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martedì 7 giugno 2016

La necessaria commistione tra città e natura


La nascita delle città come agglomerati organizzati di persone, abitazioni, infrastrutture e servizi risale solo agli ultimi due secoli. Lo spostamento dalle campagne che da noi si è avuto in buona parte dagli anni '60 in poi, assieme ai grandi flussi migratori, ha concentrato l'attenzione sociale e politica soprattutto verso questi insediamenti umani. In altre parti del mondo era successo prima, in altre ancora è più recente o sta avvenendo oggi. Alcune stime dicono che in un futuro prossimo circa il 70% della popolazione mondiale risiederà nelle medie-grandi città: è anche per questo che la tecnologia si sta ipersviluppando verso nuovi paradigmi, uno su tutti quello della smart city. Ci stiamo dimenticando qualcosa ?

Pochi giorni fa su Science è stato pubblicato un articolo che fa molto riflettere al riguardo. E' stato scritto a più mani da ricercatori della Università di Washington, secondo i quali le aree urbane, al di là del loro ruolo necessario, comportano un indebolimento del rapporto tra uomo e natura, causandone una sorta di disconnessione. Non solo, favoriscono anche delle tensioni emotive che contribuiscono ad aumentare malattie mentali e disturbi dell'umore, legate proprio allo scarsissimo accesso alla natura.

Forse ricorderete un'intervista fatta ad alcuni bambini nostrani tempo fa, ai quali si chiedeva quante zampe avesse un gallina, portando l'esempio del pollo come animale gastronomico più vicino alla loro realtà. La risposta di alcuni fu "otto", semplicemente perché nella confezione famiglia portata a casa vi erano altrettante cosce che, ad un occhio profano come il loro, dava l'idea di un animale unico con quel numero di zampe. A questo si può aggiungere, senza tema di smentita, che molti a quell'età una moltitudine di stelle l'hanno vista solo nei film a cartoni, oppure sul web. Il professor Kahn, che ha guidato lo studio, ha definito questo vuoto "amnesia generazionale ambientale", ossia quella ridotta facoltà delle nuove leve di correlarsi con la natura, anche selvaggia, e di riuscire a derivare un senso comune rispetto alla specie cui apparteniamo.

Ma il problema non investe solo la fascia sociale dei minori. Anche la maggior parte degli adulti, abituati ormai a dare per scontata la dimensione vitale tra cemento e traffico, basano la propria esperienza su canoni molto distanti da quelli ambientali. E' forse questo il motivo, temono i ricercatori, della scarsa sensibilità delle persone alle nefaste variazioni planetarie e alle nostre dirette responsabilità. Non si sente l'urgenza perché la si vive come qualcosa fuori dai propri orizzonti. Sarà banale, ma non c'è niente di naturale in una metropoli, o in città di dimensioni ancora superiori.

Bisogna spingere sulle possibilità concrete di vivere in maniera sicura, anche dal punto di vista della salute, nelle città del futuro. L'ideale sarebbe coniugare in modo intelligente i vantaggi sociali degli insediamenti urbani con un minimo e costante accesso ad aree verdi ed in qualche modo staccate dagli stress a cui siamo sottoposti. Se così non fosse, la progettazione dovrebbe prevedere zone promiscue, con residenze e uffici a stretto contatto con giardini pensili ed orti urbani; finestre vere con la possibilità di essere aperte per il ricambio d'aria, senza attivare alcun dispositivo artificiale; tetti e pareti verdi dove possibile; poter fare una pausa respirando per un momento aria pura, sentire gli odori della campagna, anche se questa non è proprio a due passi da noi. Tutto ciò passa attraverso nuove logistiche e nuovi approcci, soprattutto mentali da parte di tutti, nel capire i benefici fisici e psicologici di tali interazioni, in una osmosi totale con il mondo naturale. 

Non può esistere una città a misura d'uomo che non sia contaminata, nel vero senso della parola, dai doni offerti dalla natura, conclude lo studio pubblicato su Science. Deve essere un coinvolgimento continuo tra l'energia dell'area urbana ed il benessere armonico e stimolante che possono dare le specie vegetali con il proprio humus. La loro funzione psicologica va rivista e fortemente riproposta, per preservare al meglio l'integrità degli ecosistemi ma anche la salute pubblica. Se la natura è la fonte della nostra esistenza, non possiamo scordarcene proprio dove siamo più presenti.




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