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giovedì 6 novembre 2014

Vita, WiFi e morte

 

Questo post lo devo a mio figlio, se non altro per avermi dato l’ispirazione. Si parlava in auto di WiFi e mi chiedeva come mai il vecchio nome della rete di casa, da quando ne ha un altro, gli appare ancora nell’elenco del suo Tab2 quando si collega. Gli ho ricordato che il dispositivo memorizza i nomi di tutte le reti a cui ci si è connessi almeno una volta: quindi per il tablet la rete con quel nome potrebbe ancora esistere, solo che è fuori intervallo (un modo per dire che il segnale WiFi non è raggiungibile). Mi è balenato in mente un paragone alquanto originale. 

Ad alcuni di voi sarà capitato di perdere un parente, un amico, qualcuno di caro. Si resta con una sensazione di impotenza che, aggiunta a quella del dolore, ne fanno un binomio non auspicabile a nessuno. Quella persona si è allontanata per sempre, potremmo dire che fisicamente non è più raggiungibile. Ma per la nostra anima, il nostro cuore, quel caro è ancora vicino, è dentro di noi, i suoi ricordi sono con noi, tanto più quanto più ci era davvero preziosa la sua presenza in vita. Il sistema di gestione delle reti WiFi è programmato in modo simile: ora non trovo questa rete ma mi è “rimasta dentro”, magari risalta fuori in un’altra occasione. Solo che per gli estinti ciò non accadrà mai. 

L’ineluttabilità della morte è stata per l’uomo, da quando diventò Sapiens, un mistero irrisolto ed un dramma nient’affatto comprensibile. Per non parlare del delirio dell’immortalità, che forse ha portato nella storia più disastri che benefici. Qualcuno (leggi Religioni) ha ben pensato di prospettare un futuro dopo la morte, diverso da quello terreno, per vari motivi: rincuorare chi resta, stendere il filo del bene nelle notti dell’umanità, tenere a bada i popoli con l’ignoranza (un concetto medioevale ma che mi pare ancora in voga per molti). In questo senso si inserisce la non raggiungibilità dovuta alla morte: è solo temporanea, perché tra tanti anni quel posto sarà un traguardo (volenti o nolenti) anche per noi. Una temporaneità affine a quella della mia rete senza fili che, nonostante io l’abbia cancellata definitivamente, resta nella memoria di smarphone e tablet, fissi od occasionali. 

Ma il pensiero può essere esteso anche ad ambiti diversi dalla morte, in generale a tutto ciò che c’era e non c’è più. L’amore, l’amicizia, le passioni, i sogni, le illusioni, tutti fattori umani determinanti e a volte anche effimeri, possono avere quest’aura di finita raggiungibilità. Il campo elettromagnetico con cui ci hanno avvolto (se mi passate il paragone scientifico) non può essersi dissolto come neve al sole: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Si deve trasformare. Quella parte di noi che è andata via, che non sentiamo più, vola ancora nell’etere dell’anima, ma è troppo lontana perché possiamo raggiungerla. Un po’ come gli alieni: ci saranno sicuramente, ha affermato di recente un astronauta del belpaese, ma le galassie sono così distanti che è impossibile pensare con le tecnologie umane di arrivarci in tempi ragionevoli. 

Ecco, appunto: con i modesti mezzi umani non ce la faremo mai. O meglio, quasi tutti non ce la fanno, né a riprendere ciò che è fuggito, ma neanche ad evitare che certi sentimenti scappino via. Perché chi conserva e coltiva le emozioni vere, riuscendo a trattenerle, ha sovrumane capacità ed è pietra rara. Come il tablet di cui sopra, che si ostina a segnalare, inconsapevolmente, la rete che non c’è più, allo stesso modo dovremmo provare più spesso ad insegnare ai nostri bambini che a volte, con il cuore, si possono superare i fragili limiti della raggiungibilità umana.

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