Pochi giorni fa, viaggiando in auto, ascoltavo la
radio e mi ha colpito una recente e fondata scoperta: Ettore Majorana, grande
fisico catanese scomparso misteriosamente nel 1938, poco prima che scoppiasse
il secondo conflitto mondiale, aveva vissuto in Venezuela, giunto lì perché (e
qui la certezza viene meno) forse scappava da chi voleva usare le sue scoperte
di fisica nucleare (sue e degli altri “ragazzi di via Panisperna”) per
disastrosi usi bellici. Il mio pensiero è andato ad una definizione: obiezione
di coscienza. Seguito da un altro pensiero: anch’io sono stato obiettore di
coscienza. Qualcuno mi dirà: per scansare la leva. Forse. Diciamo così, ho
potuto terminare gli studi stando vicino casa, facendo comunque il servizio
civile. Ma non divaghiamo.
Il concetto di massificazione si perde nella notte
dei tempi. La sociologia ha cominciato ad occuparsene seriamente nella seconda
metà del ‘900, da quando cioè la massa è diventata un tutt’uno importante, ha
assunto un suo comportamento piuttosto omogeneo, come fosse una persona sola con
sue peculiarità e particolari sensibilità. Secondo alcuni la massa ha acquisito
un significato negativo quando i singoli hanno perso la loro forza, indossando
la veste comoda del fare perché lo fanno gli altri, usando sempre meno il
proprio pensiero. E’ successo ad esempio nel dopoguerra quando la televisione è
entrata prima nei bar, nei locali affollati da chi non ne possedeva una, poi
nelle case di ognuno di noi. Ora la storia si è ripetuta con Internet e i
social media. Beninteso, io sono il primo ad elogiare i benefici del progresso
tecnologico, ma se questo deve renderci schiavi, uniformare e in qualche modo
lobotomizzare, allora mi oppongo.
La luce dell’obiezione è forte come un faro acceso
nella notte. Obiezione intesa nel senso più ampio del termine, sollevare un
argomento per contestare il nostro interlocutore, rispettando l’altrui pensiero
ma difendendo allo stesso modo il proprio, anzi di più. Obiezione come
dissentire, non bersi tutto, soffermarsi per capire, approfondire, far valere i
propri principi anche se siamo una minuscola rotellina in un ingranaggio
gigante, e se possibile bloccare quell’ingranaggio, perché insieme a noi si
fermeranno altre rotelline, pur col rischio di essere schiacciate. Obiezione
come uso della ragione, ma anche del cuore e dell’anima, delle forze al
completo per lasciare intatta la nostra dignità, davanti alle continue
manipolazioni mediali. Obiezione come valore, come libera scelta, di dire no oppure
di acconsentire a cosa stanno cercando di propinarci, ma comprendendo a fondo
il significato e le sue conseguenze, non cedendo mai alla superficialità.
Conseguenze, certo. Quelle che, vogliamo immaginare sia
andata così, Majorana capì in tempo utile per fuggire, per non legare il suo
nome ai nefasti utilizzi che le scoperte quantistiche avrebbero portato di lì a
poco. Distruzione e morte. La sua coscienza gli suggerì un atteggiamento tale
da rifiutare i successivi sviluppi al lavoro di ricerca condotto con gli altri
colleghi (Enrico Fermi su tutti), invocando dentro di sé un’etica e una morale
di alto rango. Obiezione di coscienza, dunque. O, almeno, questa può essere
un’ipotesi.
Obiezione, vostro onore. La bellezza dell’obiezione.
La bellezza di poter alzare la mano e poter dire: io non sono come voi, io la
penso diversamente da te, da lui, da voi. Può essere anche uno solo. O mille. O
un’intera nazione. Obiettare vi darà l’intelligenza di distinguervi, esprimere
un’opinione diversa dalla massa, diversa da chi si siede perdendo la capacità
di alzarsi e di affrontare la realtà anche con il proprio metro. Come disse
Bertrand Russell “Siate sempre in
disaccordo perché il dissenso è un’arma. Siate sempre informati e non
chiudetevi alla conoscenza perché anche il sapere è un’arma. […] Un uomo che
non dissente è un seme che non crescerà mai.”
(si
ringrazia il sito www.lasicilia.it per la
gentile concessione della foto)
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