Alimentazione e salute sono strettamente
correlate. Un esempio classico è quello della carne rossa: diverse ricerche
scientifiche affermano che aumenti la probabilità di ammalarsi seriamente.
Queste sono implicazioni dirette. Ve ne sono poi di indirette, ma non certo
meno gravi. Sto parlando della sostenibilità e dei cambiamenti climatici. Che
c’azzecca, dirà qualcuno di voi, come quell’amico molisano che non si sente
più. E’ presto detto. Gli animali macellati che finiscono sulle nostre tavole,
durante la loro “onorata” esistenza, inquinano più di quello che credete.
Ogni anno, l’allevamento di bestiame produce
gas serra in modo equivalente all’effetto di circa 7 miliardi di tonnellate di
anidride carbonica, praticamente come l'industria dei trasporti. Se il 60%
dipende dall’indotto umano, il restante 40% viene prodotto durante la
digestione: bovini ed ovini ruttano e producono metano. Ciò dipende dal
processo digestivo di alcuni ruminanti, noto come fermentazione enterica. I
ricercatori hanno esplorato una serie di potenziali alternative per ridurre tali
emissioni gassose, tra cui la selezione selettiva, i vaccini, i trasferimenti
di microbiomi, vari integratori alimentari e mangimi più efficienti, tutti con
risultati poco significativi.
Ora pare che le alghe possano dare un
contributo importante affinchè mucche ed affini riducano la loro impronta di
carbonio. Sono infatti positivi al riguardo i risultati ottenuti da uno studio
alla Università della California di Davis,
guidato dal professor Kebreab. La scorsa primavera, molte vacche da latte di tipo Holstein (comunemente quelle bianche a macchie nere) sono state
coinvolte in uno esperimento. Aggiungendo una piccola quantità di alga rossa al
mangime, i ricercatori hanno scoperto che potevano ridurre la produzione di
metano delle mucche di quasi il 60%. In proporzione, una simile riduzione
applicata a tutto il settore dell'allevamento mondiale cancellerebbe quasi 2 miliardi
di tonnellate di emissioni annue. Ma Kebreab sta preparando uno studio più
ambizioso nei prossimi mesi, valutando se piccole quantità di una forma diverse
di alghe possono alzare la suddetta percentuale.
Nel frattempo, alcune aziende hanno
iniziato a studiare la fase successiva e più complessa: passare ad un’economia
di scala con la stessa efficienza. L’input al lavoro sulle alghe è stato
suggerito anche dall'approvazione in California di una legge del 2016, che
chiedeva di ridurre le emissioni di metano dello stato del 40%. Ciò ha posto
una reale pressione sulle imprese per trovare modi efficaci ed economici di
farlo, in particolare tra aziende di allevamento e produttori di latte. In realtà la legge verteva sulle
emissioni provenienti dal letame, ma si è rivelata oculata e funzionante anche
per altri motivi, così da portare ottimi feedback, locali e globali.
Un effetto collaterale nello studio dell’università
di Davis è che il bestiame inizialmente mangia con meno voracità. Ciò è stato
attribuito al gusto salato dell’alga, subito mitigato con dell’aggiunta di
melassa. Per i produttori di latte e carne infatti la nuova dieta non deve
assolutamente modificare i quantitativi precedente. A breve, il professor Kebreab
supervisionerà un esperimento della durata di sei mesi con 24 bovini, sia per
valutare che l'effetto dirompente sul metano persista nel tempo, sia per capire
come l'integratore influisce sulla qualità della carne. In teoria le alghe
dovrebbero aiutare ad ingrassare gli animali, perché i carboidrati che chimicamente
non vengono utilizzati per formare metano costruiscono un maggior tessuto
muscolare.
Nell’immediato futuro ci sono dunque
diverse valutazioni da compiere. Una sarà quella di capire se l’investimento
prevede un buon ritorno economico, rispetto al costoso approvvigionamento della
speciale alga utilizzata. L’altro è come realmente ottenere i grandi
quantitativi di queste alghe, sia per il completamento dello studio che per far
passare questo prodotto su scala commerciale. E, non ultimo, ci sarà da analizzare
la catena alimentare completa: la carne da questo bestiame meno inquinante ma
alimentato in modo non tradizionale non dovrà essere dannosa per i consumatori
finali. Nell’attesa, questi ultimi potranno continuare a tutelare, sé stessi e
l’ambiente, con i mezzi attuali: mangiare carne con moderazione.
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