Davanti alla forza della natura noi non
possiamo niente. O meglio, qualcosa riusciremmo a fare se tutta la catena che
va dagli studi preliminari, passando per il progetto fino alla realizzazione di
un’opera edile o infrastrutturale fosse condotta con vero raziocinio, onestà
intellettuale e rispetto dell’ambiente. Ma questo forse è chiedere troppo. Così
ci riduciamo, quando avvengono delle catastrofi naturali, nella migliore delle
ipotesi a quantificare i danni, nella peggiore a contare i morti. A volte, come
nel caso dei terremoti, è difficile persino raggiungere le zone interessate dal
sisma e portare i primi soccorsi, perché una strada o un ponte non hanno retto.
Per i ponti, però, una rapida soluzione per rimetterli in sesto è stata
progettata di recente all’università dello Utah.
Durante un terremoto i ponti sono
sollecitati maggiormente in alto, dove i pilastri incontrano le diverse
campate, e in basso, dove gli stessi poggiano sulle fondamenta. Se tali punti
subiscono gravi danni il ponte potrebbe non essere più recuperabile, specie se
le armature interne si sono rotte, e quindi deve essere abbattuto. Nei casi più
fortunati invece le colonne portanti sono stabilizzate mediante gabbie
d'acciaio nelle quali la struttura interna viene ricostruita. Un procedimento
che può durare settimane o mesi. Invece il team di ricercatori dello Utah ha
sviluppato un nuovo processo di ripristino dei pilastri che dura solo pochissimi giorni. Esso comporta la creazione di blocchi a forma di ciambella, di un
materiale speciale, posizionati intorno alla parte inferiore e superiore di
ogni colonna. Il materiale è un polimero rinforzato con fibre di carbonio, con
parametri di resistenza a compressione e trazione superiori al cemento armato.
Con riferimento alla base del pilastro,
un certo numero di armature in acciaio vengono inserite nella fondazione,
tramite perforazione, e poi fissate con una resina epossidica. Successivamente
le due metà del guscio circolare realizzato in fibra composita sono posizionate
intorno alla colonna e fatte solidificare con una piccola gettata di cemento. Infine
il tutto viene ricoperto di calcestruzzo. Stando alle prove dei tecnici, il
pilastro riparato possiede all'incirca la stessa stabilità strutturale dell'originale.
La forma circolare del particolare "cuscinetto" applicato permette di
distribuire le sollecitazioni equamente sulle fondamenta. Nelle eventualità di scosse
di assestamento il ponte ha maggiori probabilità di resistere, visto che la
parte elastica del nuovo giunto sovrapposto fa da ammortizzante rispetto alle
notevoli forze impulsive in gioco.
Un metodo piuttosto rivoluzionario che,
al di là della dovizia ingegneristica, ha il grande vantaggio sociale di
conservare l'uso originario del ponte e permettere agli equipaggi di soccorso
di raggiungere in tempi abbastanza brevi persone e luoghi altrimenti isolati. Ma
si sta già pensando ad una versione adatta al retrofit dei ponti, ossia a
quelle operazioni di manutenzione che possono garantire una maggiore sicurezza
e una vita più lunga a tali infrastrutture. E, siccome l'appetito vien
mangiando, la procedura potrebbe essere estesa anche ai pilastri danneggiati
degli edifici.
Ma, detto fra noi italiani, non vi
vengono in mente altri usi oltre a quello post-sisma ? Penso soprattutto a
quelle strutture, sparse per lo stivale, che si riducono in condizioni pietose
a poche settimane dall'apertura. Un sistema del genere potrebbe tamponare le
falle createsi grazie alla "creatività" delle ditte vincitrici
l'appalto ? Può darsi. Pare però che, se così fosse, il nostro caro presidente
del consiglio aumenterebbe la significativa presenza sui cantieri, al solo
scopo di re-inaugurare strade o ponti non nuovi. Volete mettere la contentezza
degli operai nel vederlo ?
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