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mercoledì 6 maggio 2015

Il recupero sostenibile del fosforo


Quando si parla di fosforo il pensiero va immediatamente alla memoria. Molti sono quelli che, per problemi legati alla sbadataggine, si sono sentiti dire “forse hai bisogno di fosforo, dovresti mangiare più pesce”. Il fosforo non esiste in natura allo stato elementare ma deriva dai suoi minerali fosfatici: oltre che nei pesci è contenuto in molte sorgenti proteiche, tipo le uova e la carne. E’ un elemento essenziale per lo sviluppo delle ossa e dei denti, ma utile anche come fertilizzante in agricoltura. Tra l’altro noi umani tendiamo ad espellerlo attraverso la nostra urina, perciò si trova in molte acque di scarico, all’interno dei conseguenti impianti di trattamento. Citiamo inoltre due ulteriori riferimenti a questo elemento chimico, uno di “preistoria” informatica (i monitor ai fosfori verdi), l’altro, più triste, che riguarda le armi al fosforo bianco.

Sembra però che la domanda di fosforo stia crescendo rapidamente. Non è una novità in assoluto, dato che l’incremento demografico globale risente di problematiche come queste per molte materie prime. Così al Centro per la Sicurezza Ambientale della Arizona State University hanno realizzato un modello matematico per il recupero del fosforo dalle acque di scarico, basato sui due attuali metodi per estrarlo, quello chimico e quello biologico. Nel primo caso si realizza una soluzione apposita, nel secondo l’introduzione di alcuni batteri permette la raccolta del fosforo da speciali fanghi. Però nessuna delle due tecniche è sempre la migliore, dipendendo anche dalla qualità dell’acqua del posto. Allora gli scienziati statunitensi hanno ideato una metodologia che combina entrambe le metodologie.

Lo studio ha dimostrato che un impianto di trattamento tipico potrebbe recuperare circa 490 tonnellate di fosforo ogni anno in forma di struvite, un minerale fosfato (nota: alcuni lo conosceranno come prodotto dei calcoli renali in certi animali) . Così facendo si arriverebbe ad estrarre circa il 90% di fosforo presente nelle acque reflue, circa il doppio dei metodi tradizionali,  con un costo di estrazione inferiore ed un tempo di recupero dell’investimento di soli 3 anni. In più, ne guadagnerebbe la salute delle acque, dato che
l'accumulo di fosforo può causare problemi come fioriture di alghe che, col tempo, riducono l'ossigeno presente e compromettono il delicato equilibrio della vita acquatica.

Come in moltissimi altri casi, anche in questo può (e deve) funzionare l’economia circolare del riciclo. Tutto il prezioso fosforo che usiamo e che scarichiamo si perde nell'ambiente e, banalmente, comporta un paio di svantaggi: il mancato recupero ed il danno per fiumi, mari e quindi tutto l’ecosistema. Si parla di migliaia di tonnellate di fosforo, quantitativi importanti che possono soddisfare, almeno in parte, l’esigenze di quei paesi in grossa difficoltà alimentare e nutritiva. Se poi, come in questo progetto della Arizona State University, in tempi ragionevoli si intravede anche un profitto, ci sono tutti i presupposti per una rapida e conveniente implementazione, economica, sociale e naturale. Affinché la coscienza ambientale diventi vero driver per un futuro sostenibile.


(fonte http://www.eurekalert.org/pub_releases/2015-05/asoa-ama050515.php; si ringrazia il sito http://remediatenow.com  per la gentile concessione della foto)


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