Siamo nell'era
dell'antropocene, su questo ci troviamo (quasi) tutti d'accordo. Il condizionamento
dell'animale uomo sul pianeta è diventato significativo da troppo tempo, quello
che ci manca è la sensibilità al problema. Polemiche a parte, oltre agli
effetti arcinoti e a quelli stimati dagli scienziati per il futuro, ora un
nuovo studio ne ha scovati degli altri. Pare infatti che stiamo determinando
accelerazione o decelerazione nell'evoluzione di alcune specie di esseri
viventi, enfatizzando quella che si chiama speciazione artificiale.
Condotto in collaborazione tra l'università di Copenaghen e quella del Queensland, lo
studio mette in evidenza come le attività umane influenzino le evoluzioni ed
involuzioni delle specie, affermando che le nuove formatesi non possono
banalmente sostituire quelle selvatiche estinte. La biodiversità ha bisogno di
suoi ritmi, molto lunghi, per far eventualmente trasmutare una specie in
un'altra, senza alcuna forzatura esterna. I meccanismi per cui ciò accade sono
molteplici: si va da alcune introduzioni accidentali, passando per l'addomesticamento
degli animali, arrivando ad una selezione innaturale a causa della caccia; oppure
avviene per la comparsa di nuovi ecosistemi, su tutti l'ambiente urbano e
quello industriale. Anche alcune colture sono soggette a cambiamenti rapidi per
via dell'eccessiva antropizzazione: si stima che 6 delle 40 colture agricole
più importanti al mondo siano relativamente moderne.
La conservazione
della natura rimane quindi una problematica urgente. Anche volendo guardare al
numero totale di specie, il parametro rischia di non essere una misura accurata
e soddisfacente rispetto ai principi di conservazione, dato che non riflette tutti
gli aspetti essenziali della biodiversità. Il bilancio, anche se numericamente
pari, non può non tenere conto del diverso peso associabile alla fauna che vive
allo stato brado rispetto a quelle specie che vivono in città, quasi in
simbiosi con l'uomo. In ogni caso, gli effetti della speciazione forzata,
volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, potrebbero essere utili per
comprendere più a fondo il nostro impatto sulla biodiversità globale, al fine
di minimizzarlo.
Un esempio
lampante portato dagli scienziati è quello della zanzara comune che, a Londra,
si è adattata così bene all'habitat presente sotto la metropolitana, creando
una vera e propria popolazione a sè stante. Ebbene, alcuni esperimenti hanno
provato che questo nuovo insetto non riesce più ad accoppiarsi con le zanzare
che vivono en plein air. Ancora, agli amanti della caccia si può
dimostrare come portare al rischio di estinzione alcuni animali, o renderli più
vigili nei confronti del loro "hobby", ha come conseguenza l'emergere
di nuovi tratti, non certo benevoli, che si potranno col tempo trasferire in
altri animali, sia intenzionalmente che per ibridazione con altre specie.
Se la speciazione
naturale è un fenomeno che può durare millenni, dipendente da vari fattori,
quali isolamento fisico o geografico, pressione selettiva o deriva genetica, la
speciazione artificiale è determinata da mutamenti improvvisi, che avvengono quindi
in periodi molto più brevi (uno o più decenni). E' il caso degli incroci di
alcuni animali: i cani, per esempio, oppure di quelle razze addomesticate che
lo stesso Darwin contestava. Ma nella nostra epoca non stiamo scegliendo di
indirizzare delle specie su una via o su un'altra, non ne stiamo
volontariamente selezionando alcune sacrificandone con criterio delle altre.
Stiamo solo lasciando che l'attività umana, in tutte le sue forme, condizioni,
in base ai nostri bisogni e piaceri, degli esseri viventi a seguire una
evoluzione che non è più naturale, pur se confinata a pochi esemplari. Un
motivo in più per fare un grande passo indietro.
Nessun commento:
Posta un commento