Un nuovo tipo di nanoparticelle può aiutare a rimarcare cellule tumorali nel sangue e ad effettuare trattamenti più efficaci sui pazienti. E’ quanto emerge da una ricerca condotta presso l’Istituto Internazionale di Nanotecnologia presso la Northwestern University, Illinois, pubblicato di recente sulla rivista specializzata Proceedings of the National Academy of Sciences. Le analisi hanno evidenziato risultati decisamente positivi su cellule di cancro nei topi, ma sono state estese con successo anche in laboratorio su sangue umano, contaminato artificialmente dalle stesse cellule.
Ad oggi i
medici non riescono ad esprimersi sulla riuscita di un
intervento di rimozione del tessuto canceroso finché non si possono rifare indagine
approfondite: questo però può avvenire solo dopo qualche mese. Grazie
alle nanoflare, le nanoparticelle realizzate dal team di ingegneri biomedici
guidati dal professor Chad Mirkin, si dovrebbe
conoscere in anticipo l’esito dell’intervento e prendere le eventuali ulteriori
contromisure. Le nanoflare sono realizzate con delle particelle di oro
rivestite da molecole fluorescenti e frammenti di DNA,
selezionato per corrispondere all’RNA contenuto in particolari cellule
tumorali. Introdotte nel campione
di sangue, le nanoparticelle penetrano
le cellule tumorali e il DNA si lega all'RNA
bersaglio, innescando il rilascio di molecole fluorescenti: le cellule tumorali emettono così una sorta di
bagliore, rilevato da uno speciale laser.
Un vantaggio considerevole di questa tecnica è quello
di calibrare esemplari diversi di nanoflare al fine di individuare più tipi di cellule tumorali, componendo alcuni
strati di DNA e molecole
fluorescenti di colori differenti.
Questo setup puntuale risulta utile per scovare le cellule tumorali circolanti,
le più ostiche da rilevare sia per il loro nomadismo che per le quantità molto basse.
Già altre tecniche utilizzano nanoparticelle che si legano alle cellule
cancerose, ma tendono a distruggerle. Se un tale comportamento è naturalmente
auspicabile per i pazienti, i ricercatori dovrebbero preferire le nanoflare in
quanto il loro legame non è distruttivo: si permette così di continuare le
indagini anche in vitro. Tale possibilità garantisce inoltre la possibilità di
tentare dei trattamenti prima sul sangue del paziente e poi nel suo organismo.
Purtroppo la tecnica dei nanoflare avrà
bisogno di anni per essere approvata e diffusa: durante quel periodo potrà
ancora essere migliorata, dicono alla Northwestern University. Ma si tratta
comunque di una grande novità diagnostica che dovrebbe contribuire ad
importanti sviluppi, sia nella ricerca avanzata che nella definizione di nuovi farmaci.
Una speranza in più per la salute umana presente e futura, che al solito può
venire solo da frontiere scientifiche per le quali gli investimenti non devono mai
mancare, in ogni parte del mondo.
(fonte http://www.technologyreview.com/news/532416/nanoparticle-detects-the-deadliest-cancer-cells-in-blood ; nella foto, a sinistra cellule tumorali con le nanoflare che si “colorano” di rosso, a destra senza)
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