Quando si
parla di fosforo il pensiero va immediatamente alla memoria. Molti sono quelli
che, per problemi legati alla sbadataggine, si sono sentiti dire “forse hai
bisogno di fosforo, dovresti mangiare più pesce”. Il fosforo non esiste in
natura allo stato elementare ma deriva dai suoi minerali fosfatici: oltre che
nei pesci è contenuto in molte sorgenti proteiche, tipo le uova e la carne. E’
un elemento essenziale per lo sviluppo delle ossa e dei denti, ma utile anche
come fertilizzante in agricoltura. Tra l’altro noi umani tendiamo ad espellerlo
attraverso la nostra urina, perciò si trova in molte acque di scarico, all’interno
dei conseguenti impianti di trattamento. Citiamo inoltre due ulteriori riferimenti
a questo elemento chimico, uno di “preistoria” informatica (i monitor ai
fosfori verdi), l’altro, più triste, che riguarda le armi al fosforo bianco.
Sembra però
che la domanda di fosforo stia crescendo rapidamente. Non è una novità in assoluto,
dato che l’incremento demografico globale risente di problematiche come queste
per molte materie prime. Così al Centro per la Sicurezza Ambientale della Arizona State University hanno
realizzato un modello matematico per il recupero del fosforo dalle acque di
scarico, basato sui due attuali metodi per estrarlo, quello chimico e quello
biologico. Nel primo caso si realizza una soluzione apposita, nel secondo l’introduzione
di alcuni batteri permette la raccolta del fosforo da speciali fanghi. Però nessuna
delle due tecniche è sempre la migliore, dipendendo anche dalla qualità dell’acqua
del posto. Allora gli scienziati statunitensi hanno ideato una metodologia che combina
entrambe le metodologie.
Lo studio ha dimostrato che un impianto di trattamento tipico potrebbe recuperare circa 490 tonnellate di fosforo ogni anno in forma di struvite, un minerale fosfato (nota: alcuni lo conosceranno come prodotto dei calcoli renali in certi animali) . Così facendo si arriverebbe ad estrarre circa il 90% di fosforo presente nelle acque reflue, circa il doppio dei metodi tradizionali, con un costo di estrazione inferiore ed un tempo di recupero dell’investimento di soli 3 anni. In più, ne guadagnerebbe la salute delle acque, dato che l'accumulo di fosforo può causare problemi come fioriture di alghe che, col tempo, riducono l'ossigeno presente e compromettono il delicato equilibrio della vita acquatica.
Come in
moltissimi altri casi, anche in questo può (e deve) funzionare l’economia
circolare del riciclo. Tutto il prezioso fosforo che usiamo e che scarichiamo si
perde nell'ambiente e, banalmente, comporta un paio di svantaggi: il mancato
recupero ed il danno per fiumi, mari e quindi tutto l’ecosistema. Si parla di
migliaia di tonnellate di fosforo, quantitativi importanti che possono
soddisfare, almeno in parte, l’esigenze di quei paesi in grossa difficoltà
alimentare e nutritiva. Se poi, come in questo progetto della Arizona State University, in tempi
ragionevoli si intravede anche un profitto, ci sono tutti i presupposti per una
rapida e conveniente implementazione, economica, sociale e naturale. Affinché
la coscienza ambientale diventi vero driver per un futuro sostenibile.
(fonte
http://www.eurekalert.org/pub_releases/2015-05/asoa-ama050515.php;
si ringrazia il sito http://remediatenow.com
per la gentile concessione della foto)
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