I
social network, spesso tacciati di essere alienanti dalla realtà e
di far ridurre la comunicazione a quattr'occhi, specie tra i ragazzi,
a volte si rivelano strumenti di utilità sociale. L'ultimo caso
viene dell'Università di Rochester, stato di New York, dove un team
di ricercatori ha dimostrato che usando foto e testi prelevati dal
social Instagram si possono individuare comportamenti deprecabili di
minorenni che fanno abuso di alcol, ma anche effettuare ricerche di
mercato abbinando alcune marche o tipi di alcolici a gruppi
demografici o aree geografiche.
Negli
ultimi tempi Instagram si va diffondendo rapidamente tra i più
giovani, i quali fanno in fretta a postare molte foto, corredandole
di hashtag o commenti più o meno rilevanti. Si tratta pertanto di
una grossa mole di informazioni, anche se perlopiù in forma di
immagini. Inoltre, come altri social, rappresenta una vetrina che per
alcuni serve a mostrare l'ultima bravata, tra cui la serata
divertente in un tale posto, serata “rallegrata” da bevande più
o meno alcoliche. La condivisione permette quindi, avendo a
disposizione strumenti di analisi informatica evoluta, di
rintracciare una categoria di persone in base alla loro età e
risalire ai loro costumi. E' proprio quello che hanno fatto i
ricercatori statunitensi.
Il
monitoraggio di queste tematiche così importanti per la crescita
giovanile non aveva fin'ora un corretto allineamento con la realtà,
forse perché nei sondaggi i protagonisti tendevano a raccontare solo
mezze verità. Ma applicando tecniche di computer vision, il
team è riuscito ad estrarre informazioni dalle immagini, analizzando
i volti del profilo di Instagram per ottenere ipotesi
sufficientemente esatte circa età, sesso e razza. Dopo aver
selezionato un gruppo di utenti minorenni per lo studio, gli studiosi
hanno monitorato l'attività relativa a ciò che bevono e a quanto
bevono, attraverso l'analisi dei tag presenti nelle foto, usando sia
termini dello slang giovanile sul web che di parole collegate ai
brand delle bevande. Hanno così scoperto che il consumo di alcol dei
minorenni segue all'incirca quello degli adulti circa la temporalità,
ossia fine settimana e giorni festivi, e che non c'è una proporzione
predominante tra un sesso e l'altro. Inoltre le diverse marche di alcolici sono più o meno tutte utilizzate
dagli adolescenti, con alcune preferenze più spiccatamente di genere
per certe tipologie di bevande. Tutte informazioni utili a
contrastare il fenomeno, specie per chi si occupa del settore e
lavora a stretto contatto con ragazzi soggetti a queste gravi
problematiche.
Uno
strumento di indagine come questo potrebbe essere appetibile ai
commerciali di grandi produttori e distributori di superalcolici. Ma
il vero uso sociale sarebbe quello di promuovere campagne di
informazione sociali, ad esempio nelle scuole, sui pericoli di questi
abusi, facendo magari degli interventi mirati in funzione delle zone
dove c'è maggior consumo. Allo stato attuale i ricercatori affermano
però che è necessario verificare i risultati delle loro indagini
con altri strumenti statistici, al fine di garantire che la loro
metodologia funziona davvero. Se così fosse si potrebbe estendere
anche ad altri problemi giovanili, come tabacco, droga, gravidanze
adolescenziali, stress o depressione, e magari anche attraverso altri
social media.
Dunque
la tecnologia informatica funziona benissimo se applicata alle
problematiche sociali, quella tecnologia spesso vista come un demone
che crea bisogni e poi li soddisfa. Uno strumento come quello
dell'Università di Rochester fa capire, se ce ne fosse ancora
bisogno, quanto sia l'uso stesso della tecnologia a fare la
differenza. Noi la creiamo, noi la utilizziamo, noi, razionalmente,
abbiamo il potere e il dovere di decidere a cosa serve.
(fonte
http://www.eurekalert.org/pub_releases/2015-10/uor-ntc102815.php
;
si
ringrazia il sito http://www.cbc.ca/
per la gentile concessione della foto)
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