Circa 5 anni fa iniziai la mia avventura
di "creatore di contenuti" nel web-space.
Il sito per cui scrivevo si occupava e si occupa di ambiente e sostenibilità,
argomenti a me cari che magari col tempo lo sono diventati anche per altri. O
già lo erano, ovviamente. Tra l'altro parlai di una tecnologia chiamata
"cattura del carbonio" secondo cui sarebbe stato possibile abbassare
il livello inquinante della CO2 presente in atmosfera, semplicemente
aspirandola. Sì, ma dove sarebbe finita, visto che nulla si crea e nulla si
distrugge, tutto si trasforma? Allora si ipotizzava di usarla per recuperare
dai pozzi di petrolio quella parte più recalcitrante ad essere estratta (un
controsenso? forse); oppure di inserirla in speciali celle a combustibile (fuel
cell), riuscendo in
un colpo solo a ridurre l'anidride carbonica e a produrre energia
elettrica. Qui il pezzo del
2013.
In realtà tale tecnologia era stata
ipotizzata diversi anni prima. Più di recente però, quando sembrava poter
trovare applicazioni pratiche, c'è stata una corrente di pensiero fortemente
contraria: se siamo in grado di
liberarcene possiamo continuare ad inquinare (per poi ripulire l'aria),
utilizzando combustibili fossili. Come dare torto a chi ragionava così? Questo
valeva fino a ieri. Oggi Islanda docet.
Vi è infatti, in quell'isola da noi così lontana, una centrale geotermica (Hellisheidi il nome), la più grande del
paese, dove dal 2014 si estrae il calore dal sottosuolo, catturando l'anidride
carbonica rilasciata nel processo, mescolandola con l'acqua e iniettandola
nuovamente sotto terra, a circa 700 metri di profondità. Così facendo il
biossido di carbonio nell'acqua reagisce con i minerali che incontra e forma
dell'altra roccia, rimanendovi intrappolato. In altre parole, Hellisheidi è un
impianto a zero emissioni che trasforma un gas serra in rocce. Ma naturalmente
il procedimento è estendibile ad ogni produzione di CO2 (non solo alle centrali
geotermiche) e quindi adatta rendere più respirabile l'aria delle nostre città.
L'optimum resta sempre l'uso più diffuso
possibile delle fonti rinnovabili. Circa 2 settimane fa si è tenuta ad Abu
Dhabi il vertice annuale dell'IRENA (International
Renewable Energy Agency), l'agenzia internazionale per le energie
rinnovabili, da cui è venuto un quadro piuttosto promettente sul tema. Pare
infatti che nella maggior parte del mondo l'elettricità così ottenuta sia già
competitiva economicamente con l'energia da combustibili fossili. Meglio
ancora, il report fa una previsione straordinaria: entro il 2020 tutte le forme
di elettricità rinnovabile saranno costantemente più economiche dell'energia
prodotta con combustibili fossili. Dunque il passaggio alle rinnovabili per la
nuova generazione di energia non è semplicemente una decisione rispettosa
dell'ambiente, ma diventerà economicamente vantaggiosa. E poi, tra pochi anni,
anche l'energia eolica e solare off-shore
(generate in mare, lontano dalla costa), insieme a tutte le altre forme,
diventeranno competitive come le tradizionali.
Sappiamo però che l'energia che viene
dal sole e dal vento non è continua. Quindi, anche se i costi della generazione
da rinnovabili diminuiscono, saranno necessarie altre fonti di energia, in
genere fossili o nucleari, per colmare
le lacune fisiologiche delle prime. Pertanto, finché la tecnologia delle
batterie (e la relativa chimica) non permetterà di stivare grossi quantitativi
di energia, la produzione convenzionale di elettricità non potrà essere
completamente "debellata". Proprio per tale motivo la questione della
cattura del carbonio e della sua trasformazione, magari come quella islandese,
potrebbe abbassare nei prossimi anni l'attuale trend in crescita dei gas
climalteranti. Tant'è vero che già tre startup hanno dimostrato la fattibilità
di questa tecnologia: Climeworks in
Svizzera, Carbon Engineering in
Canada e Global Thermostat negli USA.
Fortunatamente i numeri del 2017,
pubblicati dal report annuale di Bloomberg
New Energy Finance dicono che le energie rinnovabili sono in pieno
sviluppo, in tutti i paesi. Segno che è stata compresa la gravità del problema,
anche se un po' tardi, e le politiche ambientali stanno sbocciando a destra e a
manca. Sono stati investiti infatti più di 330 miliardi di dollari, in aumento
del 3% rispetto al 2016, ma il cui valore pesato è maggiore se si considera che
i costi per le principali tecnologie rinnovabili intanto sono diminuiti. Metà
della crescita è dovuta solo alla Cina, che forse però partiva da un situazione
più che disastrosa. Uno dei motivi è che il costo del solare è fortemente in
discesa, quindi nel paese del dragone si tende a distribuire la generazione su
tetti e parchi industriali, come successo da noi alcuni anni fa. Dopo seguono
gli Stati Uniti, in lieve ripresa nonostante la scarsa sensibilità del Donald a
stelle e strisce. L'Europa invece vede un grande segno negativo (-26%), a causa
delle debacle di Germania e Regno Unito, nonostante Francia, Olanda, Italia,
Svezia, Spagna e Austria abbiano investito più dell'anno precedente.
Segnali positivi, dunque, che fanno ben
sperare per la mitigazione dell'inquinamento atmosferico e la tutela degli
ecosistemi. Sempre che la sensibilità degli uomini, anche nei gesti quotidiani
di rispetto per l'ambiente, vada di pari passo.
(fonti
http://bit.ly/2mFNTdQ; http://bit.ly/2kksCaW; http://bit.ly/2rwr299; si ringrazia il sito https://news.nationalgeographic.com
per la gentile concessione della foto)
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