Quando frequentavo l’Azione Cattolica, ormai un
secolo fa, ascoltavo gli educatori ma per la giovane età che
avevo non mi facevo troppe domande e non le ponevo neanche a loro. Poi, crescendo,
avrei voluto farne tante, recuperare in qualche modo, su tematiche come la
fede, la Chiesa, il rapporto uomo-Dio, a chi mi si parava davanti e giudicavo
abile a rispondere, ma raramente qualcuno mi ha soddisfatto al riguardo. Così
sono arrivato in età matura senza molte certezze sull’argomento. Per un periodo
mi sono definito agnostico. E forse lo sono ancora.
Qualche settimana fa ho guardato per la prima volta,
con colpevole ritardo, il film Habemus papam di Nanni Moretti. Sicuramente
molti di voi l’avranno visto. Io l’ho trovato geniale. E’ stato prodotto e
pensato in epoca Ratzinger: chissà se il girotondino Moretti l’avrebbe girato ugualmente
nell’epoca odierna di Francesco. Credo di sì, visto che l’umanità e la
grandezza del pontefice attuale non può d’amblè sciogliere come neve al sole
tutti i dubbi di chi, come me, si è perso per strada in questo pseudo-cammino
spirituale.
Quei dubbi sono gli stessi che affliggono il papa nel
film, appena dopo la sua elezione. Un papa che sente il peso del suo ruolo e
fugge perché davanti ad una carica così grande gli tornano in mente i dubbi di
tutta la sua vita. Un papa che va in crisi perché ha le paure umanissime di
tutti gli uomini che devono sopportare le responsabilità, che appartengono a
quel ruolo ma sono, per certi versi, le stesse della vita vera, fatta di
problemi quotidiani e di famiglie da tenere in piedi con mille problemi. Un
papa che in qualche modo anticipa la stessa crisi di Ratzinger del 2013 e forse
di tutta la chiesa, la crisi di vocazioni, di ragazzi e di giovani che si sono
allontanati da certe “congreghe”, oppure non si sono mai avvicinati, anche perché
presi da genitori troppo attenti ai loro risultati materiali.
Significativi alcuni passaggi, come quando lo
psicologo interpretato da Moretti cerca di rendere semplici certe “visioni” che
la Chiesa nel tempo ha sempre volutamente esagerato per tenere la plebe alla
dovuta distanza. Oppure la presenza della guardia svizzera dietro la finestra
dove dovrebbe esserci il Pontefice eletto, che invece è in giro per Roma a
ritrovar sé stesso; così i cardinali scambiano la guardia per il Papa e si
rincuorano. Qui ne ho visto un piccolo parallelo con un film dalle logiche
attinenti, L’ultima tentazione di Cristo, di Scorsese: Willem Defoe, nei panni
di Gesù, lascia la croce andando a vivere una vita normale con Maddalena e si
crea una famiglia, ma ad un certo punto sottolinea che la gente ha sempre
bisogno del miracolo della resurrezione, indipendentemente da come sia andata davvero.
Habemus Papam mi è parso, al di là della centralità
dell’ambiente ecclesiastico, un film sugli uomini, ognuno con la propria storia
carica di vissuto e di perché mai svelati, sulle voci dell’intimità che vengono
fuori e si sovrappongono, che difficilmente ci abbandonano. Oserei dire che la
sua riuscita, a mio modesto parere, deriva anche dal fatto che il regista è un
non credente, scevro da certi populismi e arretratezze non ancora risolte. Un
cardinale, di fronte alle grandi difficoltà di un semplice torneo di pallavolo,
dice a Moretti “Perché non giochiamo a palla prigioniera ?” e lui “Cardinale, ma non esiste più da 50 anni”…. E’
il film di un papa che gira tra le persone, smarrito, che va in auto con la
psicanalista e i suoi figli, che si mostra molto vicino a noi, senza distanze.
Per fortuna che ad accorciare certe distanze
l’attuale papa Francesco è un vero maestro. Assomiglia molto ad un Maestro di
2000 anni fa. Sembra che facesse proprio così.
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