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lunedì 20 febbraio 2017

Impianti cerebrali all'avanguardia


Quando ero alle superiori e mancava poco alla scelta universitaria, non mi era mai venuto in mente di prendere Medicina. I troppi anni e il contatto con la sofferenza mi spaventavano. Però, almeno per gioco, avevo provato a chiedermi quale specializzazione avrei voluto scegliere. La risposta era una sola: Neurologia. Mi affascinava e mi affascina tuttora la nostra materia grigia e le sue potenzialità. Naturalmente, come si dice, non è tutto oro ciò che luccica: mi sarei imbattuto in patologie mica da ridere. Tuttavia, al riguardo, nei successivi anni la tecnologia ha corso veloce. Ora si parla di impianti cerebrali sotto pelle che potrebbero stravolgere il settore e dare speranza a  seri problemi.

Alla Harvard Medical School stanno testando un nuovo tipo di impianto encefalico che ha lo scopo di ripristinare la vista ai non vedenti. Ma si potrebbe estendere ad altre disabilità. I test inizieranno il mese prossimo sulle scimmie, per memorizzare più dati possibili e sperimentare a fondo questa neuro-tecnologia all'avanguardia. Fino ad oggi, infatti, sono stati realizzati esperimenti di altro genere, come consentire ad una persona, con gli arti superiori paralizzati, di bere autonomamente tramite un braccio robotico; oppure permettere ai non vedenti di intravedere qualche luce. In questi casi, però, gli elettrodi impiantati diventavano col tempo inutilizzabili: intorno a loro si formava del tessuto cicatriziale che degradava il collegamento elettrico con le cellule cerebrali.

I ricercatori di Boston utilizzeranno un nuovo tipo di impianto che può poggiare sulla superficie del cervello, invece di penetrare all'interno dell'organo. Una serie di bobine microscopiche, di spessore circa quello dei capelli, generano dei campi magnetici che vanno selettivamente ad indurre attività elettrica in particolari punti del tessuto cerebrale. Il dispositivo sarà utilizzato per stimolare la corteccia visiva delle scimmie, cercando di ricreare l'attività normalmente innescata dai segnali provenienti dagli occhi, senza usare questi ultimi. L'obiettivo finale è quello di utilizzare l'impianto per convertire i segnali da una microscopica telecamera in attività neurologica interpretata correttamente. Gli scienziati affermano che l'efficacia delle bobine non dovrebbe peggiorare nel corso del tempo, visto che i campi magnetici non sono ostacolati dal tessuto e perciò le piccole correnti elettriche risultano più affidabili negli anni.

Il buon Obama, tra l'altro, aveva lanciato l'iniziativa BRAIN (Brain Research through Advancing Innovative Neurotechnologies), creata per migliorare la comprensione del funzionamento dell'encefalo. Questo progetto rientra nella stessa iniziativa e da lì attingerà i fondi, anche se la tecnologia è nata all'interno dell'istituto di ricerca PARC, di proprietà della Xerox. Si tratta comunque di un nuovo approccio molto promettente, anche se ci vorrà del tempo prima che diventi chiaro come utilizzarlo negli esseri umani. I colleghi dell'Università della California, a San Diego, si sono mostrati entusiasti. Ad esempio, il professor Coleman ha dichiarato che le piccole bobine potrebbero essere utilizzate per almeno altre due tecniche: modulare l'attività dei milioni di neuroni associati al sistema digestivo umano, oppure riuscire ad agire sul nervo vago nel torace per controllare i sintomi dei disturbi post-traumatici da stress.

Nel frattempo, c'è una parte di scienza che ha bisogno di cervelli. Non in fuga e nemmeno brillanti. Se volete, approfondite qui.






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