Da sempre l’uomo intelligente ha volto
lo sguardo al futuro, sia a quello da vivere che al tempo dopo la morte. Per
chi crede in un dio si parla di vita eterna, o giù di lì. Poi c’è chi crede
nella reincarnazione, con la speranza di rinascere sotto altre sembianze: non
ne conosco molti, a dire il vero. L’eternità, una parola che affascina e forse
spaventa, può risultare anche una sfida. Non parlo dei progetti di
conservazione criogenica degli individui, quanto di chi, in vari modi, sta
cercando di trasmettere nel tempo le conoscenze dell’umanità, preservandole da
eventi apocalittici. Fa parte dell’umana ragione accettare la sua finitezza e allo
stesso tempo lasciare un segno importante del proprio passaggio, brevissimo
rispetto alla indefinitezza del tempo.
Il SETI (acronimo di Search for Extra-Terrestrial Intelligence)
è un programma internazionale dedicato alla ricerca della vita intelligente
extraterrestre, che si occupa anche di inviare segnali della nostra presenza ad
eventuali civiltà future in grado di captarli. Scartate le capsule del tempo perché ritenute
inadatte, si pensa ad altri mezzi. Il DNA potrebbe ipoteticamente memorizzare
tutta la storia umana: attraverso la sua naturale replica, forse all'interno di
una colonia di batteri, i dati sarebbero automaticamente copiati e preservati. Però
i batteri avrebbero sempre bisogno di una fonte di alimentazione e, se non ci
saremo, non è detto che se la possano procurare da soli. Inoltre, col tempo il
DNA tende fisiologicamente a mutare, quindi potrebbe portare informazioni
imprecise.
Alcune fondazioni private stanno
provando a tornare alle origini, con la fondazione Memory of Mankind (MoM). Un piccolo gruppo di artisti, storici
archeologi e ricercatori stanno incidendo testi su materiali ceramici, che verranno
sepolti nella più antica miniera di sale del mondo, in Austria. Si pensa che
possano rimanere intatti per un milione di anni. Il responsabile di MoM ha
spiegato che questi "supporti per dati ceramici" sono resistenti a
temperature estremamente elevate, prodotti chimici corrosivi e radiazioni estreme.
Il loro intento non è quello di trascrivere tutto lo scibile, impensabile in
tali modalità, ma provare a conservare come abbiamo acquisito tale conoscenza. Un’idea
non originale, visto che già ci avevano pensato i primi ominidi, diversi
millenni fa, con le incisioni rupestri, arrivate fino ai giorni nostri.
Un’alternativa più tecnologica ed
efficace potrebbe essere quella di Project
Natick, sviluppato da Microsoft. Questo progetto prevede la collocazione di
data center sottomarini sui fondali adiacenti le città costiere. Gli hub sarebbero raffreddati dal mare e
alimentati da fonti rinnovabili, fornendo alle comunità costiere un rapido
accesso a Internet. Sebbene non siano stati progettati per questo, possono
essere reinterpretati come capsule temporali digitali a prova di catastrofe. "Potremmo
creare supercomputer galleggianti che hanno la capacità di rigenerare e
archiviare i dati di tutto il pianeta", hanno affermato i ricercatori di
Project Natick. Insomma, una sorta di caveau di dati sul fondo delle acque che potrebbero
potenzialmente durare qualche secolo.
Indipendentemente da come scegliamo di memorizzare
le informazioni sulla nostra specie, sulla Terra dovrebbero resistere a
qualsiasi tipo di disastro naturale o a forze geologiche distruttive. In
alternativa si può pensare di non conservarle sul pianeta azzurro. "In
generale, lo spazio è un buon posto dove mettere cose che non si vogliono
degradare troppo, a patto di proteggerle in modo adeguato", ha detto il
dottor Shostak, ricercatore del SETI
e coinvolto in prima persona su queste tematiche. Non si tratterebbe di data center a bassa orbita, col rischio
di rimanere a corto di carburante e di precipitare, ma ad orbite molto alte,
pronte cioè a continuare la loro corsa ciclica per tempi molto lunghi. Una
possibilità a cui si va pensando da tempo è di posizionare degli hard disk (molto
capienti) sulla luna, possibilmente non sulla superficie: sarebbero degradati
dalle radiazioni che raggiungono la sua superficie. Andrebbero quindi
seppelliti sotto uno spesso strato di crosta lunare.
Tuttavia inviare le informazioni sull’umanità
ai posteri, di qualunque specie essi siano, non è sufficiente a raggiungere il
risultato sperato. Dobbiamo avere un’alta probabilità che quelle informazioni
possano essere comprese. Diversamente da quel che sembra, esistono oggi molti
sistemi di scrittura arrivati a noi che restano indecifrati. Per i più curiosi,
un caso noto è quello della lingua proto-elamita. Ma la nostra
incapacità di comprendere deriva anche da una serie di concezioni moderne che
possono distorcere la visione dei testi antichi. Pertanto se gli esseri futuri
che fanno la traduzione non saranno nemmeno umani, il discorso si farebbe più
complicato. In quale modo comunicare allora? Due “strumenti” possono tornare
utili: la matematica, per spiegare concetti logici, e la musica, probabilmente
per alcuni stati emotivi. Ovviamente il genere umano è fatto di tanto altro,
quindi neanche essi sarebbero sufficienti a descriverci in modo esaustivo.
Secondo il dottor Shostak una soluzione
potrebbe essere trasmettere tutto il web, magari depurato dalla peggiori
nefandezze della nostra civiltà. Oppure lasciandole, per dare un quadro più
realistico di come siamo. Se non altro, chi troverà queste informazioni non ci
prenderà troppo sul serio e forse farà meglio di noi.
(fonte
https://earther.gizmodo.com/the-time-capsules-that-will-outlast-the-apocalypse-1830653288 ; si ringrazia il sito http://espacioconciencia.com per la gentile concessione della foto)
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