Chi siamo, da dove veniamo, dove
andiamo? Tranquilli, non vi risponderò né io né nessun altro. Però come inizio
è affascinante, no? Anche perché si tratta di dubbi che l’uomo razionale si è
sempre posto: volete che non me li ponga io senza coinvolgervi? Scherzi a
parte, l’argomento quotidiano verte sulla prima delle tre domande, e credo che
in qualche modo vi stupirà. Si basa su considerazioni fatte dalla professoressa
di psicologia Giuliana Mazzoni, ricercatrice all’università di Hull, in
Inghilterra.
Qual è la nostra vera identità? Molti la
stanno ancora cercando, direte. Non vi biasimo. Esiste però una certezza: si
basa moltissimo sui ricordi, sulle esperienze, su come gli eventi della vita a
cui abbiamo partecipato, volenti o nolenti, l’hanno modellata. I ricordi,
dunque. Spesso belli, a volte tristi, peggio se traumatizzanti. Alcune ricerche
però mostrano che spesso l'identità non è una rappresentazione veritiera di chi
siamo, anche se la memoria va liscia come l’olio. Pare infatti che non sempre usiamo
tutti i ricordi disponibili nel disco rigido dietro gli occhi. Molto spesso
tendiamo inconsapevolmente a scegliere cosa ricordare.
Proviamo a spiegare. Quando raccontiamo
agli altri un nostro vissuto, facciamo affidamento su un meccanismo di
screening psicologico, che monitora e contrassegna certi ricordi come accettati,
scartandone altri. Episodi che ci portiamo “dentro” pieni di dettagli e di
emozioni, specie quelli che potremmo o vorremmo riprovare (quindi più belli),
hanno maggiori probabilità di essere catalogati come veri ricordi. Successivamente,
a velocità a noi inconcepibili, il sistema neurale effettua una sorta di test
di plausibilità, con un altro meccanismo di monitoraggio, per avallare quegli
eventi dei ricordi all’interno della storia personale generale. Ciò vuol dire
che la memoria personale deve combinarsi con l'idea corrente che abbiamo di noi
stessi. Non sarebbe credibile un tipo che è stato sempre ritenuto una brava
persona, se raccontasse di essersi comportato di colpo in modo aggressivo verso
gli altri; il vero punto è che non sarebbe credibile nemmeno per sé stesso
(trascurate per un attimo i raptus, naturalmente).
Selezioniamo i nostri ricordi, quindi.
Ma fosse solo questo. Ricordare è un processo altamente ricostruttivo che
dipende dalla conoscenza, da come ci si vede, dagli obiettivi che ci si pone
nella narrazione o nell’introspezione. Da alcuni studi di imaging cerebrale è stato ricavato che la memoria personale è
diffusa in più parti dell’encefalo, basandosi su una vera e propria rete di
memoria autobiografica. Cosa significa? Che molte parti del cervello sono
coinvolte nella creazione di ricordi personali. Perciò, in questo bailamme di
informazioni, si tende a perdere una parte della veridicità delle stesse. Non
per malfunzionamenti non voluti, proprio per come è progettato il “sistema”. Morale
della favola: anche quando ci affidiamo giustamente ai nostri ricordi, questi possono
essere estremamente inaccurati o addirittura falsi. Spesso creiamo una memoria
di eventi che non sono mai accaduti.
Tendiamo quindi ad automanipolare la
nostra memoria. Fa parte della nostra natura. La plasticità del cervello,
conscia o inconscia, ci consente questa operazione. Come genere umano, non
facciamo una bellissima figura, eh? In passato la ricerca si era già
concentrata su questo aspetto negativo. Per dirne una, con tutto il rispetto
per le donne, si può arrivare a crearsi falsi ricordi di abusi sessuali,
portando a false accuse. Oppure, chi soffre di problemi mentali può tendere a
concentrarsi solo su eventi negativi e a ricordarli in modo peggiore di come
sono accaduti davvero. Soluzione? Farsi aiutare dagli altri a recuperare il sé.
Possibile, sempre che anche loro non abbiano ricordi modificati su di noi …
Poi ci sono gli scienziati che pensano
sia normale un comportamento neurale di questo tipo. In altre parole, affermano
che scegliere tra i ricordi, prelevarne solo alcuni dai cassetti della memoria
è cosa buona e giusta. Siamo in fondo animali che tendono a preservarsi, perciò
ci capita di fare delle correzioni in corsa, per riformulare e valorizzare il
nostro passato in modo che assomigli a ciò che sentiamo e crediamo nel presente.
Sono allora necessari dei ricordi imprecisi e smussati, derivanti dalla
necessità di mantenere un senso di sé positivo e più attuale. Mi viene da
pensare che gli studiosi che affermano ciò siano ottimisti, ma è solo una mia
riflessione, beninteso.
Riepilogando, la nostra identità è
davvero unica, o è soggetta ad autointerpretazioni, più o meno volute? Siamo
ciò che costruiamo di noi, attraverso ricordi veri o falsi. Avete sempre
considerato voi stessi modellati in base alla somma delle vostre esperienze. Ora
sapete che, probabilmente, quelle esperienze le avete condizionate con ricordi
poco reali. Alcuni, forse, nel mentire spudoratamente e consapevolmente, si
costruiscono e ri-costruiscono ad arte. Altri lo fanno solo perché guidati da
una mente umana normale. No, non è fantascienza. E’ la bellezza di una
normalità imperfetta.
(fonte https://theconversation.com/the-real-you-is-a-myth-we-constantly-create-false-memories-to-achieve-the-identity-we-want-103253;
si ringrazia il sito https://www.learning-mind.com
per la gentile concessione della foto)
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