Non mi sono mai piaciute le regole.
Voglio dire, la loro applicazione severa, indiscriminata, cieca, senza un
minimo di buon senso. In generale, le regole, quando ci sono, vanno rispettate.
Poi, come nel caso di certa giustizia, la libera interpretazione dei giudici, o
alcuni interventi di legali così bravi da scambiare il vero con il falso e
viceversa, fanno in modo che le stesse regole diano risultati diversi. Spesso a
sfavore dei più deboli. Ma non divaghiamo. Resta il fatto che se una regola deve
essere rispettata a costo di procurare un danno potenziale o reale alla
comunità, qualcuno deve insistere per infrangerla. E’ quanto successo
negli USA nelle ultime ore.
Il 2 dicembre dell’anno scorso, a San
Bernardino, California, due pazzi criminali, marito e moglie, hanno seminato la
morte in un centro disabili, mandando al Creatore ben 14 persone e ferendone
quasi il doppio. Sono certo lo ricorderete. Poi i pazzi furono uccisi dalla
polizia. Lo smartphone di uno dei due poteva (forse) contenere delle
informazioni utili alle forze dell’ordine, le quali hanno chiesto al produttore
di sbloccarlo, dato che era stato reso non più accessibile dopo aver inserito 3
volte una password sbagliata. Ma il CEO dell’azienda ha negato all’FBI la
procedura di sblocco, brandendo la spada della privacy assoluta a tutti i
costi, una regola che ogni utente in possesso di quello smartphone conosce, e
ne va fiero, naturalmente. La notizia, già diffusa ieri nel pomeriggio, è che
l’FBI ha usato i suoi tecnici (hacker legalizzati, meglio) per sbloccare il
dispositivo di cui sopra.
Per me siamo giunti all’assurdo. Per
motivi di marketing, di presunta perfezione ed inviolabilità del prodotto, di
business insomma, si nega la possibilità di indagare e di arrivare ad
informazioni preziose. Ora, non è dato di sapere cosa stessero cercando di così
fondamentale, forse qualche collegamento degli autori della strage con
terroristi o affini. Ma supponete che invece siano stati acquisiti i telefoni
dello stesso marchio appartenenti ad Abdeslam e simili. E che magari avrebbero potuto
contenere una quantità di dati utili a catturare altri “soldati del male” o ad
evitare ulteriori bombe come le ultime. Quel CEO di cui sopra avrebbe negato
l’accesso come in questa occasione ? io dico di si.
L’ho affermato in altre circostanze e lo
ribadisco qui. La privacy va ripensata, specie se perderne un pezzettino può
portare grande giovamento, ad esempio quello di salvare vite umane.
Ma qui non si tratta solo di etica moderna o di morale digitale. Pensate,
alcuni utenti in possesso di questo telefono, da loro reputato il migliore al
mondo, hanno manifestato a favore della scelta di quel CEO, loro idolo, successore di un
genio ancora più sfavillante, scomparso prematuramente pochi anni fa. Una scelta
giusta ma non sempre: quasi sempre. E un “quasi” a volte può fare una grossa
differenza, anche perché lo sblocco lo chiedeva l’FBI (un ufficio con tutte le
sue pecche, s’intende) e non un mr. Johnson qualsiasi.
Leggo, com’è comprensibile, che i veri
sconfitti siamo noi, che la nostra privacy non potrà mai essere al sicuro.
Perché, qualcuno ci ha creduto davvero ? Snowden era (è) un pazzo o solo uno
che ha visto giusto quando parlava dei suoi programmi di sorveglianza di massa
? E se ho il minimo sospetto che qualcuno, in un angolo remoto del mondo,
conosca i miei spostamenti (reali e virtuali), perché non si dovrebbero
conoscere vita, morte e "miracoli" di un assassino criminale ? Perdonate
l’integralismo, ma questo è il mio pensiero.
Ah, un’ultima cosa, proprio non ricordo
il nome di quel famoso brand tecnologico di cui sopra, che non fa solo
smartphone ma anche computer e tanto altro, che è sempre un passo avanti in
tutto. Dovrei mangiare più frutta. Come dice il proverbio, una pera al giorno
leva il medico di torno ;-)
(si
ringrazia il sito http://millennialsd.com/
per la gentile concessione della foto)
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