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lunedì 5 settembre 2016

Il complesso caso delle batterie per veicoli elettrici


Negli anni '60 uno dei fondatori della Intel, il più grande costruttore di microprocessori sul globo, ricavò una legge empirica secondo cui la complessità dei circuiti integrati per l'elettronica sarebbe raddoppiata ogni 18 - 24 mesi. Si trattava di Gordon Moore e dell'omonima legge. Col tempo questa previsione è risultata corretta. Fintanto che la dimensione dei calcolatori era tale da non prevedere la loro portabilità, il poterli usare in movimento, la sorgente di alimentazione era semplicemente una presa di corrente. Quando invece c'è stato bisogno delle batterie, col passare degli anni e con il crescente bisogno di batterie più performanti, ci si è accorti che per esse la legge di Moore non è applicabile (ne avevamo già parlato qui alcuni anni fa). Questo vale sia per l'elettronica spicciola (smartphone, notebook, e così via), sia per alcuni mezzi di spostamento che, causa i cambiamenti climatici, stiamo cercando di sviluppare e diffondere quanto prima: i veicoli elettrici.

I migliori produttori di auto elettriche hanno raggiunto un limite nelle prestazioni delle batterie, circa il rapporto tra distanza percorribile in funzione del tempo di ricarica, che vale poco più di 1/2 km per minuto di ricarica. In altre parole, questi veicoli possono avere un'autonomia media fino a circa 300 km dopo una carica di 8 ore, mentre le auto con motore termico tradizionale sono in grado di coprire la stessa distanza, se non di più, dopo solo un minuto di rifornimento. Ciò dipende da come la carica elettrica viene immagazzinata nelle batterie convenzionali, in special modo quelle agli ioni di litio, le più diffuse in questo settore. Nel contempo la progettazione dei veicoli elettrici è maturata abbastanza, non ci sono ad oggi grossi impedimenti in quanto ad elettronica e meccanica, dunque il collo di bottiglia di questi prodotti è rappresentato proprio dalla chimica delle batterie. Il passaggio a sistemi di stoccaggio di energia elettrica più efficienti e a basso costo non è proprio a portata di mano.

Un certo numero di startup sono però vicine alla realizzazione di dispositivi pronti ad immagazzinare energia ad un costo inferiore a 100 dollari per chilowattora. Si avrebbe così il vantaggio di poter ricaricare direttamente con le fonti rinnovabili, cosa fin'ora non sempre possibile, dato che la convenienza si abbassa drasticamente in assenza di sole e vento. Ma queste batterie non vengono ancora commercializzate con i numeri necessari per accelerare il passaggio dai combustibili fossili alle rinnovabili nel processo di ricarica. Alla stessa Tesla, leader tra i costruttori di veicoli elettrici di lusso, nonostante abbiano a listino auto con più di 500 km di autonomia, hanno affermato che le loro principali ricerche vertono proprio sul miglioramento delle attuali batterie agli ioni di litio. E ciò è tutto dire.

Il processo decennale di sviluppo di nuovi dispositivi di immagazzinamento ha messo in evidenza uno dei principali ostacoli nel progresso delle batterie: quando si migliora un aspetto, si rischia di  comprometterne altri. A questo si aggiunga il fatto che la ricerca ha un problema di sovrabbondanza: ci sono così tante tecnologie che nessuno sta primeggiando sugli altri in modo da attirare la maggior parte dei progetti. Insomma, non si fa rete. Ogni tanto sembra spuntare un'idea che promette rivoluzioni. L'ultima viene dagli ingegneri della Ohio State University, che hanno utilizzato una membrana di plastica sottile per bloccare il fisiologico processo di scarica delle batterie, anche a veicolo fermo, permettendo al contempo una rapida ricarica. E' una tecnologia ispirata al modo in cui le membrane cellulari consento il trasporto di proteine all'interno del nostro corpo. Tale applicazione potrebbe accoppiarsi ad un nuovo tipo di batteria, nella quale il liquido elettrolita si può ricaricare o svuotare, alla stessa strega di un carburante nel suo serbatoio. Così, per gli spostamenti quotidiani l'elettrolita può essere semplicemente rigenerato inserendo la spina in una presa di corrente, ad esempio di notte; invece, per i viaggi a lungo chilometraggio, si può svuotare l'elettrolita utilizzato e ricaricare la batteria versandone una identica quantità, ciò che già facciamo con benzina e gasolio nei motori termici.

Altro aspetto da non sottovalutare è quello dei costi di produzione. E' stato stimata intorno a 500 milioni di dollari la spesa per realizzare una piccola linea produttiva e poter fare tutte le ricerche in dettaglio, al fine di portare il prodotto ad una economia di scala. Tesla, per fare in grande, spenderà invece 5 miliardi. In generale, però, diversi produttori di auto "pulite" arrivano a testare i nuovi sistemi di batterie per alcuni anni prima di sposare una certa tecnologia. E, tra la paura di sbagliare perdendo l'investimento e gli scarsi finanziamenti al riguardo, si procede molto a rilento. Per non parlare di chi invece progetta e costruisce le batterie stesse: nonostante molti scienziati affermino la necessità di rifondare la chimica di base di questi prodotti, colossi come Samsung, LG e Panasonic continuano a migliorare le attuali batterie al litio. Tutta una serie di ostacoli che, sommati al mancato decollo delle infrastrutture e alla bassa mentalità green degli acquirenti, frenano la diffusione di mezzi di trasporto meno inquinanti.




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