Viviamo in una società con il tabù dello sbaglio,
con il mostro dell’errore. Forse anche perché ogni nostro gesto è amplificato
dalla grande rete, chi commette uno strafalcione, nel suo campo, nella lingua
italiana, o in qualsivoglia ambito, corre il serio rischio di essere deriso e
di esporsi al pubblico ludibrio. E questo a prescindere dalla fama di quella
persona. Ma come sarebbe il mondo fatto di perfetti e perfezionisti ? A quanto
pare non migliore di questo. Secondo una nuova ricerca realizzata dalla
organizzazione internazionale Society for
Personality and Social Psychology, il perfezionismo e soprattutto le preoccupazioni
che comporta possono pregiudicare il successo sul lavoro, a scuola o nello
sport, conducendo a stress e a potenziali problemi di salute.
I ricercatori hanno analizzato i risultati di 43
precedenti studi condotti negli ultimi 20 anni, correlando l’estrema ricerca
del perfezionismo con quella che si chiama sindrome da burnout. Quest’ultima è una vera e propria patologia da stress
riscontrata inizialmente nelle professioni cosiddette “di aiuto”, tipo medici o
infermieri, ma che col tempo si è manifestata anche in altri settori. L’eccessivo
rigore cercato da queste persone ossessionate dal fare sempre bene e sempre
meglio può essere dannoso perché essi sono continuamente tormentati dal timore
di sbagliare, specie ponendosi traguardi molto elevati. Si accumulano paure e
dubbi sulla prestazione personale, che creano affaticamento e possono portare alla
suddetta sindrome di burnout: a quel
punto le persone diventano ciniche ed improvvisamente smettono di preoccuparsi.
Si possono deteriorare i rapporti interpersonali e rendere difficile metabolizzare
una battuta d'arresto, perché ogni errore è visto come un disastro.
Dallo studio è emerso che le preoccupazioni
perfezionistiche hanno forti effetti negativi soprattutto in campo lavorativo,
dato che ad esempio nel campo scolastico o in quello sportivo gli obiettivi
sono chiaramente definiti e hanno un riscontro tangibile. Se uno studente può
essere ricompensato per il duro lavoro con un voto alto, una performance molto
qualitativa sul posto di lavoro non sempre corrisponde ad un premio concreto,
al di là della gratificazione personale, per chi riesce a sentirla. Ma, stando
a quanto dicono i ricercatori, il perfezionismo ha anche qualche lato positivo.
Quelli che si definiscono “sforzi perfezionistici" comportano il concepimento
di elevati standard personali e contribuiscono a raggiungere i traguardi
prefissati in maniera proattiva. Questi sforzi possono aiutare a mantenere un
alto senso di realizzazione e di ritardare gli effetti debilitanti del burnout.
Secondo i ricercatori sarebbe favorevole predisporre
ambienti di lavoro dove la creatività, l’impegno e la perseveranza sono
valutate positivamente, anche con ricompense materiali. Ma si tratta essenzialmente
di una questione di cultura e di razionalità. Bisogna accettare il fallimento
come un'opportunità di apprendimento, arrivando a perdonare se stessi quando si
sbaglia. Eliminare, a partire dalla scuola, certi riprovevoli comportamenti di alcuni
docenti, con scarsa intelligenza emotiva, che si rifanno ancora alla figura del
somaro. Insegnare a porre obiettivi realistici ed apprezzare ogni minimo
risultato, come un mattoncino vitale nella creazione del proprio equilibrio
personale. Sorridere delle imperfezioni, se le vediamo come amabili singolarità
che ci rendono unici.
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