loro orto sperimentale ad altri fattori, come le radiazioni che incontrerebbe nel lungo cammino tra i due pianeti; oppure capire come avverrà la crescita delle radici con una forza di gravità meno impattante e quali quantitativi di acqua saranno necessari. Secondo il responsabile del progetto uno studio simile potrebbe avere un impatto positivo sugli attuali criteri di sostenibilità. "Imparare a coltivare le piante in un ambiente inospitale come Marte potrebbe aiutare a massimizzare la produttività alimentare e ridurre qui da noi al minimo l'utilizzo di risorse preziose come acqua e fertilizzante" ha affermato il professor Batcheldor.

Proiettando dunque la nostra alimentazione a circa 75 milioni di km da casa: di carne e di pesce non se ne parla proprio, far arrivare delle bottiglie di buon vino, che intanto saranno diventate una vecchia riserva, appare impresa ardua. Se i primi tentativi come questo sulla lattuga andranno a buon fine, i vegani hanno da star tranquilli. Noialtri, un po' meno.




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