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mercoledì 30 gennaio 2019

Il "sentiment" dei testi nelle canzoni



Un brano musicale di qualsivoglia autore mi fa sentire in pace con me stesso, oppure arrabbiato col mondo, senza dover per forza comprenderne la ritmica, gli accordi, l’arrangiamento, e così via. Questo perché è la sfera personale ed emozionale, unica per ogni individuo, a trasmettermi quel sentimento, stimolato da un tale pezzo. Ciò vale sia per le sette note che per le lettere dell’alfabeto: per il testo, in altre parole. Ma qui può sorgere qualche dubbio: pare infatti che nel tempo i testi della musica popolare siano diventano più arrabbiati e più tristi.

La Billboard Hot 100 raccoglie annualmente le canzoni più popolari degli USA e riflette le preferenze degli appassionati di musica. Se in passato il metro era dato da vendite discografiche, trasmissioni radiofoniche e jukebox, oggi ci si basa essenzialmente su streaming e social media. I toni espressi in ogni canzone sono stati analizzati da un team di ricerca della Lawrence Technological University nel Michigan, applicando l'analisi quantitativa automatica del sentiment. Questo termine può far pensare a “sentimento”, ma non è esattamente la giusta traduzione, perché si riferisce a quello che un gruppo di parole sta dicendo, il loro tono, la forza dell’espressione, ecc. Sono stati così calcolati i sentiment di tutti testi della Hot100 di ogni anno, misurando le relative variazioni, dagli anni ’50 fino ai giorni nostri.

I risultati hanno mostrato che l'espressione di rabbia e tristezza nella musica popolare è aumentata gradualmente nel tempo, mentre la comunicazione di un sentimento di gioia è diminuita, pur se con qualche eccezione. Le canzoni pubblicate nel triennio 1982-1984 erano meno arrabbiate rispetto a qualsiasi altro periodo, ad eccezione degli anni '50. Verso la metà degli anni '90, i testi parlavano con toni negativi, in una forma più considerevole rispetto agli anni precedenti. Anche l'espressione di tristezza, disgusto e paura è cresciuta negli anni, pur se in misura meno marcata rispetto alla collera.

E’ stato infatti rilevato che una specie di disgusto si è insinuato gradualmente nelle parole cantate, in maniera meno evidente all'inizio degli anni '80 e più evidente a metà e fine degli anni '90. Anche il sentimento di paura ha avuto alti e bassi, con espressioni più spiccate durante la metà degli anni '80, seguite da un brusco calo nel 1988. Poi c’è stato un repentino aumento di testi legati alla paura nel biennio 1998 -1999, scemata subito nel 2000 (probabilmente per l’entrata del nuovo millennio – nota mia). Lo studio ha dimostrato anche che la gioia era un tono dominante nelle parole di musiche popolari durante la fine degli anni '50, ma è anch’essa diminuita nel tempo, diventando molto meno presente negli ultimi anni.

Vi avevo già parlato di connessioni tra la musica e l’intimo sentire in questo post. Qualcosa del genere è accaduto con questo recente studio, spostando il focus sui testi. Ma, a ben guardare, lo studio non mostra che la musica sia cambiata, quanto che le preferenze dei consumatori/ascoltatori di musica sono cambiate nel tempo. Mentre gli appassionati degli anni ‘50 preferivano canzoni gioiose, i consumatori di musica moderna sono più interessati a quelle che esprimono tristezza o rabbia. Non necessariamente quindi una maggiore spinta degli autori in questo senso, anche perché, senza essere banali, c’è sempre quella componente di musica che dovrebbe contribuire al sogno, alla speranza.

Sia chiaro, sono state analizzate solo le canzoni statunitensi e non è detto che questo trend sia ripetuto in altre parti del mondo. Non scordiamoci però che da noi l’influsso della musica a stelle e strisce (ma anche quella dello Union Jack) è stato forte. Dunque, possiamo credere che in generale la qualità media dei sentimenti sia peggiorata nel tempo? E’ una probabile spiegazione. Un’altra potrebbe essere la ricerca, di chi ascolta le canzoni, di conferme delle proprie negatività e di quelle sociali. In ogni caso, non proprio un bel quadretto dell’evoluzione dell’umana specie.


(fonte https://www.eurekalert.org/pub_releases/2019-01/ltu-cas012419.php; si ringrazia il sito http://www.lizmoore.net per la gentile concessione della foto)


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