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lunedì 18 gennaio 2016

La povertà nello sviluppo mentale dei bambini


I ricchi sono più fortunati dei poveri. Sembra una frase di quel tale, Max Catalano, che negli anni '80 era diventato famoso per le sue uscite ovvie  alla trasmissione di Arbore "Quelli della notte". Quando parlo di fortuna, naturalmente, uso un sostantivo molto vago, di cui capirete il senso. Non solo vita agiata e senza problemi, ma anche poter curar malattie, una possibilità che gli indigenti non hanno. Proprio a proposito di salute ora uno studio della Washington University di St. Louis afferma che i bambini che crescono in famiglie povere sviluppano connessioni cerebrali alterate rispetto ai loro pari età nati nella bambagia.

Nel cervello umano esistono aree e zone deputate a funzioni precise. In particolare l'ippocampo svolge un ruolo importante nella memoria a lungo termine e nel movimento spaziale, mentre l'amigdala gestisce le emozioni e soprattutto la paura. Entrambi queste parti, direttamente implicate nell'apprendimento e nello stress, sono state oggetto di risonanza magnetica funzionale su un campione di 105 bambini degli USA dai 7 ai 12 anni, scoprendo che esse sono collegate ad altre aree del cervello in modo più debole nei bambini poveri che in quelli con reddito familiare più alto. La soglia economica utilizzata per la distinzione è stata di circa 24000 dollari annui su una famiglia di 4 persone, in base a livelli statistici statunitensi.

Il risultato è che vi è un rapporto diretto tra le strutture cerebrali utili a regolare emozioni e stress e la crescita sociale ed intellettiva dei bambini, che possono così essere soggetti negli anni a comportamenti deviati, fino a giungere alla depressione clinica. In realtà in passato altri studi avevano mostrato qualcosa di simile, focalizzandosi su differenze volumetriche degli stessi ippocampo ed amigdala. Ora invece arrivano conferme su come le interazioni tra questi corpi e il resto dell'encefalo siano pesantemente influenzate dalla serenità familiare che può derivare da una agiatezza economica.

La povertà, dunque, come indicatore importante di uno sviluppo mentale dei bambini non sufficientemente adeguato, a partire dai primi anni di scuola. Secondo i ricercatori si determinano dei maggiori fattori di rischio che potrebbero portare, con gli anni, situazioni instabili dal punto di vista psichiatrico e una maggiore difficoltà all'inserimento sociale. E questo, aggiungiamo, è un danno non solo per loro ma anche per la comunità a cui appartengono, sia per la sicurezza, sia per il contributo di crescita potenziale non ricevuto.

Per finire, e questo lo studio non lo dice, fortunatamente nella vita si incontrano diversi casi contrari. In un senso e nell'altro. I telegiornali sono pieni di notizie di ragazzi "di buona famiglia" che hanno distrutto le loro vite o quelle di altri. Ma anche di uomini maturati in condizioni disagiate che riescono ad andare avanti onestamente e con dignità. Resta comunque una riflessione importante. Se davvero il percorso di crescita è impattato come dice la ricerca dallo stato economico, "qualche" sforzo a livello mondiale andrebbe fatto. Del resto, se ci fosse ancora bisogno di conferma, un report uscito in queste ore dice che l'economia globale è gestita dall'1%  della popolazione terrestre, i famosi super-ricchi. Catalano avrebbe detto "meglio un mondo giusto che uno dove i bambini muoiono di fame o crescono male".


(fonte http://www.eurekalert.org/pub_releases/2016-01/wuso-plt011516.php); si ringrazia il sito http://www.thefiscaltimes.com/  per la gentile concessione della foto)

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