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venerdì 21 novembre 2014

Rilevare cellule tumorali con le nanoparticelle


Un nuovo tipo di nanoparticelle può aiutare a rimarcare cellule tumorali nel sangue e ad effettuare trattamenti più efficaci sui pazienti. E’ quanto emerge da una ricerca condotta presso l’Istituto Internazionale di Nanotecnologia presso la Northwestern University, Illinois, pubblicato di recente sulla rivista specializzata Proceedings of the National Academy of Sciences. Le analisi hanno  evidenziato risultati decisamente positivi su cellule di cancro nei topi, ma sono state estese con successo anche in laboratorio su sangue umano, contaminato artificialmente dalle stesse cellule.

Ad oggi i medici non riescono ad esprimersi sulla riuscita di un intervento di rimozione del tessuto canceroso finché non si possono rifare indagine approfondite: questo però può avvenire solo dopo qualche mese. Grazie alle nanoflare, le nanoparticelle realizzate dal team di ingegneri biomedici guidati dal professor Chad Mirkin, si dovrebbe conoscere in anticipo l’esito dell’intervento e prendere le eventuali ulteriori contromisure. Le nanoflare sono realizzate con delle particelle di oro rivestite da molecole fluorescenti e frammenti di DNA, selezionato per corrispondere all’RNA contenuto in particolari cellule tumorali. Introdotte nel campione di sangue, le nanoparticelle penetrano le cellule tumorali e il DNA si lega all'RNA bersaglio, innescando il rilascio di molecole fluorescenti: le cellule tumorali emettono così una sorta di bagliore, rilevato da uno speciale laser.

Un vantaggio considerevole di questa tecnica è quello di calibrare esemplari diversi di nanoflare al fine di individuare più tipi di cellule tumorali, componendo alcuni strati di DNA e molecole fluorescenti di colori differenti. Questo setup puntuale risulta utile per scovare le cellule tumorali circolanti, le più ostiche da rilevare sia per il loro nomadismo che per le quantità molto basse. Già altre tecniche utilizzano nanoparticelle che si legano alle cellule cancerose, ma tendono a distruggerle. Se un tale comportamento è naturalmente auspicabile per i pazienti, i ricercatori dovrebbero preferire le nanoflare in quanto il loro legame non è distruttivo: si permette così di continuare le indagini anche in vitro. Tale possibilità garantisce inoltre la possibilità di tentare dei trattamenti prima sul sangue del paziente e poi nel suo organismo.

Purtroppo la tecnica dei nanoflare avrà bisogno di anni per essere approvata e diffusa: durante quel periodo potrà ancora essere migliorata, dicono alla Northwestern University. Ma si tratta comunque di una grande novità diagnostica che dovrebbe contribuire ad importanti sviluppi, sia nella ricerca avanzata che nella definizione di nuovi farmaci. Una speranza in più per la salute umana presente e futura, che al solito può venire solo da frontiere scientifiche per le quali gli investimenti non devono mai mancare, in ogni parte del mondo. 


(fonte http://www.technologyreview.com/news/532416/nanoparticle-detects-the-deadliest-cancer-cells-in-blood ; nella foto, a sinistra cellule tumorali con le nanoflare che si “colorano” di rosso, a destra senza)


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