Avete mai sentito parlare del fullerene ? è una
molecola fatta di 60 atomi di carbonio, disposti a formare una costruzione
sferica con l’interno vuoto. E’ stata la scoperta, premiata col Nobel, che ha
aperto la strada alla nanotecnologie. Il suo nome si deve a Richard Buckminster
Fuller, inventore e architetto statunitense del XX secolo, creatore di una
struttura detta cupola geodetica, alla quale i chimici hanno pensato trovandosi
davanti al fullerene. Fuller era un tipo veramente eclettico con una
particolare visione del mondo, con un pensiero dalle forti ricadute sociali.
Tra l’altro si occupò anche di riciclo, affermando che “l’inquinamento non è
altro che materiale che non stiamo raccogliendo. Ci permettiamo di disperderlo
semplicemente perché ne ignoriamo il valore”.
E proprio gli scarti dei paesi più industrializzati
possono assumere un importante valore per quelli in via di sviluppo. Lo dimostra
il caso dei ricercatori di IBM Research India, ideatori di un flusso virtuoso
di energia, elettrica ma anche sociale: recuperare le batterie dei notebook per
portare la luce nelle case dei paesi più poveri. In una recente conferenza a
San José, California, i ricercatori indiani hanno provato che almeno il 70% delle
batterie buttate possono ancora alimentare una luce a led per almeno quattro
ore al giorno, in un anno.
Forse vi sarà capitato di utilizzare un pc portatile
ed accorgervi che l’autonomia residua della batteria tende a diminuire, anche
drasticamente, col tempo. Si tratta di un parametro importante che molte volte
è determinante nel passaggio ad un nuovo netbook: spinti dalla presunta
obsolescenza ci affrettiamo all’acquisto, pur non avendo bisogno di una potenza
di calcolo da laboratori NASA. E’ stato calcolato che ogni 12 mesi si
accumulano nei soli USA circa 50 milioni di batterie agli ioni di litio. Eccone
però un modo per farle “rivivere”: abbinarle con i sistemi ad energia
rinnovabile, presenti in molti posti del mondo dove mancano le infrastrutture
energetiche.
Per questi sistemi, fatti soprattutto di pannelli
solari e lampadine a led, il punto debole è proprio lo stoccaggio di energia,
che sarebbe possibile risolvere con questi scarti tecnologici, opportunamente
ricondizionati e rigenerati. L’IBM infatti si è avvalsa dell’aiuto di una
società di hardware locale, chiamata RadioStudio, che di ogni batteria ha
recuperato le singole unità contenute all’interno, ricomponendole in altri gruppi
ed aggiungendo dei circuiti di controllo, per la ricarica e per la protezione
dal surriscaldamento. Dopo i primi prototipi testati da poche case e da alcuni
ambulanti di Bangalore, alla RadioStudio si sono dati da fare nel migliorarli,
anche per risolvere problematiche accessorie, tipo usare cavi resistenti ai
roditori. Allo stato attuale si sta testando una pre-produzione di qualche
centinaio di pezzi, con molta fiducia di chi conduce il progetto (e molta
speranza di chi ne potrà fare uso).
Com’è noto, l’India è il secondo paese più popoloso
del nostro globo, con circa 1 miliardo e 200 milioni di abitanti. Di questi, un
terzo non ha nessun collegamento con la rete di energia elettrica. La strada
per portare gli elementi base dello sviluppo nelle case dei meno fortunati sarà
ancora lunga, però si può sopperire con sistemi “di fortuna” come le batterie
dei notebook riciclate, aumentandone un po’ la vivibilità.
Da esempi come questo risulta chiara e confermata la
funzione sociale del riciclo. D’altro canto, è singolare pensare che un paese a
tratti in forte difficoltà, pur ricavando qualche piccolo beneficio da una tale
idea di riuso low-cost, possa contribuire ad alleggerire discariche e cieli
delle potenze mondiali, dove la ricchezza e il rifiuto indiscriminato vanno
ancora troppo a braccetto.
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