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lunedì 10 dicembre 2018

L’umanità e l’eternità



Da sempre l’uomo intelligente ha volto lo sguardo al futuro, sia a quello da vivere che al tempo dopo la morte. Per chi crede in un dio si parla di vita eterna, o giù di lì. Poi c’è chi crede nella reincarnazione, con la speranza di rinascere sotto altre sembianze: non ne conosco molti, a dire il vero. L’eternità, una parola che affascina e forse spaventa, può risultare anche una sfida. Non parlo dei progetti di conservazione criogenica degli individui, quanto di chi, in vari modi, sta cercando di trasmettere nel tempo le conoscenze dell’umanità, preservandole da eventi apocalittici. Fa parte dell’umana ragione accettare la sua finitezza e allo stesso tempo lasciare un segno importante del proprio passaggio, brevissimo rispetto alla indefinitezza del tempo.

Il SETI (acronimo di Search for Extra-Terrestrial Intelligence) è un programma internazionale dedicato alla ricerca della vita intelligente extraterrestre, che si occupa anche di inviare segnali della nostra presenza ad eventuali civiltà future in grado di captarli. Scartate le capsule del tempo perché ritenute inadatte, si pensa ad altri mezzi. Il DNA potrebbe ipoteticamente memorizzare tutta la storia umana: attraverso la sua naturale replica, forse all'interno di una colonia di batteri, i dati sarebbero automaticamente copiati e preservati. Però i batteri avrebbero sempre bisogno di una fonte di alimentazione e, se non ci saremo, non è detto che se la possano procurare da soli. Inoltre, col tempo il DNA tende fisiologicamente a mutare, quindi potrebbe portare informazioni imprecise.

Alcune fondazioni private stanno provando a tornare alle origini, con la fondazione Memory of Mankind (MoM). Un piccolo gruppo di artisti, storici archeologi e ricercatori stanno incidendo testi su materiali ceramici, che verranno sepolti nella più antica miniera di sale del mondo, in Austria. Si pensa che possano rimanere intatti per un milione di anni. Il responsabile di MoM ha spiegato che questi "supporti per dati ceramici" sono resistenti a temperature estremamente elevate, prodotti chimici corrosivi e radiazioni estreme. Il loro intento non è quello di trascrivere tutto lo scibile, impensabile in tali modalità, ma provare a conservare come abbiamo acquisito tale conoscenza. Un’idea non originale, visto che già ci avevano pensato i primi ominidi, diversi millenni fa, con le incisioni rupestri, arrivate fino ai giorni nostri.

Un’alternativa più tecnologica ed efficace potrebbe essere quella di Project Natick, sviluppato da Microsoft. Questo progetto prevede la collocazione di data center sottomarini sui fondali adiacenti le città costiere. Gli hub sarebbero raffreddati dal mare e alimentati da fonti rinnovabili, fornendo alle comunità costiere un rapido accesso a Internet. Sebbene non siano stati progettati per questo, possono essere reinterpretati come capsule temporali digitali a prova di catastrofe. "Potremmo creare supercomputer galleggianti che hanno la capacità di rigenerare e archiviare i dati di tutto il pianeta", hanno affermato i ricercatori di Project Natick. Insomma, una sorta di caveau di dati sul fondo delle acque che potrebbero potenzialmente durare qualche secolo.

Indipendentemente da come scegliamo di memorizzare le informazioni sulla nostra specie, sulla Terra dovrebbero resistere a qualsiasi tipo di disastro naturale o a forze geologiche distruttive. In alternativa si può pensare di non conservarle sul pianeta azzurro. "In generale, lo spazio è un buon posto dove mettere cose che non si vogliono degradare troppo, a patto di proteggerle in modo adeguato", ha detto il dottor Shostak, ricercatore del SETI e coinvolto in prima persona su queste tematiche. Non si tratterebbe di data center a bassa orbita, col rischio di rimanere a corto di carburante e di precipitare, ma ad orbite molto alte, pronte cioè a continuare la loro corsa ciclica per tempi molto lunghi. Una possibilità a cui si va pensando da tempo è di posizionare degli hard disk (molto capienti) sulla luna, possibilmente non sulla superficie: sarebbero degradati dalle radiazioni che raggiungono la sua superficie. Andrebbero quindi seppelliti sotto uno spesso strato di crosta lunare.

Tuttavia inviare le informazioni sull’umanità ai posteri, di qualunque specie essi siano, non è sufficiente a raggiungere il risultato sperato. Dobbiamo avere un’alta probabilità che quelle informazioni possano essere comprese. Diversamente da quel che sembra, esistono oggi molti sistemi di scrittura arrivati a noi che restano indecifrati. Per i più curiosi, un caso noto è quello della lingua proto-elamita. Ma la nostra incapacità di comprendere deriva anche da una serie di concezioni moderne che possono distorcere la visione dei testi antichi. Pertanto se gli esseri futuri che fanno la traduzione non saranno nemmeno umani, il discorso si farebbe più complicato. In quale modo comunicare allora? Due “strumenti” possono tornare utili: la matematica, per spiegare concetti logici, e la musica, probabilmente per alcuni stati emotivi. Ovviamente il genere umano è fatto di tanto altro, quindi neanche essi sarebbero sufficienti a descriverci in modo esaustivo.

Secondo il dottor Shostak una soluzione potrebbe essere trasmettere tutto il web, magari depurato dalla peggiori nefandezze della nostra civiltà. Oppure lasciandole, per dare un quadro più realistico di come siamo. Se non altro, chi troverà queste informazioni non ci prenderà troppo sul serio e forse farà meglio di noi.



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