Creare un elaboratore che simuli il cervello umano è
il sogno di molti scienziati cibernetici, che nelle notti del tempo si confonde
e si intreccia con quella irrazionale volontà di somigliare a Dio. A questo
ancora nessuno ci è arrivato, nonostante gli sforzi e le strabilianti
meraviglie della tecnologia moderna. Quello che è certo, comunque, è che la
nostra macchina pensante svolge molti
compiti nello stesso tempo, ciò che i tecnici
chiamano parallelismo. Ora uno studio dell’Università di Atene
ha dimostrato, mediante l’uso della risonanza magnetica funzionale (fMRI), che nel caso di azioni per noi semplici si può arrivare a fino
50 processi contemporanei.
Il cervello
si compone di circa 100 miliardi di neuroni, ognuno dei quali è mediamente connesso con altri
10000 vicini. E’ stato calcolato anche l’equivalente elettrico di questa
straordinaria struttura, che nel caso di particolari sforzi arriva solo a 20 watt, con i quali accenderemmo a
stento una lampadina: sono prestazioni che
i progettisti di computer invidiano senza tanto nasconderlo. In medicina
diagnostica l’utilizzo della risonanza magnetica, tradizionale prima e funzionale
dopo, ha permesso di fare un grande passo avanti nella conoscenza dei
meccanismi di attivazione delle aree del cervello in funzione degli stimoli. In
particolare le macchine fMRI si
basano sulle variazioni dei livelli di ossigeno nel sangue che passa attraverso il cervello:
questi livelli rivelano quindi la maggiore o minore attività delle aree cerebrali.
Il dottor Harris Georgiou ha guidato l’equipe greca nell’analisi neurale, creando
innanzitutto dei dati virtuali simili a quelli che genera la fMRI, ricavati da otto
diversi segnali con caratteristiche
statistiche paragonabili a quelle rilevabili sul cervello. Una volta validato questo modello, ha sottoposto
nove adulti sani ad un centinaio di rilevazioni basate su due prove. Nella
prima si mostravano due colori diversi su uno schermo e ognuno doveva indicarli
con l’indice di una mano, in funzione della posizione del colore visualizzato:
la apparente difficoltà era data dall’indicare il colore sul lato opposto a
quello della mano usata per indicarlo. La seconda prova era un tipico
riconoscimento visivo: tra gli oggetti che scorrevano sullo schermo si chiedeva
di individuare quelli simili anche se mostrati da angolazione diversa.
I risultati hanno evidenziato circa 50 processi
indipendenti nella prima prova e un numero di poco inferiore nella seconda. Ma
l’informazione principale ottenuta dalla ricerca è che il parallelismo con cui
lavora la nostra materia grigia si trova ad un livello strutturale più alto
rispetto ai singoli neuroni. Potrebbe essere questo il punto di partenza per
progettare calcolatori con prestazioni più vicine a quelle del cervello. Infatti,
gli attuali chip neuromorfi (la cui
struttura tende ad imitare la morfologia del cervello) contengono
un milione di neuroni artificiali
ciascuno con solo 256 connessioni, ancora poco rispetto alla realtà; l’fMRI usata da
Georgiou ha evidenziato attività parallele tra gruppi di circa
tre milioni di neuroni, ognuno
avente diverse migliaia di collegamenti
con quelli adiacenti.
Molti film in passato ci hanno
affascinato con la presenza di computer che pensavano come l’uomo e addirittura
rischiavano di soppiantarlo. Il grande Kubrick ce ne diede un assaggio nel ’68 con
il suo HAL in 2001 Odissea nello spazio.
Da allora l’intelligenza artificiale ha avuto una grande evoluzione, ma è
impensabile spingere a tavoletta su queste strade senza le dovute
considerazioni etiche. Piuttosto, ricerche come quella di Atene potrebbero
aiutare a comprendere i malfunzionamenti del nostro supercomputer cranico. Per
quelli da creare ex novo, per ora è sufficiente madre natura.
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